Tratto da lavoce.info
DI LUISA LOIACONO, assegnista di ricerca presso l’Università di Ferrara
LEONZIO RIZZO, professore ordinario di Scienza delle Finanze a Ferrara
E CARLO STAGNARO, direttore delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni.
Nonostante la diminuzione dei volumi di gas esportati in Europa, la Russia ha aumentato i ricavi, grazie all’aumento dei prezzi. Nell’indicare un tetto al prezzo del gas, l’Europa dovrebbe tener conto anche degli interessi e degli obiettivi di Mosca.
Flussi ridotti, ma ricavi in aumento
Negli ultimi tempi, il prezzo del gas ha raggiunto livelli sempre più allarmanti, toccando picchi di 346€/MWh il 26 agosto 2022, per poi ritracciare attorno ai 200 €/MWh. Questo dato fa riferimento al prezzo Ttf, cioè agli scambi spot, ovvero giornalieri, sulla principale borsa europea. I valori del Ttf sono importanti non solo perché regolano le compravendite marginali di gas, ma anche perché gran parte dei contratti di approvvigionamento a lungo termine – tra cui quelli con la Russia – sono indicizzati a esso. Per questa ragione, molte proposte di price cap – tra cui quella del Governo italiano – intendono limitare il costo di importazione del gas entro un livello ritenuto ragionevole, attraverso l’introduzione di un tetto al Ttf.
Dalla fine del 2021, i flussi dalla Russia si sono progressivamente ridotti, a volte perché Mosca ha contestato le condotte di alcuni stati (per esempio il rifiuto di Finlandia e Bulgaria di pagare il gas in rubli), altre volte perché si è nascosta dietro presunti malfunzionamenti dovuti alle sanzioni. La riduzione dei flussi ha contribuito a gonfiare i prezzi.
Per vedere l’effetto combinato di incrementi di prezzo e riduzione dei flussi consideriamo i volumi venduti dalla Russia all’Europa e stimiamo i prezzi medi di cessione e quindi i ricavi complessivi di Mosca negli anni 2019, 2021 e 2022. Escludiamo il 2020 perché, ovviamente, è stato caratterizzato dall’epidemia di Covid, che ha determinato una riduzione eccezionale dei volumi e dei prezzi. Visto che la gran parte di contratti di fornitura di gas sono a lungo termine, usiamo i prezzi di questi ultimi. In particolare, approssimiamo i prezzi dei contratti a lungo termine con la media dei prezzi Ttf nel semestre precedente. Per i mesi futuri si utilizzano i prezzi future.
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Nel corso del 2021 (Tabella 1) il volume importato dalla Russia a livello europeo è stato pari a 1.911 milioni di MWh, in media con quelli degli anni precedenti. Stimiamo un prezzo del gas nel 2021 pari a 26,1 €/MWh. Nei primi otto mesi del 2022 l’offerta di gas è drasticamente crollata rispetto allo stesso periodo del 2021 registrando una diminuzione del 42 per cento. Stimiamo che nel 2022 (Tabella 1) l’offerta si attesterà a 1.119 milioni di MWh a cui corrisponde un prezzo di 116,9 euro per MWh. Di conseguenza, il gettito complessivo del 2022 che la Russia otterrebbe dalla vendita del gas è pari al prodotto tra i volumi venduti (1.119 MWh) e il prezzo (116,9 €/MWh), cioè circa 130 miliardi di euro.
Gli scenari possibili
L’incremento di prezzo da 26,1 a 116,9 euro per MWh, dunque, più che controbilancia, in termini di ricavo, il decremento di quantità venduta: si passa infatti da quasi 50 miliardi a più di 130 miliardi (Tabella 1). La Russia sembra quindi perfettamente in grado di manipolare il mercato, visto che la politica di riduzione della quantità consumata in equilibrio influenza in modo determinante il livello del prezzo spot Tttf e quindi quello dei contratti a lungo termine, che sono in genere indicizzati alla media dei prezzi Ttf degli ultimi sei mesi. Per porre un argine a tale comportamento è necessario contrapporre a un venditore così forte un compratore altrettanto influente che decida un prezzo oltre il quale non comprare. Per fare ciò è ovviamente necessario che per lo meno tutte le nazioni europee siano d’accordo.
Tuttavia, per trovare un accordo tra le parti, non basta pensare a un prezzo oltre il quale l’acquirente non compra, perché a quel prezzo il venditore potrebbe non vendere. Proviamo a metterci nei panni dell’acquirente (l’Europa) che deve proporre un prezzo al venditore (la Russia) che sia economicamente conveniente per quest’ultimo e sostenibile per l’acquirente.
Nell’ esercizio ipotizziamo che la Russia valuti le proposte ragionando solo in termini di mera convenienza finanziaria. Ovviamente, il prezzo risultante dalla contrattazione dovrà poi valere per tutti, non solo per la Russia.
Nello specifico ipotizziamo due scenari. Nel primo assumiamo che nella contrattazione per fissare il tetto al prezzo l’Europa accetti i volumi venduti dalla Russia nel 2022, garantendo però gli introiti del 2021 pari a quasi 50 miliardi. In quest’ultimo caso la stima dei volumi venduti sarebbe di 1.119 milioni di MWh. La stima tiene conto di una politica attuata di progressiva e lenta riduzione dei flussi di gas passanti per il gasdotto Nord Stream, che comunque continua a funzionare. In un secondo scenario ipotizziamo che l’Europa garantisca alla Russia i ricavi attuali, pari a poco più di 130 miliardi, ma con un incremento delle forniture che arriverebbero al livello del 2021 (1.910 milioni di MWh).
Nel primo scenario il prezzo che la Russia deve incassare per avere il ricavo del 2021 con i volumi stimati del 2022 è pari 44,5 euro per MWh. Nel secondo scenario il prezzo che la Russia deve incassare per avere il ricavo del 2022 con i volumi stimati del 2021, cioè ripristinando le forniture, è pari a 68,5. Si ricordi che il prezzo nel 2021 era di 26,1 MWh e quindi il primo scenario garantirebbe un incremento di prezzo del 70 per cento e il secondo scenario vedrebbe un incremento di prezzo del 162 per cento. Entrambi gli incrementi di prezzo sono consistenti anche se lontani da quelli che registreremo con molta probabilità nel 2022, in cui il prezzo stimato è pari 116,9 euro.
Consideriamo anche il caso in cui il Nord Stream venga chiuso, che implicherebbe un volume esportato dalla Russia verso l’Europa pari a 457 milioni di MWh nel terzo scenario e pari a 1013 milioni di MWh nel quarto scenario. Per calcolare questi ultimi volumi sottraiamo i volumi del Nord Stream ai volumi totali importati dalla Russia nello stesso anno. Secondo le nostre stime, con i volumi importati, ridotti a causa della chiusura del Nord Stream, il gas nei contratti a lungo termine dovrebbe essere venduto a un prezzo che varia da 109 €/MWh (per raggiungere i ricavi del 2021 pari a quasi 50 miliardi di euro con i volumi ridotti del 2022) a 129,1 €/MWh (per raggiungere i ricavi del 2022 pari a poco più di 130 miliardi di euro, con i volumi ridotti del 2021). In questo caso rispetto al 2021, quando il prezzo era di 26,1 MWh, il terzo scenario garantirebbe un incremento di prezzo del 318 per cento e il quarto scenario del 395 per cento.
I limiti dell’analisi
La nostra analisi ha due limiti. In primo luogo, abbiamo stimato i prezzi di cessione del gas russo sulla base degli andamenti del Ttf, ma i contenuti dei contratti non sono pubblici. È però ragionevole aspettarsi che, nel lungo termine, i prezzi medi del Ttf e i prezzi medi dei contratti possano convergere: se gli uni fossero sistematicamente diversi dagli altri, i volumi acquistati secondo il metodo più costoso (spot o a lungo termine) convergerebbero verso zero.
Il secondo limite è che, ovviamente, la rendita da gas è certamente un obiettivo di Mosca, ma non necessariamente l’unico né il più importante. Può essere infatti possibile che di fronte agli interessi economici prevalgano quelli geopolitici che giustificherebbero anche i minori ricavi nel caso in cui l’Europa decidesse di non comprare il gas russo oltre un certo prezzo, facendo quindi saltare il potenziale accordo sui prezzi pari o simili a quelli degli scenari analizzati. Tuttavia, capire gli interessi della Russia e i vincoli di bilancio che ne condizionano le scelte può essere utile anche all’Europa per disegnare la propria strategia, che in qualche modo del fattore economico dovrà tener conto.
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