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Home Economia

Extraprofitti: una tassa sbagliata

Redazione di Redazione
15 Agosto 2023
in Economia
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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Vignetta di Cecco

Vignetta di Cecco

Tratto da lavoce.info

DI RONY HAMAUI, professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente di Intesa Sanpaolo ForValue.

La tassa sugli “extraprofitti” delle banche, pur avendo un intento redistributivo, è fortemente distorsiva e indebolisce la credibilità del sistema finanziario italiano. Sarebbe stato meglio agire su trasparenza e concorrenza.

Pur avendo un condivisibile intento redistributivo, crea numerose criticità la tassa annunciata inaspettatamente sull’incremento del margine d’interesse delle banche, ossia la differenza tra interessi attivi percepiti dalle banche sugli impieghi e gli interessi passivi pagati sulla raccolta ai depositanti.

In economia il fenomeno di quelli che sono chiamati impropriamente “extraprofitti” è ben noto e si chiama deposit franchise: in una fase di restrizione monetaria i tassi sui depositi bancari crescono molto poco a confronto di quelli sugli impieghi e degli altri tassi di mercato.

Questa circostanza dipende dallo scarso potere di mercato dei depositanti rispetto a quello delle banche, dalla concorrenza imperfetta che caratterizza il settore creditizio, dalla situazione di liquidità del sistema e dal grado di educazione finanziaria dei risparmiatori.

È su queste cause che bisogna agire invece che creare distorsioni e minare la credibilità del sistema finanziario con una tassa mal disegnata (riscritta tre volte in una giornata), con seri problemi di legittimità (perché ex-post) e potenzialmente aggirabile.

Nella sua versione finale il provvedimento prevede che l’imposta del 40 per cento si applichi sull’incremento maggiore del margine d’intermediazione realizzato dalle banche tra il 2021 e 2022, su cui si applica una franchigia del 5 per cento, e quello fra il 2021 e il 2023, su cui si applica una franchigia del 10. La tassa non potrà comunque superare lo 0,1 per cento degli attivi dei singoli istituti.

Una tassa, almeno quattro problemi

Oltre alla complessità semantica della norma è importante tenere a mente quattro problemi legati a questa tassa.

Il primo è che la tassa si applica solo alle banche italiane, creando un chiaro svantaggio competitivo rispetto alle aziende di credito straniere, che già presentavano valutazioni borsistiche e multipli ben superiori. L’imposta crea, infatti, un rischio regolamentare che certo non favorisce il sistema finanziario italiano (oltre a creare in generale un pericoloso precedente). In altri termini questo provvedimento, come paventato dalla stampa estera, può accrescere il cosiddetto “rischio Italia”. Non un bel risultato per un governo che ha fatto molti sforzi (e conseguito qualche successo) per rendersi credibile agli investitori internazionali.

Il secondo dettaglio da tenere presente è che la tassa non colpisce direttamente solo le banche ma indirettamente anche i loro azionisti, che hanno già subito una perdita sul valore del loro investimento e che subiranno in prospettiva una riduzione sui dividendi attesi. Altrettanto esposti sono i depositanti, che potrebbero vedere aumentare le commissioni pagate, e le imprese, che rischiano un aumento del costo del credito e una contrazione della sua disponibilità.

La terza questione da ricordare è che la tassa sul margine d’interesse colpisce anche le cedole di tutte le obbligazioni detenute nei portafogli delle banche, incluse le obbligazioni pubbliche. In questo caso i titoli di stato di nuova emissione, che pagano interesse più alti, sarebbero particolarmente penalizzati con potenziali ripercussioni sul collocamento dei titoli pubblici e impropri arbitraggi fiscali.

Infine, come quarto punto, non è ancora chiaro chi saranno i beneficiari delle misure finanziate col gettito della tassa sugli extraprofitti. Così come non è chiaro che saranno gli stessi che hanno subito gli effetti negativi del deposit franchise.

Meglio agire sulla concorrenza

In questo contesto si capisce quanto meno distorsiva e più duratura sarebbe stata una politica volta a stimolare la concorrenza sul mercato dei depositi e la consapevolezza dei depositanti che sul mercato oggi vi sono migliori opportunità d’investimento. Questo può avvenire con una maggiore trasparenza sulle condizioni applicate dalle banche. Quanti depositanti sanno oggi quale tasso viene applicato sul conto?

Inoltre, andrebbe facilitata la portabilità dei conti, come è stato fatto con i mutui attraverso la legge Bersani. Dovrebbe essere incentivata la crescita delle fintech che già oggi offrono depositi ben più remunerativi delle banche. Infine, è molto importante che le banche che hanno una piattaforma on line offrano servizi di intermediazione con prodotti alternativi facili da acquistare e convenienti. Negli USA ci sono i Money Market Mutual Fund, in Italia forse i vecchi Bot.

Questo è quanto dovrebbe fare un governo di destra moderno, che ha promesso di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Ed è quello che forse dovrebbe proporre anche un’opposizione meno populista e legata a vecchie ideologie.

Nel passato gli stati sono stati spesso costretti a salvare con soldi pubblici le banche in difficoltà. Tuttavia, in questi anni la regolamentazione e la vigilanza hanno fatto di tutto perché questo non succeda più. Sarebbe un peccato creare le condizioni economiche e morali perché le dolorose esperienze passate possano ripetersi.

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