Tratto da lavoce.info
DI ENRICO D’ELIA, economista, ha lavorato al Mef, all’Isae, all’Istat, all’Eurostat e all’Ipi ed ha diretto vari progetti di cooperazione internazionale
Di fronte all’attuale fiammata inflazionistica c’è chi invoca un calmiere dei prezzi e la tassazione degli extra-profitti. Ma sono armi spuntate. Sarebbe più efficace stimolare la concorrenza attraverso campagne di informazione per i consumatori.
Provvedimenti inefficaci
Cresce la richiesta di un calmiere sui prezzi dell’energia e di “ristori” per le famiglie e le imprese più deboli, eventualmente finanziati con una imposta straordinaria sugli extra-profitti realizzati dalle compagnie petrolifere e dai fornitori di gas. Purtroppo, provvedimenti come questi si sono già dimostrati poco efficaci in passato.
I controlli amministrativi sui prezzi hanno dato cattivi risultati negli anni Settanta, quando furono adottati per contrastare gli effetti di shock sui prezzi dell’energia e sui cambi. Il blocco dei prezzi funzionò solo per i beni e servizi forniti dalle imprese controllate direttamente dallo stato, che allora comprendevano quasi tutto il settore energetico e dei trasporti, anche se l’impatto sui rispettivi bilanci è stato pagato da tutti i contribuenti per anni. Invece in quasi tutti gli altri settori il calmiere determinò carenze di offerta e mercato nero, perché non si può costringere nessuno a operare in perdita, a meno di compensarlo con sussidi che, alla lunga, ricadono sempre sui contribuenti.
Hanno molte controindicazioni anche i prelievi straordinari sulle imprese che avrebbero guadagnato di più dai rincari. Queste imprese, infatti, godono generalmente di un potere di mercato tale da scaricare agevolmente i maggiori oneri fiscali sugli utenti (con prezzi più alti e servizi peggiori), sui fornitori (imponendo “sconti” e dilazioni di pagamento) e sui dipendenti (con licenziamenti e un peggioramento di retribuzioni e condizioni di lavoro). Si chiama “traslazione” dei tributi, ne parlavano già economisti come Alfred Marshall e Maffeo Pantaleoni più di un secolo e mezzo fa e per contrastarla sarebbero necessari controlli amministrativi asfissianti e una rigorosa politica antitrust per colpire le posizioni dominanti.
Alla ricerca del prezzo più basso
Per frenare i prezzi e limitare la traslazione degli oneri su altri soggetti, si potrebbe adottare una strategia basata su una migliore informazione dei consumatori. Misure di questo tipo sono state utilizzate con successo durante l’ondata di rincari dei primi anni Duemila. Il meccanismo è semplice e sfrutta una “debolezza” dei mercati reali, che sono caratterizzati dall’eterogeneità dei prezzi di uno stesso prodotto.
In alcuni mercati (come quello dei carburanti in autostrada) le imprese si polarizzano tra quelle che praticano prezzi molto bassi, puntando sulla maggioranza di clienti più informati e accorti, e quelle che praticano prezzi molto alti che, pur attirando solo pochi acquirenti disattenti o pressati dalle circostanze, garantiscono comunque profitti adeguati.
Quando un consumatore o purchasing manager si accinge a fare acquisti è dunque costretto a condurre una piccola indagine di mercato per trovare l’offerta migliore. Tuttavia, la ricerca costa tempo e risorse e quindi si interrompe dopo pochi tentativi, cosicché raramente chi compra lo fa alle condizioni migliori. Con qualche piccolo “aiutino” si può migliorare il risultato della ricerca.
Ad esempio, l’Osservatorio prezzi e tariffe del Ministero dello Sviluppo economico diffonde da anni le medie provinciali dei prezzi di molti beni e servizi. L’informazione è utilissima per il consumatore, perché, anche senza fare troppe indagini, può evitare subito i punti vendita più cari, esercitando una pressione verso il basso su tutta la distribuzione dei prezzi.
La letteratura sulle misure antitrust paventa il rischio che “troppa” informazione sui prezzi favorisca la collusione tra i punti vendita, ma è un pericolo ampiamente compensato dalla riduzione dell’asimmetria informativa tra venditori e acquirenti. In ogni caso, l’effetto calmiere funziona solo per beni e servizi standardizzati (proprio come carburanti, tariffe e alimentari), altrimenti il consumatore potrebbe ugualmente preferire offerte più costose ritenendo che prezzi più alti “segnalino” prodotti qualitativamente migliori, come evidenziato anche da Joseph Stiglitz.
L’effetto calmiere potrebbe essere ancora più forte se l’Osservatorio diffondesse i prezzi praticati dal 10-20 per cento dei punti vendita più economici, come si suggeriva qui (p. 110), perché in questo caso il consumatore sarebbe incentivato a continuare la sua ricerca fino a trovare le “occasioni”. Tuttavia, il meccanismo funziona solo se i prezzi di riferimento pubblicati dall’Osservatorio non sono troppo bassi, perché quasi nessuno è disposto a perdere tempo inseguendo offerte praticamente introvabili (come le tariffe-civetta di alcune compagnie di trasporti).
In passato, diverse amministrazioni comunali si sono ispirate più o meno consapevolmente a questa strategia per lanciare iniziative come “Prezzo fresco” (Firenze), “Un prezzo in comune” (Venezia), “Roma spende bene” e “Palermo spende meglio”, che fornivano informazioni sui prezzi praticati sui generi di prima necessità. È possibile verificare qui (p. 31) che, a parità di altre condizioni, tra il 2004 e il 2005 l’inflazione è risultata inferiore di 4 decimi di punto l’anno proprio in queste città. Oggi sono disponibili diverse app che ricercano la soluzione più economica per assicurazioni, servizi bancari, carburanti, servizi telefonici o utenze gas e luce quindi i risultati potrebbero essere anche migliori.
Questi strumenti sono caduti nel dimenticatoio da quando l’inflazione è scesa ben al di sotto del 2 per cento “tollerato” dalla Banca centrale europea, ma oggi potrebbero essere rivitalizzati. Il loro costo è molto inferiore a un sistema di controlli e sussidi e la loro efficacia si basa su meccanismi di mercato che tendono ad autoalimentarsi. Infatti, la ricerca di prezzi inferiori a quelli di riferimento trascina tutti i prezzi verso il basso e il processo abbassa ulteriormente i prezzi-soglia. Si tratta di un circolo virtuoso che può essere addirittura pericoloso durante un periodo di deflazione, ma è utile quando i prezzi crescono troppo velocemente. In base allo stesso principio, però, è del tutto controproducente lanciare giornalmente allarmi sui rincari di alcuni prodotti e sugli scaffali vuoti, che non fanno che spingere i consumatori a fare scorte, incoraggiando ulteriori rincari.
*Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono in alcun modo le istituzioni con cui collabora l’autore.
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