Tratto da lavoce.info
DI MASSIMO BORDIGNON, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’università Cattolica di Milano
E GILBERTO TURATI, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
Cosa pensano i cittadini del Servizio sanitario nazionale? Le percezioni non sempre coincidono con i fatti. Per esempio, non è vero che la spesa sanitaria è diminuita negli ultimi anni. Ma i giovani sono più consci delle future difficoltà di finanziamento.
Il Servizio sanitario nella percezione degli italiani
Che cosa sanno gli italiani degli ultimi vent’anni di storia del Servizio sanitario nazionale? E quali sono le loro opinioni in merito al futuro della sanità pubblica in Italia? In una recente ricerca per il Laboratorio Futuro dell’Istituto Toniolo abbiamo provato a cercare qualche risposta alle due domande attraverso una indagine su un campione rappresentativo composto da 3 mila cittadini italiani tra 18 e 64 anni condotta da Ipsos tra marzo e aprile dello scorso anno. Sono venuti fuori risultati interessanti, che possono essere utili per impostare una riflessione sempre più urgente su quello che realmente si vuole fare per riformare il Ssn, ma anche una lezione sull’importanza della narrazione che si riesce a veicolare a partire dai numeri e dai fatti e come questa narrazione influenzi le opinioni (e probabilmente il voto) degli italiani.
Sulla prima questione, la ricerca ha mappato sia le percezioni dei cittadini in merito alle risorse finanziarie (spesa, finanziamento e posizione relativa del paese nei confronti di altri partner europei), sia le percezioni in merito alle risorse produttive, con particolare riferimento al ruolo dell’ospedale rispetto ai servizi territoriali e al ruolo del privato. I risultati mettono in luce come una quota rilevante di cittadini abbia una percezione scorretta di quello che è successo nel Ssn negli ultimi vent’anni.
Partiamo dai fatti: se si guardano i numeri, tra il 2000 e il 2019 (anno precedente alla pandemia per evitare distorsioni), la spesa pro-capite nominale è aumentata del 61 per cento, da poco più di 1.100 euro a poco più di 1.900 euro, ma anche la spesa reale è comunque aumentata del 20 per cento. All’aumento della spesa si accompagna anche una crescita del finanziamento corrente, sia in termini nominali sia in termini reali, sullo stesso periodo temporale. Non è un caso che, se ci confrontiamo con altri paesi europei, è sì vero che spendiamo meno di Germania e Francia, ma continuiamo a spendere un pochino di più della Spagna (largamente simile al nostro sistema) e certamente molto di più della Grecia. Difficile fare confronti in termini di qualità, ma guardando al monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza si nota un miglioramento in quasi tutte le regioni.
Pur con questi fatti, un italiano su due pensa che la spesa per il Ssn non sia affatto aumentata, addirittura uno su tre pensa che si spenda un po’ meno o molto meno rispetto a vent’anni fa. Non sorprende quindi che l’affermazione “il finanziamento della sanità pubblica prima del Covid si è costantemente ridotto” trovi in disaccordo solo una piccola minoranza, il 6 per cento di intervistati.
È interessante notare che a pensarla così sono soprattutto i più istruiti, forse perché il dibattito pubblico è stato fortemente distorto da una narrativa che ha spinto nella direzione dei “tagli” e della “macelleria sociale”. Questa interpretazione sembra essere confermata anche dai risultati sul confronto europeo: un italiano su due pensa che il nostro paese spenda meno o addirittura molto meno della media europea, probabilmente accomunando l’Italia alla Grecia, paese nel quale la spesa pubblica pro-capite è la metà di quella italiana. Il 40 per cento degli intervistati pensa anche che la qualità dei servizi sia un po’ o molto peggiorata.
Sul fronte della struttura produttiva, i numeri raccontano la de-ospedalizzazione della sanità, non solo nel nostro paese ma in tutta Europa, un tentativo voluto (e condiviso da molti “tecnici”) di ristrutturare l’offerta dei servizi per renderli più appropriati rispetto alla cronicizzazione delle malattie. Ma mentre i posti letto sono stati tagliati e (alcuni) piccoli ospedali sono stati chiusi, si è fatto poco sul fronte dello sviluppo dei servizi territoriali (e di qui, chiaramente, tutta l’enfasi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per una riforma della sanità territoriale).
Anche in questo caso, le percezioni degli italiani sono largamente fuorviate: una larga maggioranza (55 per cento) pensa che la scelta di de-ospedalizzare sia stata dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica (in generale o per rispondere ai vincoli europei) e un buon 27 per cento pensa che la ragione sia quella di favorire l’ospedalità privata. Così come più di un italiano su due pensa che la chiusura dei piccoli ospedali sia dovuta al rispetto di vincoli finanziari europei che hanno imposto di controllare la spesa. Non stupisce che quasi un intervistato su tre individui il favore nei confronti del privato, viste le percezioni sbagliate sul ruolo dei privati nella sanità ospedaliera e territoriale: un italiano su tre pensa che il privato svolga un ruolo abbastanza o nettamente maggiore sia nelle cure ospedaliere, sia in quelle territoriali, e il 40 per cento degli intervistati pensano che il ruolo di pubblico e privato siano equivalenti. Queste le percezioni, mentre i numeri sottolineano come, pur con differenze regionali, il pubblico sia largamente maggioritario sul fronte delle cure ospedaliere e il privato più attivo solo sul fronte dei servizi territoriali (in particolare per i servizi che avvicinano sanità e assistenza sociale).
Il futuro e la questione dei privati
E per il futuro? Una prima questione che abbiamo indagato è il tema del decentramento, diventato ancora più centrale dopo l’accelerazione del dibattito sull’autonomia differenziata. Abbiamo posto agli intervistati tre opzioni: a) lo stato deve gestire centralmente la tutela della salute; b) lo stato deve definire le regole generali di funzionamento del sistema mentre alle regioni deve essere lasciata la gestione a livello locale; c) lo stato deve definire i servizi fondamentali da offrire attraverso il Servizio sanitario nazionale, lasciando tutto il resto a un sistema di assicurazioni private.
La soluzione b) è la situazione attuale ed è preferita dal 54 per cento degli intervistati, una percentuale che sale al 61 per cento nel Nord-Est. È interessante anche notare che uno su quattro tra i più giovani, nella classe 18-24 anni, preferisce l’opzione c); tale proporzione si riduce fino a diventare solo uno su dieci nella classe di età 55-64 anni. Una possibile spiegazione è che i più giovani anticipano le difficoltà di finanziare un Ssn universale in futuro e sono più interessati a chiarire subito il ruolo da assegnare alle assicurazioni private.
Leggi anche: Anziani non autosufficienti: il primo traguardo è solo l’inizio
Una seconda questione è il tema dell’ospedale e del territorio: abbiamo chiesto agli intervistati se la tutela della salute debba coinvolgere maggiormente l’ospedale (che deve diventare un hub per la fornitura dei servizi) oppure debba coinvolgere maggiormente i medici di medicina generale (che devono diventare dipendenti del Ssn). Il 54 per cento dei rispondenti opta per la seconda opzione, una maggioranza che cresce al Nord (57 per cento) e, non sorprendentemente, cresce nelle aree rurali (57 per cento).
Una terza e ultima questione è il tema del ruolo del privato nell’ambito delle cure ospedaliere. Anche in questo caso abbiamo proposto tre diversi scenari: a) gli ospedali privati dovrebbero essere esclusi dai finanziamenti pubblici; b) gli ospedali privati dovrebbero svolgere tutti i compiti degli ospedali pubblici, incluso il Pronto soccorso, per accedere ai finanziamenti pubblici; c) gli ospedali privati dovrebbero essere focalizzati su cure di qualità e percorsi innovativi. In questo caso, non emerge una alternativa largamente preferita, anche se il 43 per cento degli intervistati vorrebbe che gli ospedali privati si allineassero a quelli pubblici con un Pronto soccorso per poter accedere ai finanziamenti pubblici.
Cosa sembra volere dunque la maggioranza degli intervistati per il futuro prossimo? Sul fronte del decentramento, sembra emergere una preferenza per la situazione attuale, con le regioni a gestire gli spazi di autonomia lasciati aperti dalla legislazione-quadro nazionale. In questo senso, diventa urgente ripensare al sistema di finanziamento regionale per dare piena attuazione all’art. 119 della Costituzione, con l’introduzione di imposte proprie regionali. La discussione va coordinata con l’attuazione dell’art. 116 della Costituzione in tema di autonomia differenziata. Sul fronte dell’organizzazione dei servizi, sembra emergere una maggioranza a favore di medici di medicina generale direttamente dipendenti dal Ssn. Il tema è cruciale per la realizzazione della riforma della sanità territoriale prevista dal Pnrr, rispetto alla quale al momento poco o nulla si sa di che cosa voglia fare il governo. Sempre sul fronte dell’organizzazione dei servizi, sembra emergere un certo favore per gli ospedali privati, a patto che si allineino al pubblico offrendo servizi di Pronto soccorso.
Resta infine il tema del futuro remoto, quando la spesa tenderà a crescere e si dovrà rispondere alla domanda di cosa fare del Ssn universale come l’abbiamo conosciuto finora. I giovani sembrano essere consci delle difficoltà finanziarie. Ma essendo molti i problemi sul tappeto, già lungamente rinviati, non sorprende che sia un tema scarsamente attraente, sul quale nessuno vuole davvero impegnarsi.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
SOSTIENI LAVOCE