Tratto da lavoce.info
DI ALESSANDRO SANTORO, professore ordinario di scienza delle finanze presso il Dems dell’Università di Milano-Bicocca
Il governo intende presentare presto un disegno di legge di riforma del fisco. È fondamentale che non si limiti a un riordino del numero delle aliquote legali o degli scaglioni. Deve invece indicare una idea chiara e coerente del modello di imposizione.
Serve una prospettiva chiara
Il governo ha annunciato di voler presentare entro marzo un nuovo disegno di legge di riforma del fisco. Si tratta dell’ennesimo tentativo di riformare il nostro sistema fiscale e fa seguito a quello non riuscito nella scorsa legislatura, nonché ad altri progetti solo annunciati o realizzati solo in parte negli anni precedenti. Non sono ancora noti i contenuti e non è il caso di dare particolare peso alle indiscrezioni giornalistiche. Ciò che è importante chiarire è che un progetto di riforma deve avere alcune caratteristiche per definirsi tale.
Per quel che riguarda la politica fiscale, sarebbe importante che il disegno di riforma adottasse una prospettiva chiara e facesse riferimento a modelli di imposizione che hanno un radicamento nella letteratura economica e nell’esperienza internazionale. Per fare un esempio, il disegno di legge di riforma del fisco approvato dal governo Draghi nell’autunno del 2021, ma non votato dal Parlamento, aveva stabilito alcuni principi che qualche osservatore distratto o poco informato aveva ritenuto vaghi e generici e che, invece, si basavano su riferimenti precisi.
Per quanto riguarda le imposte sui redditi personali, il Ddl di riforma Draghi prevedeva, su esplicita indicazione delle competenti commissioni parlamentari, di completare l’adozione del modello duale con la contestuale riduzione delle aliquote medie e marginali effettive finalizzata a incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro. Guardando all’esperienza dei paesi nordici, quindi, il disegno di legge, coerentemente, prevedeva una graduale transizione verso l’applicazione di una medesima aliquota proporzionale per tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale e di un’imposizione progressiva su quelli restanti. Il principio avrebbe consentito un trattamento uniforme di tutti gli impieghi di capitale, inclusi quelli relativi alle attività di lavoro autonomo e di impresa individuale, e il riassorbimento graduale di tutti i regimi agevolativi (dalla cedolare secca sugli affitti alla flat tax). Il livello di aliquota non veniva determinato perché secondario rispetto all’obiettivo di un’imposta duale, che è quello di garantire la neutralità nel trattamento degli impieghi di capitale. Tuttavia, il riordino che sarebbe derivato dall’applicazione del principio duale avrebbe con ogni probabilità consentito un incremento di gettito che sarebbe servito per ridurre le aliquote effettive sui redditi non da capitale, ovvero in primo luogo da lavoro. Il riferimento alla riduzione delle aliquote effettive, cioè calcolate tenendo conto non solo delle aliquote formali e degli scaglioni, ma anche delle deduzioni e delle detrazioni, era spiegabile alla luce della volontà di aumentare l’offerta di lavoro. La letteratura internazionale, infatti, dimostra che la reattività alle variazioni di imposizione cambia al cambiare del livello di reddito nonché a seconda del genere.
Sono ovviamente possibili altre impostazioni, ma è fondamentale che il prossimo disegno di legge non si limiti a un superficiale riordino del numero delle aliquote legali o degli scaglioni e che indichi una chiara e coerente ipotesi di riforma dell’Irpef nel suo insieme, a cominciare dalla definizione della base imponibile. In particolare, il disegno di riforma dovrebbe prevedere un criterio di razionalizzazione della miriade di regimi agevolativi che hanno trasformato l’odierna Irpef in un’imposta à la carte, priva di qualsiasi razionalità e universalità. Se la razionalizzazione non ci fosse, la riduzione del numero delle aliquote sarebbe puramente cosmetica.
Le imposte al consumo
Anche per quanto riguarda l’Iva e le imposte sul consumo, andrebbe prima di tutto specificata la direzione di marcia. Nel disegno di legge Draghi si prevedeva che il riordino delle aliquote e delle basi imponibili avvenisse con l’obiettivo di ridurre l’erosione e l’evasione e di aumentare l’efficienza. Pure in questo caso, ai principi generali era sotteso il riferimento alla letteratura sulla misura dell’inefficienza dell’Iva, e in particolare al policy gap – che misura la perdita di gettito rispetto all’ipotesi in cui tutti i consumi sono tassati con la stessa aliquota e quindi non vi è erosione – e al compliance gap – che misura la perdita di gettito rispetto all’ipotesi in cui non ci sia evasione. Questi riferimenti indicavano la necessità di muovere verso un tendenziale accorpamento delle aliquote Iva, che serve a ridurre entrambi i divari, attualmente molto elevati per il nostro paese.
Oltre all’Irpef e all’Iva, la riforma del nostro sistema fiscale richiederebbe di rivedere alcuni aspetti dell’Ires non più in linea con le migliori pratiche, nonché di disegnare le accise tenendo conto di quanto accade a livello internazionale, con particolare riferimento agli obiettivi ambientali.
Vedremo quali di questi temi saranno affrontati nel prossimo disegno di legge di riforma e, soprattutto, come ciò accadrà.
**L’autore è stato consigliere del Ministro all’Economia Daniele Franco.
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