Giorgio Girelli
Giorgio Girelli con le nipotine
Dal Centro studi sociali “A. De Gasperi”
“Nella giornata in cui si concentra l’attenzione sul mondo del lavoro e sui problemi che esso attraversa il primo pensiero va a coloro che nella presente avversa situazione economica il lavoro l’hanno perduto, a coloro che vedono il proprio posto minacciato, a tutti coloro, specie giovani, che ancora attendono di approdare ad una collocazione lavorativa”. Così si esprime, nel commentare la Festa del Lavoro, il coordinatore del Centro Studi Sociali “Alcide De Gasperi” Giorgio Girelli, il quale poi continua manifestando vicinanza e solidarietà a tutte le famiglie che vivono con grande apprensione questi difficili momenti. A fronte di tante imprese che fanno di tutto per sostenere i propri lavoratori, ci sono anche operatori – stigmatizza Girelli – che con troppa disinvoltura adottano iniziative la cui ottica è solo il conseguimento del massimo profitto. Sono comportamenti irresponsabili che contraddicono la linea sempre tenuta dalla imprenditoria sana e che richiedono anche da parte delle autorità le misure possibili per contrastare il triste fenomeno. Un pensiero particolare, aggiunge Girelli, va poi riservato alle casalinghe, silenziose protagoniste di un lavoro intenso, senza orari, privo di adeguate tutele sociali che assicurino alla “donna di casa” dignità ed anche quella autonomia che finora è mancata poiché il lavoro domestico è vissuto tuttora come appendice del marito “che porta a casa lo stipendio”. Non si tratta ovviamente di creare rivendicazioni e frizioni all’interno della famiglia, ma anzi di rafforzarne la coesione prendendo atto del prezioso lavoro che la donna svolge nel gestire la casa e nell’accudire i figli specie quando sono in tenera età.
Nel 1995, la Corte Costituzionale ha riconosciuto il lavoro delle casalinghe come un’attività lavorativa a tutti gli effetti: perché esso ha un elevato valore sociale ed economico e può quindi essere ricompreso nella norma costituzionale che tutela il lavoro “in tutte le sue forme”. Ma per ora queste “forme “ si sono concretizzate solo in minuscoli vagiti che non cambiano significativamente la situazione di fatto.
C’è poi il caso delle donne che un “ posto” ce l’hanno. Ma sono oberate da un doppio lavoro perché tuttora, per lo più, la “casa” fa capo a lei, né sono disponibili strutture pubbliche adeguate che concorrano a custodire ed educare efficacemente i figli specie se piccoli. Non manca poi la situazione della condizione in cui è vissuta la occupazione stabile della donna. Interferenze indegne sulla maternità, discriminazioni di carriera ed talvolta anche molestie. Ce n’è abbastanza per rilevare che su questi aspetti dovrebbero cimentarsi gli sforzi e le proteste di quante si professano madrine dell’emancipazione femminile più che sulle stucchevoli ed improduttive battaglie per volgere al femminile terminologie valevoli come ambigeneri. Sui progetti e le lotte dei sindacati le tematiche sono note e non necessitano di ripetizioni: si procede sulla scia di quanto Fanfani, cui il mondo del lavoro deve molto, il 22 marzo 1947 all’Assemblea Costituente dichiarò: «Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto a un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale». Sforzo di cui debbono farsi carico, proprio perché i tempi sono difficili, anche i giovani, senza troppo indugiare al riparo delle tutele familiari o nella scelta di lavori e condizioni non proprio conformi ai propri desiderata.