Tratto da lavoce.info
DI CRISTIANO GORI, rofessore ordinario di politiche sociali presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento
Nessun partito propone di cancellare gli interventi nazionali contro la povertà. Le forze politiche si dividono tra chi vuole potenziare il Reddito di cittadinanza e chi vuole sostituirlo con altri interventi. L’inclusione sociale resta in secondo piano.
Eliminare le politiche contro la povertà non è un’opzione
Cosa sarà del Reddito di cittadinanza (Rdc) dopo il voto del 25 settembre? Affrontare questa domanda significa interrogarsi sulle conseguenze dell’imminente tornata elettorale per le politiche di contrasto alla povertà. Le informazioni contenute nei programmi delle quattro principali forze in campo – Partito democratico (Pd), Movimento 5 Stelle (M5s), Centrodestra (CD) e Terzo Polo (TP) – non permettono di rispondere in modo puntuale. Consentono, però, di evidenziare i rispettivi orientamenti.
Dopo mesi di infuocati dibattiti, che hanno visto contrapporsi i fautori dell’abolizione del Rdc ai sostenitori del suo mantenimento, è opportuno partire da qui per capire che cosa è in gioco adesso. La lettura dei programmi elettorali indica che nessuno schieramento propone di cancellare gli interventi nazionali contro la povertà. Le forze politiche, invece, si differenziano tra chi vuole potenziare la misura esistente (il RdC) e chi intende sostituirla con interventi diversi. In altre parole, i partiti concordano sulla necessità di politiche contro la povertà, mentre si dividono su come disegnarle. Il cammino iniziato nel 2017, con l’introduzione della prima misura nazionale, il Reddito d’inclusione (Rei) – poi sostituto dal Rdc nel 2019 – è destinato a continuare.
Sostituzione o rafforzamento del Rdc?
Sostituzione o rafforzamento del Rdc è la scelta strategica fondamentale che separa le principali forze in campo. Il Centrodestra intende sostituire il RdC con altre prestazioni, mentre Pd e M5S lo vogliono mantenere e rafforzare, attraverso alcuni correttivi (a partire da quelli legati all’ampliamento dell’utenza).
L’idea dei partiti di Centrodestra è piuttosto chiara: sostituire il Rdc con due misure, una rivolta ai poveri che non sono in condizione di lavorare e l’altra destinata a quelli che invece lo sono. S’intenderebbe affrontare così un limite intrinseco del RdC, ossia il sovraccarico di obiettivi: voler essere, contemporaneamente, una politica di contrasto alla povertà e una politica attiva del lavoro. Tale confusione ha prodotto – negli scorsi anni – innumerevoli criticità a ogni livello, sia nella concreta realizzazione degli interventi che nel caotico dibattito pubblico.
Costruire due misure, con logiche differenti, può essere – in linea generale – una finalità condivisibile sulla base della letteratura in materia. Tuttavia, il fattore decisivo è come la si traduce in pratica: le indicazioni del Centrodestra in proposito sono confuse e non convincenti riguardo alcuni aspetti (a partire dai criteri individuati per suddividere l’utenza tra le due prestazioni). Inoltre, si chiederebbe a un sistema di welfare sotto stress di realizzare la terza riforma delle politiche contro la povertà in pochi anni, dopo il varo del Rei (2017) e del RdC (2019). L’attuazione delle riforme risulta sempre più complicata di quanto non si valuti inizialmente e a fare le spese delle difficoltà incontrate nel gestirla sono – in ultima istanza – gli utenti. Pertanto, per intraprenderle è necessario avere ben chiaro il complicato insieme di componenti tecniche e operative coinvolte, ed essere in grado di governare opportunamente la transizione dal vecchio al nuovo assetto.
Il Terzo Polo è da considerare a parte perché – a differenza degli altri soggetti – non propone una visione complessiva sul futuro del RdC, bensì si focalizza sui temi legati all’occupazione. Indica azioni per meglio avvicinare gli utenti del RdC al mondo del lavoro (come il rafforzamento della formazione e del ruolo delle agenzie private per l’impiego) e definisce per loro regole più severe da rispettare (revoca della misura dopo il primo rifiuto di un’offerta congrua di lavoro e riduzione di un terzo dell’importo se dopo due anni non si è trovata un’occupazione). Il Terzo Polo è l’unica forza politica a prospettare – nel proprio programma – un inasprimento degli impegni richiesti ai beneficiari e delle relative penalizzazioni. È da notare che l’attuale RdC fa già dell’Italia il paese dell’Ocse che prevede la maggiore severità in proposito.
L’ammontare dei finanziamenti pubblici
In base a quanto esposto nei programmi, nessuna tra le principali parti politiche sembra prefigurare una riduzione delle risorse destinate al contrasto della povertà. Pd e M5S prevedono azioni di rafforzamento del Rdc che incrementerebbero gli stanziamenti dedicati, come quelle di ampliamento dell’utenza. Il Centrodestra, dal canto suo, non fornisce indicazioni in materia. Bisogna ricordare che, grazie al massiccio innesto di nuovi fondi avvenuto con l’introduzione del RdC, la spesa pubblica italiana contro la povertà è oggi in linea con la media europea. Un’esplicita riduzione dei finanziamenti è presente solo nel programma del Terzo Polo, come effetto della diminuzione degli importi per alcuni utenti e di altri dispositivi.
Il sociale e il lavoro
Dopo aver illustrato l’impianto complessivo delle politiche, passiamo ai singoli interventi. Il recente confronto politico sul RdC si è ossessivamente concentrato sui temi riguardanti l’inclusione lavorativa e ha trascurato quella sociale, parte fondativa della lotta alla povertà. Ora bisognerebbe superare questo “dibattito distorto” e attribuire alla dimensione sociale del contrasto alla povertà la considerazione che merita.
Tutti i programmi elettorali, invece, pongono un’enfasi assai maggiore sull’inserimento occupazionale dei percettori delle misure contro la povertà, dedicandovi varie indicazioni specifiche (riguardanti centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, formazione, incentivi alle imprese e così via). L’attenzione verso l’inclusione sociale (i percorsi di miglioramento delle proprie condizioni di vita, non legati primariamente al lavoro) è assente o, quando presente, minore. Se ne occupano il Pd e – nel campo del Centrodestra – la Lega. Il Pd rimanda alle proposte del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza – nominato dal Ministro Orlando – che ha diffusamente mostrato la centralità dell’inclusione sociale e ha evidenziato la necessità di potenziare i servizi sociali comunali. Inclusione sociale e rafforzamento dei servizi sociali sono obiettivi anche della Lega, seppur meno dettagliati.
La vera alternativa è tra buongoverno e malgoverno
Quelli illustrati sin qui sono gli orientamenti che emergono dai programmi, ovviamente da considerare con la cautela che sempre richiedono simili documenti. La Tabella 1 sintetizza quelle che paiono le due principali posizioni alternative in campo, che vedono Pd e M5s da una parte e Centrodestra dall’altra.
Per terminare, è utile tornare a quanto detto all’inizio. Il confronto pubblico è stato prevalentemente improntato sulla contrapposizione tra abolizione o mantenimento del RdC o delle politiche contro la povertà tout court. Ma non sta qui il nocciolo della questione. Infatti, l’alternativa decisiva per il futuro della lotta alla povertà in Italia non è tra mantenimento o abolizione, bensì tra buongoverno o malgoverno di questa politica pubblica. L’introduzione del Reddito di cittadinanza ha avuto il merito storico di portare finalmente la spesa pubblica contro la povertà a livelli europei; allo stesso tempo, la misura presenta numerose criticità, ben note e ampiamente dimostrate. Si tratta ora di capire in che modo mettervi mano, sapendo che i problemi da affrontare sono tanti e complessi. A questo impegnativo compito sarà chiamato l’esecutivo che scaturirà dalle prossime elezioni.
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