Tratto dalavoce.info
di Cristiano Codagnone, ricercatore di sociologia all’Università di Milano e professore alla Universitat Oberta de Catalunya
Perché mortalità e letalità da Covid sono così alte in Italia? L’elevata età media non spiega da sola il primato. E perché in altri paesi europei prima e seconda ondata hanno dato esiti tanto diversi? I cittadini hanno diritto a capirne le ragioni.
Il primato italiano sulla mortalità
Siamo secondi in Europa per numero totali di morti attribuite al Covid-19: 76.877 al 6 gennaio 2021, dopo la Gran Bretagna, che nelle ultime settimane ha visto aumentare le morti, arrivate a 77.346. Siamo anche quinti al mondo per mortalità, cioè morti diviso popolazione totale, espresse per 1 milione di popolazione: erano 1.272 al 6 gennaio 2021, dopo San Marino (1.825), Belgio (1.707), Slovenia (1.394), Bosnia (1.288); e siamo terzi al mondo per letalità, cioè morti/contagiati, con il 3,5 per cento, che ci vede primi in Europa. Tuttavia, la letalità risente del numero di tamponi eseguiti. Come si vede nella tabella 1, questo numero varia da paese a paese e riflette decisioni governative che sono mutate nel tempo. Pertanto, nelle riflessioni che seguono mi soffermo soprattutto sulla mortalità. Sui giornali se ne è brevemente parlato facendo riferimento a una “ricerca” della John Hopkins University, che in realtà è un semplice monitoraggio. Basta prendersi i dati ufficiali internazionali ampiamente disponibili e farsi i propri calcoli.
Confronto fra paesi
Sui social media, soprattutto Twitter, molti concittadini si chiedono perché la mortalità sia così alta in Italia. Aggiungo: perché è più alta di paesi a noi simili per dimensioni, livello di sviluppo economico e traiettoria sia della pandemia sia delle misure di distanziamento? E cosa spiega i casi particolari di Germania e Svezia?
Per sviluppare alcune considerazioni semplici e intuitive utilizzo: a) le statistiche ufficiali sull’andamento della pandemia (vedi tabelle); b) i dati e un volume di Eurostat pubblicato nel 2019 per caratterizzare la popolazione anziana in Italia e altri grandi Paesi europei; c) due studi pubblicati su Nature e The Lancet.
Quando un fenomeno è in corso, e non si può più fare un esperimento e neppure identificare una variazione esogena facilmente misurabile e controllabile, l’unico modo per cercare di capire è la comparazione tra unità di analisi diverse, possibilmente in forma longitudinale. I confronti delle due tabelle che seguono sono in sostanza statici e non scompongono i paesi a livello regionale, provinciale e comunale. Quindi le mie considerazioni sono svolte a “occhio nudo”, facendo solo confronti descrittivi senza uso di tecniche econometriche o di modellizzazioni sofisticate. Non mi propongo di dare risposte, ma di sollevare domande e di sfatare il luogo comune che la nostra alta mortalità sia dovuta solo all’età media della popolazione. Confronto Italia, Spagna e Regno Unito da una parte (lockdown più restrittivi, meno terapie intensive, medicina territoriale meno capillare) e Germania (lockdown “soft” almeno fino al novembre 2019, 28mila posti terapia intensiva, rete medicina territoriale capillare) e Svezia (nessun lockdown e rete medicina territoriale capillare).
La prima tabella dà il quadro complessivo e non richiede molti commenti. Abbiamo la più alta mortalità tra i sei paesi considerati, ma non siamo primi per numero di contagi per milione di popolazione, sebbene l’indicatore rifletta anche il più basso numero di tamponi realizzati. Tuttavia, Spagna e Francia presentano un tasso simile di tamponi per 1 milione di abitanti, ma la mortalità è sensibilmente più alta in Spagna. Allo stesso modo, l’Italia ha fatto 452 tamponi per 1 milione e la Svezia 445 (con il più alto numero di casi per 1 milione) e la mortalità è rispettivamente 1.273 e 861, sempre per 1 milione. Quindi non sembrerebbe che ci sia una relazione univoca tra numero di contagi e numero di morti. Ovviamente bisogna andare cauti, ma se questa prima osservazione impressionistica fosse confermata da analisi più sofisticate, allora cadrebbe l’ipotesi più volte letta sui media secondo cui la nostra mortalità possa essere dovuta al maggior contatto tra nonni e nipoti.
(*) Per la seconda ondata ho computato le morti registrate nei vari paesi dal 1° settembre al 29 dicembre 2020.
La seconda tabella contiene informazioni interessanti, che meritano un’analisi più approfondita delle considerazioni intuitive svolte di seguito. Nella seconda ondata l’Italia ha avuto un numero di morti più alto di Spagna, Francia e Gran Bretagna e già superiore a quello registrato nella prima.
Dunque, la prima domanda è: perché la mortalità si mantiene così elevata sebbene, a detta di molti, le terapie siano migliorate? Tra Italia, Spagna, Gran Bretagna e Francia, credo di poter affermare con sufficiente certezza che il nostro paese è quello che ha adottato, a eccezione dell’estate (ma lo stesso è successo per gli altri), le misure di distanziamento e di lockdown più rigide.
Poi c’è il caso della Svezia, l’unico in cui le morti sono fortemente concentrate durante la prima ondata (75,3 per cento contro 24,7). Nella prima ondata nel paese scandinavo le morti per un milione di abitanti sono state 668 e nella seconda 219. Sebbene la Svezia sia il paese con la più alta incidenza di casi, la mortalità della seconda ondata è bassissima. Il caso svedese andrebbe approfondito, oltre le analisi partigiane che periodicamente lo presentano come un disastro o come un grande successo. Infine, c’è l’anomalia della Germania, praticamente appena sfiorata dalla prima ondata e colpita più duramente dalla seconda: da gennaio a novembre 2020 sono state registrate 16.123 morti, mentre sono 22.076 quelle da dicembre 2020 al 6 gennaio. La mortalità tra la prima e la seconda ondata si è più che raddoppiata. Sui nostri giornali si legge che il lockdown “soft” tedesco non ha funzionato. Eppure, sembrerebbe aver funzionato per undici mesi: quale variazione è intervenuta per determinare un cambiamento così radicale? Potrebbe essersi verificato un mutamento tale da creare le condizioni di un esperimento naturale che, se studiato, aiuterebbe a progredire nella comprensione di come si diffonde il virus. E dunque aiuterebbe tutti noi a comprendere meglio la situazione e i governi a migliorare le misure di contenimento in attesa che la popolazione sia vaccinata.
Cosa succede in Italia
Prima di passare alle possibili spiegazioni del caso italiano, è utile una premessa che in qualche modo si ricollega alle considerazioni sul caso tedesco. Sto prendendo i dati ufficiali a valore nominale. Ma è noto che il dato per sé non è ancora un “fatto” se non sappiamo come è costruito. Forse non si possono trovare spiegazioni comparative perché i dati non sono confrontabili.
Mi sembra evidente che a livello europeo non esistessero linee guida per la registrazione dei dati in caso di pandemia prima dell’arrivo del Covid-19 e che neanche ora siano state introdotte. Le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sono cambiate nel tempo e lasciano spazio a diverse applicazioni nei diversi paesi. Non ho sufficienti elementi per esprimere un parere, ma se così fosse, sarebbe di enorme importanza scoprirlo.
L’età della popolazione non può spiegare da sola la maggiore mortalità e letalità nel nostro paese. Solo la Gran Bretagna è più giovane di noi in modo rilevante. Ad esempio, l’età mediana della popolazione maschile (la più colpita) è 44,4 anni in Italia e 43,9 anni in Spagna (ed è di 46 anni in Germania). La percentuale di popolazione di età superiore a 85 anni è del 3,5 per cento in Italia, del 3,2 per cento in Spagna e del 3,4 per cento in Francia. In Gran Bretagna è del 2,4 per cento.
Il volume e le statistiche di Eurostat non indicano che i nostri anziani siano in condizioni di salute peggiori rispetto a quelle degli altri paesi considerati. Anzi, la percentuale di individui di età superiore a 85 anni con una condizione cronica nel nostro paese è inferiore a quella di Francia, Spagna e Germania (i dati sulla Gran Bretagna non erano disponibili). Pur in confronti descrittivi preliminari, non sembrerebbe dunque che andamento dei contagi, misure di distanziamento, età media della popolazione e condizioni di salute degli anziani possano spiegare completamente la più alta mortalità italiana.
Per fare un ulteriore passo, ci vengono in aiuto i due studi internazionali. Quello pubblicato su Nature, che ha analizzato una grande quantità di variabili in venti paesi, suggerisce che la letalità (case fatality rate) sia positivamente associata (aumenta) con incidenza di malattie cardiovascolari, tumori e malattie respiratorie; alla mortalità dovuta al fumo sopra i 70 anni; livello di Pil pro capite. D’altra parte, la letalità sembra essere associata negativamente (diminuisce) con il numero di posti letto negli ospedali per 100mila abitanti. Tuttavia, lo studio conclude che le associazioni statistiche più forti sarebbero con le condizioni socioeconomiche e con la prevalenza di altre malattie croniche preesistenti.
Il secondo studio si è focalizzato sul numero di contagi e sulla mortalità (che è diversa dalla letalità). Gli autori hanno considerato 50 paesi per i quali hanno raccolto variabili socioeconomiche e demografiche, sul sistema sanitario e sullo stato di salute della popolazione e sul grado di restrizioni imposte durante la pandemia. I risultati sono i seguenti:
– il numero dei contagi è positivamente associato con il tasso di obesità, con l’età mediana della popolazione;
– la mortalità è positivamente associata con tasso di obesità e il Pil pro capite. Mentre un minore livello di diseguaglianza sembra essere associato con un minore livello di mortalità;
– la rapida chiusura dei confini, il lockdown completo e campagne di tamponi a tappeto non sono associati, né negativamente né positivamente, con il tasso di mortalità.
Entrambi sono studi preliminari che si limitano a verificare la presenza di associazione statistica senza avventurarsi in azzardate attribuzioni causali. Nondimeno, ci danno almeno due suggerimenti. Contano soprattutto variabili socioeconomiche e stato di salute pregressa. Interessante la correlazione tra diseguaglianza economica e mortalità. Questi studi confortano quanto scritto da Richard Horton (editor di The Lancet) nel settembre 2020, ovvero che non siamo di fronte a una pandemia, ma a una “sindemia”, in quanto la mortalità per Covid-19 interagisce chiaramente con malattie croniche non trasmissibili preesistenti e con le diseguaglianze socioeconomiche. Horton aggiunge che ci siamo limitati a contenere il contagio senza cercare di intervenire sulle cause strutturali che mietono vittime.
Ora, nei dati Eurostat ne spicca uno rispetto al quale il nostro paese presenta una situazione peggiore: la deprivazione materiale e sociale nella popolazione anziana. Se prendiamo il gruppo di età 65-74 la percentuale di coloro che vivono in condizioni di deprivazione materiale e sociale è del 10,3 per cento in Italia, contro il 7.6 per cento in Spagna, 5,2 per cento in Francia e 3,7 per cento in Germania (i dati per la Gran Bretagna non sono disponibili). Se poi si considera il gruppo dai 75 anni in avanti la percentuale sale al 29,1 per cento. In altre parole, quasi un terzo dei nostri anziani vivono in condizioni disagiate. L’ipotesi che la deprivazione materiale e sociale possa contribuire a spiegare l’alta mortalità in Italia meriterebbe di essere approfondita. Se confermata, potrebbe consigliare politiche di protezione e assistenza più mirate.
Nell’era dei big data le possibilità di mettere insieme fonti diverse e di trattarle sono aumentate enormemente. Gli studi che cercano di verificare l’efficacia delle misure non farmaceutiche (distanziamento sociale e lockdown) creano variabili ordinali per differenziare questi interventi (cioè, restrizioni basse, medie, alte) che devono essere aggiornate “manualmente” per tener conto dei cambiamenti (e sono stati molti) nelle misure organizzative. Perché le autorità nazionali ed europee non accedono ai dati sulla mobilità di Google e Apple e li usano come misura effettiva del distanziamento per metterla in relazione con diffusione del virus e mortalità e con tutte le altre variabili sociodemografiche e socioeconomiche? Non sarebbe forse ora che le nostre autorità governative e scientifiche ci dessero le loro spiegazioni o quanto meno le loro ipotesi su quali fattori possano spiegare l’alta mortalità del nostro paese? Ma anche a livello europeo sarebbe auspicabile che venissero finanziati studi comparativi. Dopo i sacrifici fatti, dopo #iorestoacasa e i canti sui balconi, dopo gli autoelogi dell’estate e dopo le nuove restrizioni dell’autunno, quelle del periodo natalizio e quelle che ci aspettano ancora nei primi mesi del 2021, non abbiamo diritto di sapere perché in Italia i morti continuano a essere tanti e anche il perché delle differenze tra i paesi europei?