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Home Economia

Cartolarizzazioni? Non più velenose di un buon farmaco

Redazione di Redazione
12 Marzo 2023
in Economia
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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Vignetta di Cecco

Vignetta di Cecco

Tratto da lavoce.info

DI BRUNELLA BRUNO

Quindici anni dopo la crisi finanziaria, si torna a parlare di cartolarizzazioni. Riattivare quel mercato potrebbe essere utile a molti scopi in tempi di tassi crescenti. È però necessario ripensare il rigido contesto normativo che lo regola in Europa.

Cartolarizzazioni dopo la crisi

A distanza di quindici anni dalla crisi globale finanziaria, si torna a parlare di cartolarizzazione, la tecnica per cui una banca vende una porzione dei propri impieghi (per esempio mutui ipotecari) a un soggetto esterno che, per finanziarne l’acquisto, emette titoli di debito noti come asset-backed securities (Abs, letteralmente titoli garantiti dagli attivi ceduti).

L’utilizzo spregiudicato delle cartolarizzazioni fu tra le principali cause della crisi finanziaria del 2008-2009. Ai tempi, le Abs furono ridenominate titoli salsiccia o titoli tossici, a significare che si poteva cartolarizzare di tutto (inclusi mutui verso clienti sub-prime) fino a ottenere strumenti che, come la mela di Biancaneve, risultarono belli e buoni solo all’apparenza.

Che cosa è cambiato da allora? Negli Stati Uniti, dove è nata la crisi che si è poi estesa al mondo, il volume delle cartolarizzazioni è più che triplicato rispetto al 2008. In Europa, dove il fenomeno si è manifestato senza gli effetti catastrofici riscontrati oltreoceano, i volumi delle cartolarizzazioni rappresentano una quota risibile di quelli americani (intorno al 6 per cento) e meno di un terzo dei volumi emessi all’indomani del crollo di Lehman (dati al 2020, fonte Esma, l’autorità europea dei mercati).

Eppure, sono le stesse autorità bancarie ad auspicare un utilizzo più intenso delle cartolarizzazioni. Già nel 2009 Mario Draghi chiarì l’importanza di fare ripartire, con le dovute cautele, il mercato delle cartolarizzazioni al fine di ripristinare una fonte di raccolta per le banche che ai tempi faticavano a finanziarsi. Nel 2014, all’indomani della crisi del debito sovrano, la Banca centrale europea e la Banca d’Inghilterra predisposero due analisi sulle ragioni alla base del crollo delle cartolarizzazioni europee e sulle azioni da intraprendere per favorirne la ripartenza. Il rilancio delle cartolarizzazioni divenne poi un pilastro del progetto di Unione dei mercati dei capitali del 2015.

Nel 2019 entra in vigore la regolamentazione europea della cartolarizzazione che, tra l’altro, introduce norme semplici e trasparenti (Sts). Con il bollino Sts, che si ottiene se l’operazione rispetta requisiti di semplicità, standardizzazione e trasparenza, i titoli cartolarizzati ricevono un trattamento prudenziale di favore, atteso il loro minor rischio, e ciò al fine di incentivarne il collocamento presso investitori istituzionali.

Perché possono essere utili

Lo sforzo compiuto dalle autorità europee per rilanciare le cartolarizzazioni trova una giustificazione nelle molteplici potenzialità dello strumento. Se opportunamente strutturate, consentono alle banche di finanziarsi a costi competitivi. Diversificare le fonti di raccolta può rivelarsi importante in tempi di tassi crescenti e in vista della cessazione delle operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Tltro), a cui le banche hanno fatto ampio ricorso negli anni scorsi. Lo è ancora di più nel caso di banche (quelle più rischiose) con difficoltà di accesso a fonti di finanziamento più e meno tradizionali.

Riattivare il mercato della cartolarizzazione è utile non solo per mantenere aperto il canale del credito verso famiglie e imprese, ma anche per finanziare la transizione climatica, priorità a cui occorre destinare capitali ingenti. La Bce stima che servano 330 miliardi di euro l’anno perché l’Europa possa perseguire entro il 2030 i suoi obiettivi energetici e climatici. La cartolarizzazione, infine, è un potente strumento per trasferire rischio al di fuori dei bilanci delle banche: ha consentito infatti di smaltire gran parte dei crediti deteriorati delle banche italiane, ora pari a circa 60 miliardi di euro, meno di un quinto dello stock del 2015 (fonte: Market Watch NPL, Banca Ifis).

Quali sono allora le ragioni dello sviluppo stentato delle cartolarizzazioni europee? Da una parte il fatto che, nel recente passato, alle banche non è mancato l’accesso a fonti di liquidità poco costose. Dall’altro, un contesto normativo che ha reso l’operazione tra le più regolamentate in Europa. Un aspetto particolarmente critico è il trattamento prudenziale dei titoli cartolarizzati che agli operatori appare tuttora troppo oneroso rispetto al rischio percepito, in particolare per gli intermediari assicurativi che vogliano investire in Abs. Ciò detto, il mutato scenario macroeconomico potrebbe risvegliare l’interesse per le cartolarizzazioni, ma se i decisori politici europei credono davvero nelle potenzialità dello strumento negli anni a venire, urgono ulteriori interventi per ribilanciare gli incentivi tra i diversi attori in gioco.

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