Tratto da lavoce.info
DI CARLO STAGNARO, direttore delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni.
Finora domanda e prezzi di gas hanno seguito un andamento stagionale. Ma ai prezzi attuali c’è il rischio che gli operatori non provvedano agli stoccaggi durante l’estate. Per arrivare preparati al prossimo inverno si possono adottare varie strategie.
Stoccaggi ai minimi termini
Il consiglio energia straordinario del 28 febbraio ha acceso un faro sugli stoccaggi europei di gas. Secondo quanto ha riferito la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, il livello di riempimento a fine aprile si collocherà attorno al 18 per cento, contro il 30 per cento degli anni precedenti. Se, dunque, non ci si aspettano grandi problemi per superare la stagione invernale, è essenziale prendere tutti i provvedimenti necessari per garantire di arrivare pronti all’inizio del prossimo anno termico. Ma perché gli stoccaggi sono tanto importanti?
La domanda di gas, in Europa, è fortemente stagionale e ha un picco nei mesi freddi. Il consumo di punta, quando le temperature sono più rigide, può essere anche doppio rispetto alle giornate più calde (Figura 1). Per compensare la pronunciata stagionalità e fare un utilizzo efficiente delle infrastrutture di trasporto, gli operatori acquistano quantitativi di gas quando la richiesta è minima e ritirano il metano quando la domanda di riscaldamento cresce.
In Italia, gli stoccaggi sono gestiti da operatori privati: il principale è Stogit, società del gruppo Snam, che controlla dieci dei quindici siti esistenti. Poiché essi hanno alcune caratteristiche del monopolio naturale, il loro utilizzo è regolato: l’Autorità per l’energia stabilisce i criteri per la qualità del servizio e conferisce la capacità agli operatori attraverso procedure concorsuali. Attualmente, la capacità complessiva si aggira attorno ai 14 miliardi di metri cubi (Figura 2), cui se ne aggiungono altri 4,6 destinati allo stoccaggio strategico (che può essere movimentato solo per ordine del governo e in situazioni di emergenza).
Il gas che viene iniettato (e ritirato) dagli stoccaggi appartiene invece agli operatori stessi. Tranne che per la parte di stoccaggio strategico, il loro modello di business è essenzialmente commerciale. Infatti, la variabilità stagionale nei consumi corrisponde, in tempi normali, a una variabilità analoga dei prezzi. Per esempio, nel luglio del 2019, mille metri cubi di gas costavano circa 107 euro, mentre a novembre dello stesso anno quasi 160 euro. Questo spread ha sempre consentito di allineare gli incentivi economici dei singoli alle esigenze di sicurezza del sistema. Le cose hanno cominciato a guastarsi alla metà dello scorso anno: la crescita repentina dei prezzi del gas (Figura 3) ha preso gli operatori in contropiede, determinando minori acquisti rispetto al solito (Figura 4). Una dinamica rialzista, infatti, ha due implicazioni: da un lato maggiori rischi, perché lo spread estate-inverno potrebbe esserne eroso; dall’altro maggiori costi, legati all’immobilizzazione del gas.
La situazione, adesso, sta diventando esplosiva. I prezzi hanno stabilmente raggiungo livelli mai visti, attorno (o sopra) alle quattro-cinque volte le medie storiche. Peggio ancora, la curva forward sembra aver cancellato ogni spread stagionale: il TTF (il gas scambiato sulla piazza di Amsterdam che funge da benchmark per l’Europa) con consegna fisica quest’estate si aggira attorno ai 140 euro / MWh, mentre per il periodo invernale è di circa 120 euro / MWh (corrispondenti, rispettivamente, a circa 1.400 e 1.200 euro per mille metri cubi). In aggiunta a questi prezzi, lo stoccaggio di 14 miliardi di metri cubi di gas (la capacità potenzialmente disponibile) implica un’immobilizzazione del controvalore di circa 15-20 miliardi di euro. Il delta nei prezzi forward, proiettato sull’intera materia prima, comporta una perdita attesa di 2-3 miliardi. C’è quindi un serio rischio che, in assenza di interventi, il riempimento degli stoccaggi all’inizio dell’inverno sarà insoddisfacente. Oltre tutto, più bassa è la quantità di gas accumulato, più si riduce la pressione a cui esso può essere erogato, cosa che può determinare ulteriori problemi in caso di emergenza.
Come uscirne? La commissaria Simson ha parlato della possibilità di stabilire livelli minimi di riempimento. Una richiesta simile è arrivata dall’Agenzia internazionale per l’energia. La scelta di fondo, prima ancora che le modalità pratiche, riguarda però il grado di socializzazione dei rischi: fino a che punto si ritiene desiderabile che il costo della sicurezza sia posto a carico della collettività, e quanto invece è opportuno che sia condiviso dagli operatori, incentivandoli così a una gestione più efficiente degli approvvigionamenti? Nel primo caso, si può percorrere la via dell’obbligatorietà o addirittura assegnare a un soggetto regolato, per esempio Snam, il compito di provvedere al riempimento di tutto lo spazio di stoccaggio rimasto libero decorsa una certa data (per esempio, il 1 agosto). In tal caso, il costo dell’intera operazione entrerebbe a far parte delle tariffe gas e, nel caso in cui i prezzi di vendita fossero inferiori a quelli di acquisto, la differenza la pagherebbe Pantalone.
In alternativa, si potrebbe battere una strada più di mercato, con una migliore ripartizione dei rischi tra i privati e i consumatori. Oggi le tariffe di stoccaggio sono a carico degli operatori. In un contesto completamente cambiato, l’attività di stoccaggio non è più un servizio che viene reso agli operatori, ma un servizio che gli operatori rendono al sistema. Si potrebbe quindi prevedere la possibilità che le aste per l’allocazione dei volumi di stoccaggio si chiudano a prezzi negativi. Questo consentirebbe di incorporare nell’attività di stoccaggio il costo opportunità degli operatori. Inoltre, farebbe emergere in modo trasparente la spesa per la sicurezza del sistema che, con altri meccanismi, finirebbe “affondata” all’interno di componenti tariffarie incomprensibili ai più. I prezzi negativi, d’altronde, sono un fenomeno raro ma non privo di precedenti nel settore dell’energia: lo abbiamo visto, tra l’altro, nel caso dell’energia elettrica e del petrolio.
Oppure si potrebbero trovare dei sistemi ibridi, come sembra che stia facendo la Germania, attraverso un meccanismo di premi e sanzioni (e, in ultima analisi, obblighi) a carico degli operatori. Una qualche forma di condivisione dei costi e del rischio è inevitabile: la domanda è quale sia lo strumento più efficace. Intervenire sulle tariffe e consentire prezzi negativi consente di non stravolgere il funzionamento del sistema, lasciando intatti i ruoli di ciascun partecipante al mercato, e minimizzare la spesa a carico dei consumatori.
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