Tratto da lavoce.info
DI MIRIAM ALLENA, professoressa sssociata di Diritto amministrativo presso l’Università Bocconi dove insegna da anni i corsi di Diritto amministrativo, Diritto dell’ambiente, Diritto dei contratti pubblici.
Il nuovo articolo 41 della Costituzione non si limita al riconoscimento della tutela dell’ambiente come interesse pubblico. Consente di mutare lo scopo d’impresa attraverso l’intervento legislativo, modificando l’idea stessa di attività economica privata.
Proteggere l’ambiente per le generazioni future
La legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, che ha modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione, ha riconosciuto un espresso rilievo alla tutela dell’ambiente, sia nella parte dedicata ai Principi fondamentali, sia tra le previsioni della cosiddetta Costituzione economica.
Così, il nuovo comma 3 dell’art. 9 Cost., nel prevedere che la Repubblica (dunque, tutti gli enti della Repubblica) “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, detta un criterio generale di azione dei pubblici poteri improntato alla protezione dell’ambiente.
Il criterio vincola oggi direttamente le istituzioni nazionali, anche a prescindere da ulteriori specificazioni normative: così, la previsione ribadisce sul piano interno il principio di integrazione delle esigenze ambientali nelle scelte pubbliche, già espresso dall’art. 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (a norma del quale “Le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”).
Sempre nell’art. 9, comma 3, essenziale è il richiamo alle generazioni future: il riferimento colora l’azione dei pubblici poteri a tutela dell’ambiente di una profondità intergenerazionale, in linea con quanto previsto da altre costituzioni europee (per esempio, quella francese, tedesca, polacca, portoghese, svedese) e, prima ancora, dal principio dello sviluppo sostenibile, riconosciuto a livello internazionale, europeo e nazionale (all’art. 3-quater del Codice dell’ambiente): quel principio impone infatti di perseguire uno sviluppo che assicuri il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri (così, la definizione del Rapporto Brundtland pubblicato dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo nel 1987).
Il ruolo dei privati
Se l’art. 9 è incentrato sul ruolo dei pubblici poteri nella tutela dell’ambiente, l’art. 41 allarga la prospettiva al ruolo dei privati. In particolare, il secondo comma prevede oggi che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno, oltre che alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, altresì “alla salute” e “all’ambiente”. E il terzo comma amplia – con l’espresso riferimento ai “fini ambientali” – il novero delle finalità a cui l’attività economica può essere indirizzata e coordinata dalla legge (“La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”).
La modifica apre la strada a una nuova relazione tra potere pubblico e mercato, con possibile, conseguente ri-espansione del ruolo dello stato nell’economia, in linea con le recenti politiche europee: si pensi al Green Deal, il piano ideato dalla Commissione europea nel 2019 per promuovere massicci investimenti pubblici, tra l’altro, nei settori dell’energia, della politica industriale e della mobilità, in un’ottica di transizione energetica. Non a caso, anche nel nome, il piano chiaramente rievoca l’esperienza del New Deal, il programma di politica economica promosso dal presidente statunitense Roosevelt negli anni Trenta del Novecento.
Si pensi altresì al Next Generation Eu, ossia al piano da oltre 700 milioni di euro per ricostruire l’Europa post Covid-19 promuovendo una economia più verde, più digitale e più resiliente, nel cui ambito si inseriscono i vari Recovery Plan approvati a livello nazionale, tra i quali il nostro Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).
Verso la responsabilità ambientale d’impresa
Non si tratta però solo di questo.
Si discute se la modifica dell’art. 41 Cost. (in particolare, del secondo comma) abbia la capacità di legittimare, pure in assenza di norme specifiche, addirittura una modifica dello scopo dell’impresa: quest’ultimo non sarebbe più (o non sarebbe solo) la massimizzazione del profitto, ma verrebbe a includere la sostenibilità o la responsabilità sociale di impresa.
Questa impostazione parrebbe smentita dal fatto che, già prima della riforma costituzionale, l’art. 41, comma 2, conteneva un riferimento alla “utilità sociale”, senza che ciò abbia indotto a letture estensive dello scopo di impresa. Non vi è dubbio, però, che la nuova previsione quantomeno consente al legislatore di imporre ai privati una internalizzazione delle esigenze ambientali nel contesto della loro finalità di impresa.
Insomma, il nuovo articolo 41 Cost. va ben al di là della individuazione della tutela dell’ambiente come un interesse pubblico prevalente che si impone ai soggetti privati dall’esterno, conformandone l’attività e limitandone la libertà di iniziativa economica. Consente di mutare in via legislativa lo scopo dell’impresa, trasformando l’interesse ambientale in un autentico interesse del soggetto regolato, con conseguente modifica della stessa idea di attività economica privata.
In questa direzione va del resto la recente proposta di direttiva sulla due diligence delle imprese in materia di sostenibilità, pubblicata dalla Commissione europea il 23 febbraio scorso: alle imprese (per ora, solo quelle di grandi dimensioni) che intendono accedere al mercato europeo, comprese quelle con sede al di fuori dell’Unione europea, viene chiesto di implementare sistemi e processi idonei a prevenire (e, laddove ciò non sia più possibile, a rimediare a) l’impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente causato dalla loro attività e lungo tutta la loro filiera produttiva. Anche se l’esito del processo legislativo europeo è tutt’ora incerto, la direzione pare segnata. Ed è significativo che leggi simili siano state già approvate in Francia e in Germania. La recente modifica costituzionale mette le basi per un intervento anche del legislatore italiano.
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