Giorgio Girelli con le nipotine
di Giorgio Girelli *
In una lettera ad un quotidiano nazionale una giovane
professionista italiana che si firma “Chiara” rivolge un
appello all’Italia, a tratti con espressioni toccanti. Descrive
la sua condizione di “emigrata andata a lavorare in Svezia
nel settimo ospedale migliore del mondo” a condizioni che
“non possono essere rifiutate”: n el mio ospedale – precisa
Chiara – prima viene il benessere del personale e poi viene
tutto il resto, contratto a tempo indeterminato dopo il
primo periodo di prova, malattia, straordinari pagati, orario
di lavoro flessibile e i turni li decidi tu. E continua, sempre
rivolta all’Italia: “La formazione che mi hai dato tu è stata
eccezionale, e per questo ti ringrazio, e non ha nulla da
invidiare ad altri Paesi. Hai speso tanti soldi per formarmi e
poi? Mi hai costretto ad andare via. In Italia non c’è spazio
per noi giovani, veniamo messi all’ultimo posto come se
non avessimo il diritto di abitarci e poterci esprimere, ma
perché fai così? Ci fai del male e fai del male a te stessa.
Cara Italia, spero che ci rivedremo prima o poi, io non ti
voglio abbandonare perché credo in te, ma ti prego fai
qualcosa anche tu.”
Come noto i giovani italiani assai qualificati costretti a
trovare all’estero quella occupazione che loro non viene
offerta in patria sono tantissimi. Con una dispersione di
risorse nazionali enorme. L’istituzione di una “ dote per
diciottenni ” (10.000 euro) proposta dal segretario del PD
Enrico Letta corrisponderebbe a quel “qualcosa” che
Chiara chiede all’Italia? Spiega Letta: “Lancio proposta di
dote per i diciottenni. Per la generazione che più ha pagato
con il Covid un aiuto concreto per studi, lavoro, casa. Per
essere seri va finanziata non a debito ma chiedendo all’1%
più ricco del paese di pagarla con la tassa di successione”.
L’iniziativa servirebbe a far rimanere i giovani in Italia,
senza però pesare sulle famiglie, che spesso continuano ad
accoglierli oltre i 30 anni, in maniera diametralmente
opposta a quanto avviene in altri Paesi. Accantonando al
momento le considerazioni e le polemiche sulle modalità di
finanziamento del provvedimento, della sua erogazione,
nonchè del suo utilizzo, resta da chiarire se l’obiettivo,
assai lodevole, è così percorribile. Supponiamo di porre il
diciottenne sulla pista di lancio fornendogli le opportunità
per ben prepararsi al conseguimento di una buona
“sistemazione”. Ma se i già formati ed in grado di occupare
“posti” qualificati sono costretti ad andare all’estero, non
sussiste il pericolo che il “decollo” in patria sia
difficilmente praticabile? Allora non si fa nulla? No
certamente: ma il problema è vasto e complesso, e
andrebbe affrontato non per segmenti ma nella sua
organicità perché autonomia, formazione, inserimento al
lavoro dei giovani rispondano ad un’unica, organica
strategia. Che poi è la strategia
per l’Italia.
*Coordinatore Centro Studi Sociali “A. De Gasperi”