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Home Economia

Economia. Auto in crisi di identità

Redazione di Redazione
27 Febbraio 2022
in Economia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Vignetta di Cecco

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Vignetta di Cecco

 

Tratto da lavoce.info

DI ANTONIO SILEO, direttore dell’Osservatorio sull’innovazione energetica dell’Istituto per la Competitività (I-Com) e fellow presso GREEN dell’Università Bocconi.

Il settore dell’automobile attraversa una difficile congiuntura. I produttori sono chiamati a ingenti investimenti per rendere le autovetture sempre meno inquinanti, meglio se elettriche. Ma in Italia e in Europa di auto se ne acquistano sempre meno.

Tornano gli incentivi, addirittura strutturali

Nel cosiddetto decreto bollette, il governo ha stanziato per il settore auto 800 milioni di euro per 2022 e un miliardo l’anno per il periodo dal 2023 al 2030.

I fondi hanno una duplice finalità: da un lato incentivare l’acquisto di nuove automobili, dall’altro contribuire alla riconversione dell’industria verso produzioni sempre più sostenibili. La ripartizione verrà decisa con decreti interministeriali del Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’Economia e con quello della Transizione ecologica.

Si tratta di risorse significative che rispondono a richieste del settore, le cui preoccupazioni erano state ripetutamente espresse dai sindacati, dalle associazioni di categoria, e anche dai politici, a cominciare dagli stessi ministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Cingolani.

Permangono le preoccupazioni

Il contesto resta infatti difficile ed è stata accolta con preoccupazione la notizia del rimborso anticipato del prestito da 6,3 miliardi di euro concesso da Intesa Sanpaolo a giugno 2020 a sostegno della ripartenza e della trasformazione del settore automotive all’allora Fca, ora Stellantis, con garanzia pubblica della Sace. E per questo l’azienda si è affrettata a confermare gli impegni presi con i lavoratori, a partire da quello di non chiudere alcun sito produttivo in Italia, mentre è atteso a breve l’accordo per la realizzazione della fabbrica di produzione di batterie a Termoli, in Molise, dove oggi lavorano più di 2.400 persone per produrre motori e trasmissioni.

Stellantis ha chiuso molto bene il 2021, il primo anno di attività, tanto da riconoscere ai 400 mila dipendenti sparsi in trenta paesi, 66 mila solo in Italia, un bonus complessivo di 1,9 miliardi di euro. Le apprensioni, tuttavia, restano e sono comprensibili e giustificate. Anche il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza nazionale, nella sua relazione annuale, presentata il 10 febbraio, ha sottolineato che il processo di transizione dovrà svolgersi in modo non traumatico per tener conto delle specificità del settore, le cui ricadute occupazionali ed economiche sono molto rilevanti per il nostro paese, e portato l’attenzione sul baricentro di Stellantis, troppo spostato verso la Francia. Il peso dell’azionista pubblico francese è cresciuto dopo la fusione e il Copasir propone un interessamento di Cassa depositi e prestiti, che con un suo eventuale ingresso nel gruppo potrebbe favorire il ribilanciamento dei pesi, proteggendo così tecnologie e occupazione.

Entrambe sono effettivamente a rischio. La lotta alle emissioni climalteranti e all’anidrite carbonica (CO2) in particolare è – soprattutto negli intenti –diffusa ovunque. Tuttavia l’Unione europea, e la sua Commissione in particolare, pare non perdere occasione per dimostrare di essere sempre almeno un passo avanti rispetto al resto del mondo.

Per quanto riguarda le automobili, il regolamento 2019/631, che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 di auto e veicoli commerciali leggeri, stabilisce un percorso chiaro e già avviato da tempo, ma tutt’altro che piano, per la riduzione delle emissioni di CO2, fissando degli obiettivi al 2025 e al 2030, che dovrebbero essere resi più severi con il Fit for 55 come proposto dalla Commissione, ma che qualcuno –per esempio l’eurodeputato olandese Jan Huitema – vorrebbe ancora ancora più stringenti.

Le norme europee nella formulazione attuale danno già un enorme vantaggio alle automobili elettriche (e anche a quelle alimentate a idrogeno), convenzionalmente considerate a zero emissioni di CO2, indipendentemente dal mix di generazione dell’energia con cui le auto (e le energivore batterie) sono state prodotte e indifferentemente dal mix di generazione del paese in cui vengono utilizzate. Produrre e utilizzare un autoveicolo elettrico in Polonia genera molte più emissioni dell’analogo veicolo prodotto e utilizzato in Italia, che, comunque, sempre a parità di condizioni, emetterebbe di più rispetto all’auto prodotta e utilizzata in Francia. Ovviamente, le emissioni non sarebbero mai zero, se non quando tutta l’energia utilizzata fosse prodotta da fonti rinnovabili. Fatto che permette di tenere aperto il dibattito a beneficio di interventi sulla decarbonizzazione degli attuali carburanti liquidi e gassosi, sia incrementando la frazione bio sia sviluppando nuovi prodotti di sintesi, che non produrrebbero nuova CO2, e avrebbero il vantaggio di interessare l’intero parco circolante e non solo e soltanto una frazione più o meno crescente di auto di nuova immatricolazione.

L’offerta sta cambiando, ma la domanda langue

Questo vantaggio e le onerose sanzioni a carico dei produttori in caso di mancato conseguimento degli obiettivi hanno portato a un notevole incremento dell’offerta di auto elettriche: oggi in Italia se ne possono acquistare 74 diversi modelli, 50 in più di quelli disponibili a giugno 2019, ma anche a una contrazione dei più “sfortunati” modelli endotermici, quelli più penalizzati nel conteggio delle emissioni. Citiamo, per esempio, l’apprezzata Suzuki Jimny, sfavorita dalle caratteristiche fuoristradistiche e paradossalmente dalla massa contenuta (il regolamento per non danneggiare le vetture di grandi dimensioni tiene infatti conto della massa media delle vetture immatricolate nell’anno) ormai disponibile in Europa solo in versione furgonata.

Una offerta più ampia e variegata di modelli elettrici e ibridi plug-in, nonostante gli incrementi delle rispettive domande, e incentivi più o meno generosi, tanto in Europa (Figura 1) quanto in Italia (Figura 2), ha inciso ben poco sulla significativa flessione delle vendite totali del 2020 e sul modestissimo recupero del 2021.

È una situazione in controtendenza rispetto alla generalizzata ripresa della economia e ai dati sull’utilizzo delle autovetture private, tornate in gran voga con il perdurare dell’emergenza pandemica.

La crisi dei microchip e semiconduttori, come mai si era visto nella storia recente, ha smagrito l’effettiva disponibilità di nuovi modelli e dilatato oltremodo i tempi di consegna, di certo scoraggiando più di un acquirente e dirottandone molti altri sul mercato dell’usato.

Acquistare un’automobile nuova, tanto più se mediamente accessoriata, non molto costosa e senza chiedere un finanziamento, oggi è un’impresa improba. Le case automobilistiche, infatti, tendono a privilegiare la vendita delle versioni con maggiori margini, sacrificando quelle meno remunerative.

Il rischio vero è che per molti consumatori le auto elettriche e anche ibride plug-in, quelle più premiate dalle norme europee, non rappresentino ancora un perfetto sostituto delle vetture con motorizzazioni endotermiche: i prossimi mesi, con il ritorno degli incentivi, potranno dare utili indicazioni.

E visto che gli importi non sono stati ancora stabiliti, facciamo in tempo a ricordare che i 61 mila euro come soglia massima di prezzo per le vetture elettriche incentivate sono valore niente affatto modesto.

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