Tratto da lavoce.info
DI MICHELE POLO, professore Ordinario di Economia Politica presso l’Università Bocconi
È difficile valutare se l’accordo sul tetto al prezzo del gas sarà efficace. Lo schema si applica solo a una parte delle transazioni sui mercati spot, escludendo i contratti bilaterali. Basta dunque uno spostamento degli scambi per vanificare gli sforzi.
L’accordo trovato
E alla fine la montagna europea ha partorito, ma quale sia la natura del nascituro è difficile da valutare. La questione del gas ha visto i paesi dell’Unione su posizioni e con interessi molto eterogenei. Alcuni, come Germania e Italia, con elevate importazioni di gas e una storica dipendenza da quelle russe. I paesi della penisola iberica relativamente separati dalla griglia dei gasdotti europei e con una importante capacità di rigassificazione. Olanda e Norvegia paesi produttori di gas. Il fatto di trovare un accordo su una materia dove gli interessi sono così divergenti è quindi di per sé un importante atto politico.
Valutare l’impatto di queste misure è tuttavia altra cosa. Vediamo prima di tutto in cosa consiste lo schema che si è guadagnato il nome di price cap. Viene fissata una doppia soglia per calmierare il prezzo del gas: 180 €/MWh (riducendolo notevolmente rispetto a quanto inizialmente prospettato con 275€/MWh), o una quotazione non superiore di 35 euro (e non più 58 euro come inizialmente indicato) rispetto a quella del gas naturale liquefatto. Se il limite verrà superato per almeno tre giorni consecutivi, queste soglie diverranno vincolanti per le transazioni nei 20 giorni successivi.
Valutare se tali livelli siano efficaci o meno richiede di considerarli rispetto alle quotazioni del gas nel mercato spot olandese. Oggi il prezzo spot è attorno ai 100€/MWh, ma nei mesi scorsi, e soprattutto in estate, ha toccato vette superiori ai 300€/MWh.
Ma il vero banco di prova richiede di valutare la fattibilità di questo schema di regolamentazione dei prezzi. Le misure previste si applicano alle quotazioni sui mercati spot, per quanto in essi vengano scambiate quantità molto inferiori rispetto a quello che sono regolate da contratti di lungo periodo via gasdotto. Questi ultimi prevedono un meccanismo di fissazione del prezzo agganciato alle quotazioni spot. Non potendo intervenire direttamente sui grandi contratti di importazione, riuscire a ridurre il prezzo spot del gas permette tuttavia di incidere sul prezzo a cui gran parte del gas importato viene scambiato, invertendo il meccanismo che in questi mesi ha invece avvantaggiato i paesi fornitori e in particolare la Russia.
La tempesta perfetta del 2022
Si è spesso sostenuto nei mesi scorsi che i mercati spot siano una specie di far west dove gli “speculatori” la fanno da padroni. Ma in realtà le quotazioni su questi mercati, sicuramente caratterizzate da forte variabilità, hanno seguito fedelmente l’evolversi dei fondamentali, iniziando a crescere nel settembre 2021 con l’espansione della domanda asiatica, trascinata dalla crescita post-pandemia di quell’area economica, e poi esplodendo dopo l’invasione dell’Ucraina con la tempesta perfetta dei primi otto mesi del 2022. Vi hanno concorso le riduzioni nelle forniture russe, la difficoltà di trovare fonti alternative, la necessità di riempire gli stoccaggi in previsione dell’inverno. A questi fattori si è aggiunto un aumento nella domanda di gas per la produzione di elettricità esasperata dalla manutenzione della metà delle centrali nucleari francesi, dall’estate siccitosa che ha prosciugato i bacini idroelettrici, al poco vento e alle elevate temperature che hanno aumentato le necessità di raffreddamento. La flessione dei mesi autunnali ha poi una spiegazione nella conclusione del ciclo di riempimento degli stoccaggi, nel clima mite che ha posticipato i consumi per riscaldamento e nella riduzione della domanda di gas da parte di molti settori industriali.
Restano escluse le transazioni bilaterali
Il meccanismo varato dalla Ue si propone quindi di incidere sul prezzo determinato in un mercato dall’interazione tra domanda e offerta. Nel momento in cui le soglie sopra indicate iniziano a stringere, il prezzo che si determinerebbe nel mercato sarebbe quindi superiore ai livelli consentiti. Si tratta di capire cosa succederà in quei casi.
Da quanto si legge, il meccanismo si applica al prezzo che si forma nella parte organizzata dei mercati spot, dove le domande e le offerte vengono raccolte per determinare un market clearing price. Ne rimangono escluse le transazioni bilaterali (le cosiddette over-the-counter), che ammontano a una quota oggi maggioritaria. Il pericolo è che quindi una soglia applicata solamente a una parte delle transazioni sposti gli scambi alla parte bilaterale, vanificando gli sforzi.
In secondo luogo, l’eccesso di domanda che si crea ponendo un cap al prezzo al di sotto di quello di mercato richiede o di incidere sulla domanda, riducendola secondo le indicazioni della Commissione ma in modi non ancora adeguatamente precisati, o di aumentare l’offerta al prezzo vincolato. O una combinazione delle due misure.
Quale sia il soggetto che operi da fornitore di ultima istanza nel caso in cui i vincoli divengano stringenti non è oggi chiaro: un soggetto europeo che centralmente operi in questo senso sarebbe necessario, ma la sua creazione richiede tempi ben più lungi del 15 febbraio, data di avvio del nuovo meccanismo. E non è sufficiente centralizzare le forniture al prezzo vincolato, perché è necessario trovare chi a quel prezzo, inferiore a quello di mercato, sia disposto a vendere al regolatore europeo. Un problema di credibilità i cui esiti non è facile prevedere.
Per ovviare a queste possibili situazioni di stallo sono previste clausole di salvaguardia che sospendano il meccanismo in caso di forti squilibri tra domanda e offerta, clausole che evidentemente riducono la credibilità del regolatore europeo nel resistere alle tensioni del mercato.
Questi sono i dubbi, al lettore la risposta su cosa abbia prodotto dopo molti mesi la montagna europea.
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