Tratto da lavoce.info
DI PIERO MARTIN, professore ordinario di fisica sperimentale all’Università di Padova
Una guerra nucleare non può essere vinta, semplicemente perché porterebbe alla distruzione dell’umanità. Eppure, si è fatta strada l’idea che si possano usare armi nucleari tattiche, con effetti più limitati. Ma si tratta di un’illusione pericolosa.
Due vertici a Ginevra
«Oggi riaffermiamo il principio che una guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere combattuta». Questa frase, a Ginevra, si è sentita almeno un paio di volte. E a pronunciarla, in entrambi i casi, sono stati i leader delle due principali superpotenze mondiali. Il 21 novembre del 1985 le voci furono quelle del presidente Usa Ronald Reagan e del segretario generale dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbachev. L’affermazione chiudeva uno storico vertice bilaterale, il primo dopo più di sei anni, in un periodo nel quale il numero di testate nucleari era cresciuto vertiginosamente e i rapporti strategici tra Usa e Urss, e di conseguenza il delicato l’equilibrio del mondo, si basavano sulla dottrina della «mutual assured destruction» (mutua distruzione assicurata). Nonostante la mancanza di progressi tangibili su azioni specifiche di disarmo, il vertice di Ginevra fu un punto di svolta per le relazioni americano-sovietiche e segnò l’inizio della decrescita degli arsenali atomici.
A distanza di trentasei anni la città svizzera ha sentito riecheggiare la stessa frase il 16 giugno del 2021. A dirla, questa volta, gli eredi dei potenti di allora: Joe Biden e Vladimir Putin in quella che è stata finora l’unica occasione nella quale si sono personalmente incontrati come presidenti. A poco più di un anno di distanza di quella frase rimane la certezza che una guerra nucleare non possa essere vinta, semplicemente perché porterebbe alla distruzione dell’umanità. Alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina l’auspicio che non debba essere combattuta è stato però pericolosamente messo a rischio.
Il numero delle testate e la spesa
Non che prima del 24 febbraio l’incubo di una guerra nucleare fosse scomparso, sia chiaro. Semplicemente – almeno nelle relazioni tra Russia e Usa – rimaneva in secondo piano. Se ne parlava poco, ma l’umanità viveva, e tuttora vive, su una vera e propria polveriera nucleare.
Secondo la Arms Control Association nel mondo sono presenti oggi circa 13 mila testate nucleari, il 90 per cento delle quali appartiene a Russia e Stati Uniti. Convenzionalmente vengono suddivise in due categorie, quelle strategiche e quelle tattiche. La classificazione – più formale che sostanziale – è legata al loro potenziale utilizzo. Le armi nucleari strategiche sono quelle che nell’immaginario collettivo sono rappresentative dell’apocalisse atomica. Sono dispositivi a lungo raggio e sono progettati per attaccare direttamente il suolo nemico e distruggere città e infrastrutture. Le armi nucleari tattiche sono invece pensate per un uso più “circoscritto”, se l’aggettivo ha un senso in questo contesto. Sono fatte per essere adoperate sul campo di battaglia, e quindi in regioni ove sono presenti anche truppe del paese che le utilizza, ma non necessariamente rilasciano un’energia minore.
Buona parte delle testate nucleari ha oggi energia variabile, che può essere facilmente impostata prima dell’uso senza dover modificare l’ordigno. L’energia può variare da frazioni di chilotone (un chilotone corrisponde all’energia liberata da mille tonnellate di tritolo) a migliaia di chilotoni. Per fare un esempio, la bomba di Hiroshima era di circa 16 chilotoni. Altro elemento assai poco rassicurante è che delle 13 mila testate circa 3.700 sono letteralmente pronte all’uso su missili o aerei. Un rapporto del Congressional Research Service americano stima che gli Usa posseggano circa 230 testate nucleari non strategiche, mentre la Russia pare ne abbia un numero più elevato, compreso tra mille e duemila.
Dietro agli arsenali nucleari ci sono spese assai elevate, che non accennano a diminuire. Secondo il recente rapporto «Squandered: 2021 Global Nuclear Weapons Spending» prodotto dall’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, organizzazione insignita del Premio Nobel per la pace nel 2017, i nove paesi dotati di armi nucleari hanno speso per esse nel 2021 circa 82 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 76 miliardi del 2020. Per ciò che riguarda gli Stati Uniti, il Congressional Budget Office prevede per il decennio 2021-2030 una spesa complessiva per l’arsenale nucleare americano di 634 miliardi di dollari, stima più alta del 28 per cento rispetto alla precedente fatta per il decennio 2019-2028.
Il pericoloso “uso limitato”
Dopo l’invasione dell’Ucraina i timori degli esperti si sono si sono concentrati su un possibile utilizzo di armi nucleari tattiche da parte della Russia per capovolgere le sorti del conflitto, pensando che ciò non comporti necessariamente un’escalation verso una terza guerra mondiale. L’equilibrio del terrore sul quale dal dopoguerra si è retta la pace, tra Usa e Urss prima e tra Usa e Russia oggi, si basava sulla deterrenza, ovvero su quell’affermazione di Reagan e Gorbachev «che una guerra nucleare non può essere vinta». Lanciare un missile strategico significava una immediata reazione che avrebbe portato alla distruzione di entrambi i contendenti e di fatto del mondo intero. Perfezionare le armi nucleari tattiche e coltivare la folle illusione che i loro effetti possano essere limitati ha paradossalmente reso il loro utilizzo più concepibile.
Il passaggio da uno scenario in cui l’uso delle armi nucleari significherebbe la fine del mondo a uno nel quale possono essere concepite per interventi mirati non è in realtà solo una questione di questi giorni. Nel giugno del 2020 la Federazione Russa ha pubblicato infatti per la prima volta un documento intitolato «Basic Principles of the State Policy of the Russian Federation on Nuclear Deterrence», che riassume la sua dottrina in termini di uso delle armi nucleari. Documenti di questo genere in Russia erano in passato secretati. La pubblicazione del documento ha suscitato un forte dibattito in Occidente. Uno dei punti su cui ci si interroga riguarda l’articolo 4. Afferma che, durante le ostilità, «questa politica prevede la prevenzione di un’escalation delle azioni militari e la loro conclusione a condizioni accettabili per la Federazione Russa e/o i suoi alleati». Conseguenza di ciò è che l’arsenale nucleare russo potrebbe essere il mezzo per prevenire o porre fine a ostilità militari, anche convenzionali, che si ritengano mettere a rischio l’esistenza della Russia e dei suoi alleati. L’uso di armi nucleari viene concepito quindi non solo per rispondere a un attacco apocalittico.
Sul fronte americano è di questi giorni la pubblicazione da parte della Casa Bianca della «National Defense Strategy». Contiene al suo interno la «Nuclear Posture Review», il documento che riassume la dottrina americana sull’utilizzo della armi nucleari e che ogni amministrazione da Bill Clinton in poi produce. Il documento, che ha richiesto un lungo lavoro preparatorio e che in versione secretata è stato inviato da Biden al Congresso in marzo, ha suscitato reazioni contrastanti, in quanto sembra lasciare aperte le porte a un uso “limitato” degli ordigni nucleari in situazioni che scaturiscano da conflitti convenzionali. Gli Usa ritengono di dover «essere in grado di scoraggiare l’aggressione convenzionale che ha il potenziale per degenerare in un impiego nucleare di qualsiasi scala. La Russia presenta l’esempio più acuto di questo problema oggi, dato il suo arsenale significativamente più grande di sistemi nucleari regionali e la possibilità che possa utilizzare queste forze per cercare di vincere una guerra alla sua periferia o evitare la sconfitta se corresse il rischio di perdere una guerra convenzionale. Dissuadere l’uso limitato del nucleare russo in un conflitto regionale è un’alta priorità degli Stati Uniti e della Nato». Una strategia che secondo il Financial Times è stata accolta con favore nelle cancellerie europee e dei paesi alleati – non dimentichiamo anche le tensioni con la Corea del Nord e il recentissimo lancio di un missile – ma che ha deluso chi si aspettava che Biden fosse più deciso nel realizzare le sue idee a proposito di un uso delle armi nucleari limitato esclusivamente a scoraggiare, o a rispondere a un attacco nucleare contro gli Usa o i loro alleati.
I segnali non sono quindi incoraggianti. I leader dei cinque paesi ufficialmente in possesso di armi nucleari a gennaio di quest’anno hanno dichiarato che intendono continuare a cercare approcci diplomatici bilaterali e multilaterali per evitare confronti militari. Speriamo sia così. Il rischio maggiore è quello di rassegnarsi ad accettare che l’opzione nucleare possa essere considerata “fattibile”, dimenticando invece che è sempre e comunque una follia.
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