Tratto da lavoce.info
DI MASSIMO MORELLI, professore di Political Economics all’Università Bocconi
E DOMENICO TRIPODI, studente di Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi.
Il Centrodestra ha ottenuto la maggioranza in Parlamento solo grazie ai seggi uninominali. Una legge elettorale proporzionale avrebbe dato risultati diversi, come dimostra una simulazione, garantendo più rappresentanza e più stabilità agli italiani.
Il ruolo dei collegi uninominali
In questo articolo cercheremo di analizzare i risultati delle elezioni politiche italiane del 25 settembre. Ci concentriamo soprattutto sul ruolo che la legge elettorale ha avuto nella composizione del nuovo Parlamento. L’elemento più distintivo del Rosatellum è l’assegnazione di un terzo dei seggi tramite un sistema maggioritario basato su collegi uninominali. Analizziamo i risultati con una “what if” analysis, che permette di mostrare come si sarebbero trasformati in seggi i voti espressi il 25 settembre se il sistema elettorale fosse stato un proporzionale puro. Più nel dettaglio, nel sistema “100 per cento proporzionale” abbiamo considerato una soglia di sbarramento nazionale al 3 per cento, con successiva ripartizione dei seggi a seconda della circoscrizione considerata (la soglia non è in vigore solo per le circoscrizioni Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Sicilia 1 e Sicilia 2).
L’obiettivo è far vedere come, con il proporzionale puro, la maggioranza degli italiani e in particolare l’elettore mediano sarebbero più rappresentati. Ne segue che la mancata riforma elettorale proporzionale costituisce un’occasione perduta sia dal punto di vista del welfare che da quello della stabilità delle politiche.
Analisi dei risultati e scenario proporzionale
Dopo le elezioni del 25 settembre, si presume che il prossimo esecutivo sarà composto dai tre partiti membri della coalizione di Centrodestra: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. La percentuale di preferenze espresse per tali partiti nella componente proporzionale del sistema elettorale è intorno al 44 per cento. L’osservazione immediata è che l’elettore mediano non è rappresentato se si considera solo la distribuzione delle preferenze degli elettori nella parte proporzionale. Se si considerano anche i seggi assegnati con il maggioritario, la destra è arrivata al 59 per cento, quindi è importante calcolare come sarebbe cambiato il risultato se anche quei voti espressi per i collegi uninominali fossero stati aggregati con un sistema proporzionale.
Nello scenario “puramente proporzionale” ipotizzato, il totale dei seggi ottenuti dal Centrodestra sarebbe stato 286 (il 49 per cento del totale), confermando quindi che l’elettore mediano continua a non essere rappresentato nell’attuale sistema. In altre parole, i voti espressi in queste elezioni non avrebbero determinato un governo di destra se fossero stati aggregati con un sistema proporzionale puro: ci sarebbe stato bisogno di un altro partito per raggiungere la maggioranza in Parlamento, sia alla Camera che al Senato.
Ci saranno altri elementi con cui valutare il combinato disposto del Rosatellum e del taglio dei parlamentari (numero di laureati, gender balance, percentuale di under 35 alla Camera), ma quello che oggi va fatto notare è come da un lato il sistema elettorale e dall’altro l’incapacità di creare un polo che potesse fronteggiare il Centrodestra abbiano portato una coalizione che rappresenta meno della metà degli italiani a sfiorare i due terzi dei seggi fra Camera e Senato. Non è questa la sede per indicare i colpevoli di questa ripartizione “drogata” dei seggi, ma va sottolineato come il Rosatellum abbia creato effetti distorsivi sulla capacità rappresentativa del Parlamento italiano.
Ecco le due tavole di risultati in termini di seggi che avremmo ottenuto aggregando i voti espressi con una legge elettorale proporzionale:
Una legge che non rappresenta gli interessi degli italiani
Qualcuno penserà che se il sistema fosse stato al 100 per cento proporzionale, il comportamento degli elettori (ma anche dei partiti) sarebbe stato diverso, e quindi è difficile sostenere che i cittadini avrebbero votato allo stesso modo. Tuttavia, la letteratura di scienze politiche mostra che il comportamento strategico di elettori e partiti emerge molto di più con plurality rule, mentre con il sistema proporzionale quasi tutti gli elettori votano seguendo le loro preferenze vere. Quindi, la distorsione potenziale rafforza il nostro punto, in quanto la percentuale di preferenze vere per i partiti di destra stimata usando i voti espressi (49 per cento) supera quasi sicuramente la percentuale reale, come indicato dal fatto che la percentuale ottenuta nella componente proporzionale si avvicina al 44 per cento.
Morelli (2004) aveva mostrato come un sistema proporzionale tenda sempre a portare a politiche moderate e stabili, concludendo dal punto di vista teorico che in presenza di avversione al rischio l’elettore mediano dovrebbe sempre preferire tale sistema elettorale. La forma prescelta dal sistema vigente per l’assegnazione dei seggi dei collegi uninominali (plurality rule) consente al partito o coalizione che ha la maggioranza relativa di governare nonostante i dati mostrino che l’elettore mediano non è mai compreso. Un’alternativa all’aggregazione dei voti nei collegi uninominali com’è oggi avrebbe potuto essere un sistema di doppio turno alla francese. Anche in quel caso, una corrispondente “what if” analysis porterebbe alle stesse conclusioni, in quanto sia un sistema a doppio turno sia un sistema proporzionale non escludono mai l’elettore mediano.
Gratton, Guiso, Michelacci e Morelli (2021) hanno anche mostrato come i sistemi elettorali della cosiddetta Seconda Repubblica abbiano portato, insieme a instabilità, anche conseguenze gravi per il sistema legislativo e per il funzionamento dello stato. I dati qui mostrati confermano ancora una volta che la Seconda Repubblica non rappresenta più gli interessi della maggioranza degli italiani.
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