Tratto da lavoce.info
DI RONY HAMAUI, professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Le sanzioni alla Russia sono sacrosante, ma alcune decisioni sembrano irrazionali. Per esempio, la volontà statunitense di portare Mosca al default. Oppure la discussione sul pagamento in rubli del gas. Un po’ di pragmatismo sarebbe più utile dei proclami.
La spinta al default russo
Non si è mai visto un paese andare in default sul debito in valuta quando il suo tasso di cambio si mantiene forte e le sue riserve valutarie sono consistenti. Soprattutto, non si è mai visto un creditore fare di tutto per non farsi rimborsare un debito, specialmente da un acerrimo nemico. Eppure, gli Stati Uniti si stanno adoperando perché la Russia non rimborsi le proprie obbligazioni in valuta estera e vada in default. Questo nonostante le controparti russe non abbiano, già oggi, alcuna possibilità di accedere ai mercati finanziari internazionali. Certo, possono esserci motivi di natura morale o di propaganda politica per impedire a Vladimir Putin di rimborsare i propri debiti. Tuttavia, dopo aver bloccato le riserve internazionali russe, i beni degli oligarchi e sanzionato in ogni modo l’economia e il sistema finanziario russo, appare quanto mai difficile capire perché non si voglia che il governo russo rimborsi i quasi 38 miliardi di debiti in valuta estera emessi, imponendo così un’ingente perdita ai risparmiatori occidentali.
Ugualmente difficile è capire perché molte aziende occidentali siano costrette a nazionalizzare le loro attività in Russia e quindi di fatto a “regalarle” a Putin. In alcuni casi queste aziende sono diventate non più profittevoli o difficili da gestire. In molti altri, tuttavia, sembra prevalere una logica per la quale non si debba a nessun costo lavorare in Russia. Nulla da dire da un punto di vista morale, anche se forse un po’ di sano pragmatismo sarebbe più utile agli interessi dell’Occidente.
Petrolio e gas
Resta poi l’annoso problema del petrolio, su cui da settimane l’Unione europea si sta lacerando per cercare di proibire ai suoi membri di acquistarlo in Russia. È tipicamente una commodity che viene scambiata sul mercato mondiale a un prezzo che, al di là dei costi di trasporto e di piccole differenze nella qualità, risulta sostanzialmente uniforme. Così, ogni aumento dell’offerta o della domanda mondiale di petrolio, anche se solo attesa, provoca un’immediata riduzione o un aumento dei prezzi. Certo, nel breve periodo, vi possono essere difficoltà ad allocare la produzione in maniera efficiente e ogni sanzione tende a ridurre l’offerta e far aumentare i prezzi. Tuttavia, se è vero che, nel medio periodo, l’Europa può fare a meno, a un certo costo, del petrolio russo e approvvigionarsi da altri paesi, è altrettanto vero che Mosca può vendere il suo oro nero sui mercati extra europei. Così, in definitiva, non appare affatto evidente che i maggiori costi sopportati dall’Europa per fare a meno del petrolio russo siano inferiori ai minori guadagni a cui la Russia dovrà rinunciare vendendolo a paesi terzi senza servirsi dell’efficiente sistema di oleodotti che collegano i suoi giacimenti ai consumatori dei paesi occidentali.
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Ovviamente, la questione si sarebbe posta in maniera diversa se il numero di paesi che aderisce alle sanzioni fosse stato maggiore, ma con giganti energivori come la Cina e l’India che non hanno aderito all’embargo, la sua efficacia risulta piuttosto limitata, se non controproducente. Così slogan come “l’Europa sta finanziando la guerra di Putin” appaiono quanto mai ingannevoli. Ma questo non vuol dire che non si debba diversificare gli approvvigionamenti energetici, anche perché domani potrebbe essere la Russia a tagliare i rifornimenti all’Europa.
Il ragionamento è un po’ meno vero nel caso del gas, che risulta più difficile e costoso da trasportare. Tuttavia, la logica sottostante non cambia, seppure nel breve periodo i costi di aggiustamento risultino molto più rilevanti.
Rimane poi il tema del pagamento in rubli del gas. Al di là di qualche piccola complicazione di natura burocratica e amministrativa, non c’è molta differenza fra pagare Gazprom in dollari o versare i dollari su un conto di Gazprom-bank che poi li trasforma in rubli e li gira a Gazprom. Anche in questo caso un po’ di pragmatismo forse risparmierebbe al mondo occidentale qualche mal di pancia e soprattutto qualche miliardo di costo generato dalle tensioni che si osservano sui mercati. Come abbiamo visto nelle ultime settimane, appena l’Eni e altre compagnie petrolifere europee hanno deciso di far prevalere il buon senso, i prezzi del gas sono scesi e oggi si posizionano a un livello inferiore a quello osservato prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
È vero che le guerre si combattono anche con i simboli, ma lasciamo la facile retorica agli uomini forti e ai dittatori. Purtroppo, come scriveva William Shakespeare nell’Otello, “È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti” (atto V, scena II).
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