Tratto da lavoce.info
DI PAOLO FIGINI, professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna dove insegna dal 2000 e Professore Straordinario di Economia presso la North-West University in Sudafrica dal 2016
Le sanzioni economiche adottate contro la Russia provocano anche il blocco degli arrivi di turisti russi. Per l’Italia rappresentavano un mercato di 1,5 miliardi. È un prezzo da pagare, ma colpisce un settore già provato da due anni di pandemia.
I dati sui turisti russi
I turisti russi sono una conoscenza abituale degli albergatori italiani. Nonostante la Russia sia un paese a reddito medio (il reddito pro-capite nel 2019 era di 11.500 dollari, poco più di un terzo di quello italiano), con i suoi 144 milioni di abitanti è un mercato di grandi dimensioni e fortemente appetibile, anche per il settore turistico. E non parliamo dei viaggi degli oligarchi e delle loro famiglie in località come Cortina d’Ampezzo, Venezia o la Costa Smeralda. Vacanze che spesso guadagnano i titoli dei giornali per le loro spese pazze, gli eccessi e i capricci tipici di chi ha accumulato enormi patrimoni in poco tempo. Il turismo russo è (o forse è meglio dire “era”) molto altro. La Russia è un paese dalle forti disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, ma negli ultimi decenni la classe media urbanizzata è cresciuta molto e le famiglie che prima dello scoppio della guerra si potevano permettere una vacanza all’estero, anche in paesi dal costo della vita più elevato, erano ormai diversi milioni.
Che i russi amassero viaggiare all’estero è nei dati dell’Organizzazione mondiale del turismo: la Russia era al decimo posto mondiale nella classifica dei paesi con il maggior numero di viaggiatori in uscita (con 45 milioni e 330 mila partenze nel 2019). Saliva addirittura al sesto posto come spesa complessiva per turismo all’estero (circa 40 miliardi di dollari), dietro solo a Cina, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia, segnale che i turisti russi hanno una spiccata propensione alla spesa. Il russo che viaggiava all’estero era un turista di valore: la sua spesa pro-capite era di 896 dollari nel 2019, un dato non troppo distante dalla spesa media di turisti che provengono da mercati molto più ricchi come quello olandese o quello tedesco (la cui spesa pro-capite era rispettivamente, sempre nel 2019, di 1023 e 1017 dollari). Ed è significativo notare che la spesa pro-capite dei russi fosse molto più alta di quella dei vicini polacchi e ucraini (201 e 303 dollari, rispettivamente).
Quanto spendevano in Italia
E dove viaggiavano i turisti russi nel mondo pre-pandemia e pre-guerra? Al netto dei viaggi nelle ex-repubbliche sovietiche (Kazakhstan, Ucraina, Estonia, Georgia), il nostro paese costituiva la sesta destinazione, dopo Turchia, Finlandia, Cina, Tailandia e Germania, per un totale di un milione e ottocentomila arrivi nel 2019. Per il turismo italiano, la Russia costituiva il decimo mercato per numero di arrivi e addirittura l’ottavo per numero complessivo di presenze (5.819.444, comunque in calo rispetto al picco di quasi 8 milioni di presenze del 2013). Per avere un termine di paragone, le presenze in Italia erano superiori, seppur di poco, a quelle provenienti da Spagna e Cina.
Elaborazioni compiute qui dall’Istat su dati della Banca d’Italia forniscono inoltre una fotografia più precisa della composizione della spesa turistica dei russi. Al netto degli escursionisti, la spesa pro-capite del turista russo in Italia nel 2019 era di 947 euro, primo mercato europeo per questo indicatore e settimo complessivo per il nostro paese dopo Giappone, Cina, Canada, Australia, Stati Uniti e Brasile. Come termine di confronto, i turisti più importanti per l’Italia, i tedeschi, spendevano 515 euro a viaggio. Il valore della spesa pro-capite dipende ovviamente dalla durata della vacanza, che a sua volta è legata alla distanza (i viaggiatori provenienti da paesi lontani tendono ad avere permanenze più lunghe e quindi a spendere complessivamente di più per ogni viaggio). Più interessante è allora analizzare la spesa pro-capite giornaliera, un indicatore più preciso del valore che i turisti danno a un giorno di vacanza in Italia. In questa specifica classifica, i russi spendevano 145,6 euro al giorno, molto più degli 89 dei tedeschi, ma anche più dei 140,2 euro degli statunitensi, e erano quarti complessivamente dietro a Giappone (€ 232,4), Canada (€ 152,6) e Cina (€ 150,9).
La scomposizione della spesa giornaliera per categoria di prodotto è simile a quella degli altri mercati per quanto riguarda la spesa per trasporti locali (circa € 13 al giorno), per ristorazione (circa € 30) e per alloggio (circa € 65). Al contrario, i russi spendevano relativamente di più per acquisti (€ 28,7 al giorno, valore simile ai € 29,6 del Giappone ma molto più alto dei € 16,6 degli Stati Uniti e € 13,4 della Germania). Insomma, anche nei dati si intravede lo stereotipo del turista russo, che spende tanto e con una propensione particolare allo shopping, che però non è solo quello del lusso e delle grandi firme.
Le conseguenze del blocco
In conclusione, il mercato russo valeva circa 1,5-2 miliardi l’anno, il 3-4 per cento dell’export turistico italiano. Con l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni economiche, questi numeri saranno praticamente azzerati nel 2022.
Si tratta di una perdita di mercato rilevante che, come sempre avviene con le crisi, colpirà in maniera asimmetrica i settori che compongono il prodotto turistico, ma anche le destinazioni. Solo per fare un esempio, la Russia era il secondo mercato per Rimini (112 mila arrivi e 544 mila presenze nel 2019, dietro la Germania), il sesto per Milano (182 mila arrivi e 431 mila presenze) e solo il dodicesimo per Venezia (161 mila arrivi e 525 mila presenze).
La perdita del 3 per cento dell’export non è per sé un dato gravissimo, il problema è che si aggiunge a due anni molto complicati per il turismo, già duramente provato dalla pandemia. E in uno scenario geo-politico internazionale tutt’altro che positivo, in cui gli effetti collaterali della guerra colpiranno parzialmente anche altri mercati rilevanti per il turismo (quello ucraino, ma non solo). È dunque un ulteriore elemento di crisi e di incertezza per un settore che deve già impegnarsi a ricostruirsi, in base a criteri di sostenibilità ambientale e sociale, oltre che di redditività, come abbiamo già scritto qui.
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