Tratto da lavoce.info
DI ALESSIA AMIGHINI, professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell’ISPI.
Per disinnescare la crisi ucraina, l’amministrazione Biden e i suoi alleati hanno ventilato l’ipotesi di nuove sanzioni contro la Russia. Gli americani dicono che comporterebbero costi imponenti per Mosca, ma non è chiaro quanto la minaccia sia reale.
Sanzioni in caso di invasione dell’Ucraina
Nel tentativo di dissuadere la Russia da un’invasione dell’Ucraina, il Segretario di stato americano Antony Blinken ha dichiarato: “Siamo stati chiari con la Russia su ciò che dovrà affrontare se continua su questa strada, comprese le misure economiche che non abbiamo usato prima – conseguenze massicce”. “Prima” si riferisce chiaramente agli otto anni di sanzioni tuttora in vigore contro la Russia, decise dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Tutte le sanzioni – e le misure aggiuntive imposte dopo l’interferenza di Mosca nelle elezioni del 2016 e dopo il cyberattacco SolarWinds nel 2020, che ha sabotato i programmi informatici utilizzati dal governo federale e dalle aziende americane – rimangono in vigore, ma non è chiaro quali siano stati i loro veri effetti.
Secondo una revisione interna di quelle azioni, condotta dalla Casa Bianca nelle ultime settimane, le sanzioni dell’amministrazione Obama hanno danneggiato l’economia della Russia e portato a una svalutazione della sua valuta, ma hanno fallito l’obiettivo strategico centrale: causare costi tanto elevati da costringere Vladimir Putin a ritirarsi. Oggi la Russia continua a occupare la Crimea e ha ignorato la maggior parte degli impegni diplomatici assunti nei negoziati che sono seguiti all’invasione, noti come gli accordi di Minsk.
Ora, la batteria di sanzioni che gli Stati Uniti e i loro alleati stanno architettando comprende tre tipi di misure: quelle tecnologiche, che prevedono l’imposizione di un embargo sulla tecnologia prodotta o progettata in America necessaria per la difesa e le industrie di consumo; quelle militari, come l’armamento degli insorti in Ucraina che dovrebbero condurre una sorta di guerriglia contro un’eventuale occupazione militare russa.
Soprattutto, però, comprendono sanzioni economiche, che vanno ben oltre le misure restrittive su alcune istituzioni finanziarie, ma arrivano a prevedere l’esclusione delle maggiori istituzioni finanziarie russe dalle transazioni globali. Secondo il New York Times, i funzionari americani si sono rifiutati di commentare l’ipotesi che gli Stati Uniti sarebbero pronti a tagliare la Russia fuori dal sistema Swift, che esegue transazioni finanziarie globali tra più di 1.100 banche in duecento paesi. Ma i funzionari europei dicono di averne discusso, benché la maggior parte delle grandi potenze europee abbia ragionevoli timori che la Russia reagirebbe tagliando i flussi di gas e petrolio in inverno, anche solo temporaneamente.
Uno strumento efficace?
Gli studi empirici sull’efficacia delle sanzioni economiche mostrano che vi sono diversi fattori che ne condizionano o determinano gli effetti. Secondo Dursun Peksen, sono più efficaci se applicate multilateralmente da un organismo internazionale; se impongono significativi costi economici sui paesi obiettivo e se sono imposte con obiettivi specifici e non troppo ambiziosi, come cambi radicali di regime. Al contrario, tendono a non avere effetto le sanzioni imposte unilateralmente e con limitati costi economici, in quanto vengono più facilmente aggirate rivolgendosi a paesi disponibili a sostenere quelli sanzionati. Infatti, ogni regime di sanzioni rimane vulnerabile agli stati che, attratti dai potenziali benefici o profitti, ne vanificano l’effetto complessivo. Per esempio, in diverse occasioni durante la guerra fredda, i regimi di sanzioni sono stati minati dall’Urss o dagli Stati Uniti che sostenevano i loro alleati contro le sanzioni nemiche. L’Urss ha così sostituito i prodotti americani sotto embargo a Cuba negli anni Sessanta. Gli Stati Uniti fecero lo stesso quando Mosca applicò sanzioni contro la Jugoslavia nel 1948, limitandone in entrambi i casi l’effetto.
Le sanzioni spesso costringono gli stati sanzionati a chiudersi e sostituire le importazioni, tentando di sviluppare le proprie industrie per diventare autosufficienti. La stessa Russia si vanta per la sua politica di “sostituzione delle importazioni”, in atto dal 2014. A lungo termine, questo ha l’effetto di rendere lo stato sanzionato più autosufficiente e meno dipendente dalle importazioni e dai beni di altri paesi. Pertanto, gli effetti delle sanzioni, se poco incisive e facilmente aggirabili, tendono a diventare inefficaci nel tempo. Sembra essere proprio il caso della Russia dopo il 2014. Nel giugno 2021, Putin ha affermato che il paese ha prosperato, nonostante le sanzioni statunitensi. Politiche fiscali e monetarie prudenti insieme a una regolamentazione per rafforzare il sistema bancario hanno contribuito a creare quella che è stata soprannominata “Fortezza Russia”. Il Cremlino ha costruito un alto grado di autonomia interna per l’economia nazionale e ha così mitigato il costo delle sanzioni imposte da attori stranieri.
Le relazioni con la Cina
Oggi, le crescenti relazioni economiche con la Cina danno alla Russia la fiducia di poter sopportare ulteriori inasprimenti nelle sanzioni. Le due economie si completano naturalmente a vicenda. Specularmente alla Cina, la Russia ha un’enorme dotazione di risorse naturali, ma ha bisogno di tecnologia e capitale. Pechino si è impegnata a decarbonizzare la sua economia entro il 2060, e il passaggio dal carbone al gas naturale fa parte della strategia cinese per raggiungere l’obiettivo. Il commercio tra i due vicini è cresciuto da 10,7 miliardi di dollari nel 2001 a quasi 140 miliardi di dollari nel 2021 ed è destinato a espandersi ulteriormente con progetti già avviati come il gasdotto Power of Siberia, che raggiunge la piena capacità di 36 bcm/anno, e il lancio di nuove iniziative come il Power of Siberia 2, con 50 bcm/anno di capacità. Pechino vuole assicurarsi l’accesso alle materie prime trasportate su rotte terrestri sicure da uno stato amico, mentre Mosca vuole diminuire la sua dipendenza dai mercati europei e monetizzare le risorse naturali prima che la transizione energetica globale si abbatta sui prezzi degli idrocarburi nei prossimi decenni.
Sotto il profilo finanziario, secondo Reuters, nel 2014 la Russia ha creato il proprio sistema di pagamento con carta (Mir, che in russo significa “mondo” o “pace”) perché temeva che le sanzioni statunitensi ed europee contro alcune banche e uomini d’affari russi per l’annessione della Crimea potessero bloccare le transazioni effettuate con Mastercard e Visa, che hanno sede negli Stati Uniti. Nspk, creato dalla banca centrale, ha ricevuto una spinta dalla legislazione, che obbliga i dipendenti pubblici a ricevere i loro stipendi sulle carte Mir; anche i pagamenti delle pensioni, così come i sussidi per i figli e la disoccupazione, saranno pagati solo con le carte Mir, per raggiungere una quota di mercato del 30 per cento nei prossimi due anni. Ladimir Komlev, il capo del sistema Nspk, ha annunciato che le carte Mir saranno operative in alcune banche in dodici paesi stranieri. La Nspk non è soggetta alle sanzioni occidentali e aiuterà la Russia a dribblare eventuali blocchi al sistema delle transazioni finanziarie internazionali.
Sono proprio questi canali finanziari paralleli al sistema del dollaro il fattore nuovo che la letteratura sull’efficacia delle sanzioni non ha ancora incorporato appieno.
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