Tratto da lavoce.info
DI PIERO ESPOSITO, ricercatore (RTDB) in Politica Economica presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale dal 2019.
E SERGIO SCICCHITANO, economista e primo ricercatore presso l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP)
Con la ripresa del mercato del lavoro italiano, nella fase post-pandemia cresce il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Per i lavoratori sovraistruiti, soprattutto se giovani e donne, c’è il rischio di cadere nella trappola della disoccupazione.
Aumentano i lavoratori sovraistruiti
La ripresa del mercato del lavoro italiano va di pari passo con la crescita del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, come testimoniano gli ultimi dati del Bollettino Excelsior di Anpal e Unioncamere: le imprese hanno difficoltà a reperire profili da inserire nell’area dei sistemi informativi (mismatch del 57 per cento), ma anche nelle aree della progettazione/ricerca/sviluppo e dell’installazione e manutenzione (48 per cento ).
Le fonti ufficiali rilevano una sovraistruzione in continua crescita negli ultimi anni nel nostro paese, e quindi strutturale, sulla quale poco hanno inciso le politiche per l’istruzione, per il lavoro e industriali degli ultimi anni. Nel confronto con gli altri paesi Ocse, l’Italia ha un valore molto più alto della media. In più, le transizioni scuola-lavoro nel nostro paese sono decisamente più lunghe rispetto alle maggiori economie europee, come già testimoniato su lavoce.info.
La “sovraistruzione”, definita come situazione in cui il livello di istruzione del lavoratore è superiore a quello richiesto, è una delle molteplici dimensioni del fenomeno del mismatch. L’abbiamo analizzata in un recente lavoro. Gli obiettivi sono capire chi sono i lavoratori soggetti al fenomeno e se hanno un maggior rischio di disoccupazione.
La quota di lavoratori sovraistruiti tra i laureati è molto alta, pari al 37,4 per cento (Figura 1); l’incidenza maggiore si riscontra tra quelli di sesso maschile, tra quelli nel settore dei servizi distributivi, tra gli occupati nelle imprese medio-grandi e tra gli occupati con contratto a tempo indeterminato. Quest’ultimo risultato farebbe emergere quindi una sorta di trade-off tra stabilità lavorativa e sovraistruzione: ci si accontenta di un impiego per il quale l’istruzione posseduta è troppo alta pur di avere stabilità economica e lavorativa. Non si può, poi, escludere che il dato dipenda dal fatto che, laddove prevale il lavoro stabile, le imprese perseguono strategie competitive basate sul contenimento dei costi che non prevedono la valorizzazione delle competenze dei lavoratori. I risultati in Figura 1 rimangono sostanzialmente invariati rispetto ai diversi livelli di disaggregazione con cui è calcolata la misura di sovraistruzione (occupazioni calcolate a 2 digits o 4 digits).
Figura 1 – Quota del mismatch per le principali categorie di occupati
Fonte: Elaborazione su dati Inapp-Plus 2018
Se poi si esaminano le transizioni verso la disoccupazione e verso un altro lavoro, i dati della Figura 2 indicano che, per i laureati sovraistruiti con contratto a termine, la probabilità di transizione verso la disoccupazione è pari al 25 per cento, ben al di sopra della loro probabilità di cambiare occupazione. Quanto alla dimensione d’impresa, la transizione verso la disoccupazione – a prescindere dalla condizione di sovraistruito – risulta più probabile nelle piccole imprese rispetto a quelle di medio-grandi dimensioni.
La trappola della disoccupazione
I risultati del nostro lavoro forniscono una potenziale spiegazione delle evidenze descrittive. In particolare, evidenziamo come il mismatch sia un importante canale di disoccupazione in Italia e come ciò sia dovuto tanto a fattori di domanda quanto di offerta, con i primi più rilevanti. Da un lato, infatti, osservando le dimensioni dell’impresa, nelle micro e piccole imprese i giovani lavoratori sovraistruiti hanno un rischio maggiore di disoccupazione rispetto agli altri lavoratori, mentre i più anziani sovraistruiti corrono un rischio maggiore di cambiare lavoro.
Ciò suggerisce che le traiettorie di carriera nelle piccole imprese possono essere complicate e incerte, con notevoli rischi di cadere nella trappola della disoccupazione o di vivere lunghi periodi di precarietà prima di trovare un lavoro adeguato. D’altra parte, quando si tiene conto della composizione settoriale e delle differenze di genere, la cosiddetta trappola della disoccupazione per i laureati può verificarsi per i giovani occupati nei servizi di mercato – specie nella distribuzione – e per le donne. Queste ultime, infatti, hanno quote di occupazioni a tempo determinato più elevate degli uomini anche nelle imprese di dimensioni medio grandi (18 per cento contro il 13 per cento), benché comunque inferiori alla quota di tempi determinati nelle Pmi (34 per cento nelle micro imprese e 30 per cento nelle piccole imprese contro il dato maschile del 33 per cento nelle micro imprese e del 22 per cento nelle piccole imprese).
Da tutto ciò si deduce che i lavoratori potrebbero scegliere di cercare lavoro nelle imprese di grandi dimensioni in quanto offrono una maggiore stabilità lavorativa, evitando così di cadere nella trappola della disoccupazione/sottoccupazione associata alle micro e piccole imprese, anche a costo di dover scegliere un’occupazione che richiede un numero di anni di istruzione minore di quello posseduto.
La causa principale della trappola della disoccupazione dei lavoratori sovraistruiti sembrerebbe quindi risiedere nella specializzazione produttiva del paese, con un’elevata quota di micro e piccole imprese e una forte diffusione di occupazioni ad alto grado di routine (ripetizione e standardizzazione). Ciò è confermato dai dati che mostrano come quasi il 40 per cento dei lavoratori laureati sia occupato in mansioni routinarie, nonché dai nostri risultati che evidenziano come il grado di routine sia una delle più importanti determinanti della sovraistruzione.
Il dato è coerente con l’ipotesi di un generale impoverimento del mercato del lavoro italiano dovuto alla crescita delle occupazioni poco qualificate negli ultimi decenni, già testimoniato qui e qui, e alla ben nota specializzazione strutturale nei settori più tradizionali e basso valore aggiunto.
Le politiche per cambiare
Sia le politiche di domanda sia quelle di offerta risultano dunque fondamentali per risolvere il problema della sovraistruzione e della perdita di capitale umano a essa associata. Siamo nell’epoca di Industria 4.0 e la speranza è di andare verso una Industria 5.0, in cui il fattore umano è al centro del processo produttivo. Pertanto, da un lato, per evitare il rischio di disoccupazione dovuto alla obsolescenza delle competenze, le imprese dovrebbero selezionare e allocare in modo efficiente i lavoratori e creare posti di lavoro altamente qualificati in settori innovativi ad alta tecnologia e ad alta intensità di conoscenza. Dall’altro lato, l’offerta deve migliorare le competenze tecnico-scientifiche che il mercato richiede oggi e che richiederà nell’immediato futuro: il sistema duale – inteso come modalità di apprendimento basata sull’alternarsi di momenti formativi “in aula” (presso una istituzione formativa) e momenti di formazione pratica in “contesti lavorativi” (presso una impresa/organizzazione) – e l’alternanza scuola-lavoro andrebbero perciò rafforzati.
Non ultimo, gioca un ruolo importante l’elemento retributivo. Molti dei nostri laureati – soprattutto nelle materie Stem – preferiscono emigrare, malgrado la richiesta di questa tipologia di laureati sia elevata anche nel nostro paese, proprio perché in Italia le retribuzioni dei laureati sono relativamente basse rispetto agli altri paesi Ocse. Quindi, le politiche di offerta, volte a orientare le scelte di istruzione verso i percorsi più richiesti, devono necessariamente essere associate a un miglioramento delle condizioni contrattuali proposte dalle imprese.
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