Tratto da lavoce.info
DI RONY HAMAUI, professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente di Intesa Sanpaolo ForValue
Molti partiti si presentano agli elettori con poche promesse facilmente monitorabili, ma non sostenute da analisi sui loro costi o fattibilità. Cadute le ideologie, c’è poco spazio per i partiti di centro, che dovrebbero arginare le derive populiste.
Dai programmi alle promesse
Tra pochi giorni i partiti politici presenteranno i loro programmi elettorali. Questi per molto tempo sono stati lunghi documenti che contenevano un’infinità di promesse e di dichiarazioni di principio su molti temi ritenuti importanti. In un clima di fiducia nella classe politica, gli elettori, di fatto, delegavano ai partiti il compito di interpretare tali programmi e attuarli in maniera ragionevole, magari attraverso qualche compromesso con gli altri partiti della futura maggioranza.
Con la caduta della fiducia nella classe politica la strategia comunicativa, ma anche politica, dei partiti è cambiata. Oggi molti di essi, accanto agli articolati programmi ufficiali, si presentano agli elettori con poche proposte bandiera semplici e facilmente verificabili. Si pensi al reddito di cittadinanza o a Quota 100, che nelle scorse elezioni hanno caratterizzato i provvedimenti bandiera rispettivamente del Movimento 5 Stelle e della Lega. In questa tornata elettorale, Silvio Berlusconi ha già sbandierato la promessa di voler garantire almeno mille euro al mese ad ogni pensionato e di impegnarsi a piantare un milione di alberi. Nelle prossime settimane, certamente anche il Movimento Cinque Stelle e la Lega usciranno con i loro obiettivi bandiera, tra cui probabilmente il salario minimo, il famigerato ponte sullo stretto di Messina o l’abolizione della legge Fornero, permettendo a molti di andare rapidamente in pensione. In questo modo, in un clima di generale sfiducia verso la politica, essi ritengono, forse non a torto, più facile conquistarsi il consenso degli elettori.
Ovviamente, il più delle volte queste promesse elettorali non sono accompagnate da alcuna analisi sulla loro fattibilità, sulle loro conseguenze macroeconomiche, sui loro costi, sulle fonti dalle quali attingere le risorse per poterli attuare e, quindi, sulle loro conseguenze in termini di stabilità finanziaria. La competizione elettorale porta poi ad una rincorsa a rendere più attraente e generose le promesse, allargando anche la platea dei beneficiari. Inoltre, nel futuro governo di coalizione le puntuali proposte avanzate dai singoli partiti non possono trovare alcuna mediazione ma si sommano in modo che ogni partito possa rivendicare di avere raggiunto il proprio obiettivo. Questo, per esempio, è successo con il primo governo Conte dove i programmi della Lega sono stati realizzati assieme a quelli dei Cinque Stelle senza badare a spese.
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I mezzi di comunicazione e social media che, dovrebbero svolgere un ruolo critico nell’analizzare la fattibilità delle differenti proposte, il più delle volte hanno giocato solo da cassa di risonanza alla propaganda politica. Esiste anche una vasta aneddotica che attesta come l’entrata in scena dei partiti populisti si accompagni a un aumento delle fake news in rete.
Il populismo e i partiti di centro
Questo tipo di offerta politica è stata ben modellata dalla recente letteratura economica sul populismo. Luigi Guiso e coautori hanno per la prima volta identificato chiaramente i fattori di domanda e offerta alla base delle ondate populiste, mentre Massimo Morelli, Antonio Nicolò e Paolo Roberti hanno mostrato come la sfiducia nelle istituzioni porti i partiti a proporre ricette semplicistiche. L’evidenza empirica ha poi indicato che, una volta al potere, i partiti populisti tendono a realizzare le loro promesse senza preoccuparsi troppo delle conseguenze finanziare di medio e lungo periodo.
La scomparsa delle ideologie rende, infine, l’elettorato molto più fluido e disposto a votare i partiti/programmi che ritengono più consoni ai loro interessi senza guardare troppo allo schieramento a cui appartengono. In questo contesto, gli umori dell’opinione pubblica e dei gruppi sociali ben organizzati finiscono per esercitare una grossa influenza sui programmi elettorali dei partiti che cercano di conquistarsi il consenso. L’assenza di leader carismatici non fa che rafforzare questa tendenza. A questo modello, la letteratura scientifica ne ha contrapposto un altro nel quale gli elettori scelgono i leader che poi dettano l’agenda politica.
Nel primo modello, che oggi sembra prevalere in Italia, i partiti cercano di occupare tutto lo spazio politico in una sorta di applicazione del celebre “teorema dell’elettore mediano”, secondo il quale se un partito si allontanasse troppo dal centro, pagherebbe un alto costo alle urne. Così, le proposte e i programmi populisti tendono a promettere grandi benefici ad una ampia fetta dell’elettorato e ad assecondare l’opinione pubblica prevalente. Si pensi alla corsa dei partiti di destra a dichiarare il loro atlantismo ed europeismo.
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Questo meccanismo tende a rendere più difficile la vita delle forze politiche di centro, che dovrebbero contrastare le facili promesse populiste. Solo nel campo dei diritti civili le differenze tra gli schieramenti rimangono marcate, ma quanto è lontana l’offerta politica di oggi da quanto con coerenza e senso di responsabilità predicava Alcide De Gasperi meno di settant’anni fa: “Cercate di promettere un po’ meno di quello che pensate di realizzare se vinceste le elezioni”
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