La scelta dei parlamentari è nelle mani dei capi-partito. Una legge elettorale pessima. E se noi elettori decidessimo di mandare a quel paese i capi partito e votassimo come se esistesse solo l’uninominale?
Ci risiamo, purtroppo. La sinistra riesce a buttare dalla finestra anche la preziosa eredità messa insieme da Draghi. Siamo fatti così, non impariamo mai. La campagna elettorale del 2006 la feci a Roma. “Parla con L’Ulivo” era il primo esperimento di interlocuzione web e telefonica con l’elettorato. Un’altra epoca, tuttavia le cose ritornano. Ad esempio, la ricerca ossessiva di un’alleanza larga, stretta esclusivamente da un patto anti qualcosa. Allora Antiberlusconi.
Dopo cinque anni di fallimenti del centrodestra i sondaggi ci davano avanti di 10 punti. Vincemmo per il rotto della cuffia di soli 24.000 voti. Gli elettori non fanno sconti. Sulle cose decisive non può esserci confusione. Dal mio osservatorio vidi il punto di svolta. A metà campagna ci fu un’intervista di Fausto Bertinotti che impegnava il nuovo governo a tassare i BOT. Nessuno ebbe la forza di tappargli la bocca nonostante le 300 pagine di programma.
Dopo di allora ricevemmo solo mail e telefonate sulle tasse, avevamo scoperchiato il vaso di Pandora. Ricordo la chiamata di un’anziana signora di Novara, un passato da staffetta partigiana, che mi spiegava come tutti i suoi modesti risparmi fossero in BOT. Credeva nello Stato italiano e ora si sentiva tradita proprio dalla sinistra. Finì presto, due anni dopo, con Mastella, Turigliatto e i manifesti “Anche i ricchi piangono”.
Non occorreva un indovino. Oggi le questioni decisive sono altre, perfino più complesse. Guerra, Nato e sanzioni, energia e Europa, lavoro e crescita economica, aiuto alla povertà e conti pubblici, giovani e istruzione. Di fronte a queste sfide, tuttavia, torno a chiedermi che ci azzecca il PD con Fratoianni e Bonelli?
In queste scelte fondamentali non siamo forse mille volte più vicini a Calenda e a Renzi? Ci sono due sinistre è evidente a tutti, gli elettori lo sanno, eppure per noi il ritornello è sempre quello: nessun avversario a sinistra, a costo di lasciarci la pelle. Quando ho avuto in mano la tessera del PD ho pensato di essere arrivato finalmente a casa mia. Alle spalle c’era un percorso travagliato e doloroso, molte cose da lasciare, una lunga faticosa metamorfosi. Dopo il disastroso naufragio del secondo governo Prodi, l’esito negativo delle elezioni nel 2008 era decisamente scontato, ma la via nuova almeno era tracciata: niente alleanze raffazzonate, niente coalizioni anti-qualcuno perché l’Italia è una democrazia solida che sta in Europa.
Veltroni riuscì a farcela campagna elettorale senza mai pronunciare il nome di Berlusconi, come aveva promesso, puntava solo sulle nostre proposte nuove per cambiare l’Italia. Dopo qualche mese, la vecchia “ditta” si liberò di lui e l’interminabile gioco dell’oca della sinistra italiana ricominciò da capo.2013, 2018, 2022, si torna sempre alla casella di partenza e allora non resta che agitare lo spauracchio del fascismo incombente ed invocare il voto utile. Invece è facile. Partorire un sistema elettorale peggiore di quello in vigore è difficile. Adesso i partiti si scambiano accuse sulla paternità dell’obbrobrio. La verità è che il punto di incontro era scontato, affidare esclusivamente nelle mani dei capipartito la scelta dei parlamentari, impedendo agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. La legge elettorale che porta la firma di Mattarella non era certo perfetta, ma aveva il terribile difetto di consentire agli elettori di inserire ghiaia democratica in quegli esclusivi ingranaggi di potere. Lo posso affermare con certezza.
Nel 2001 sono stato eletto alla Camera nel collegio elettorale di Rimini Nord. Allora la legge Mattarella comportava il voto con due schede, una per il proporzionale, l’altra per l’uninominale. L’elettore poteva votare al proporzionale per il partito del cuore e scegliere all’uninominale il candidato che meglio lo rappresentava sul territorio. Io con i voti del proporzionale non sarei mai stato eletto, il centrodestra risultò in vantaggio di circa 1000 voti, ma quando si aprirono le urne dell’uninominale ci fu la sorpresa. La spuntai con più di 6000 voti di vantaggio. Oltre a calamitare molti voti delle piccole liste ci furono 2000 elettori che abbandonarono il centrodestra e votarono per me. Alla Camera non fui l’unico ad essere eletto in quel modo. C’erano anche deputati del centrodestra che avevano battuto nel loro collegio il paracadutato di turno, voluto dai vertici romani dell’Ulivo. E se noi elettori decidessimo di mandare a quel paese i capi partito e votassimo come se esistesse solo l’uninominale? È vero non abbiamola possibilità del doppio voto, ma avere qualcuno che ci rappresenti davvero a Roma e scegliercelo da soli non è la cosa più importante? Un buon parlamentare può fare la differenza. Basta dare un’occhiata ai resoconti, agli emendamenti presentati ed approvati, ai disegni di legge di cui è primo firmatario, ai temi di nostro interesse che si ritrovano nei provvedimenti governativi. Lo spazio politico c’è, bisogna essere capaci di occuparlo ed averne la voglia.
Mettere insieme la propria appartenenza politica con il buon senso, l’impegno personale con l’ascolto dei propri concittadini, si può fare. Può dare buoni risultati anche se sei all’opposizione. A me e non solo a me, è capitato. Quando ho visto che nel collegio uninominale della Camera il PD ha candidato Andrea Gnassi ho pensato che la nostra provincia avesse di nuovo l’occasione per avere a Roma qualcuno capace di incidere. Andrea sa dove mettere le mani, lo ha dimostrato alla guida del comune di Rimini. Non è uno yes man, che pensa alla propria carriera prima che agli interessi della comunità, non farà vacanze romane perché nelle istituzioni è un secchione. È un riformista, ha cultura ambientale e attenzione ai più deboli. Il centrodestra ci manda uno da Forlì. Sarò campanilista, ma allora era meglio da Canicattì. Non parlo degli altri, rispettabili, ma sinceramente non c’è paragone. Così ho deciso che io voto come se ci fosse solo l’uninominale e mi passa anche il mal di pancia per le scelte nazionali del mio partito. Auguri Andrea!
Di Sergio Gambini, già senatore della Repubblica