“Fiano, fuori!”. Lo studente tredicenne di scuola media non comprende e chiede:
”Per quale motivo, professoressa? Non ho fatto nulla!”. Risposta : “ Ho detto fuori
dall’aula!”. Lo studente:” Non capisco, non ho combinato niente”. E la professoressa:
”Devi andare fuori. Deciditi”. A questo punto il giovane Nedo Fiano – di lui si tratta –
tra i più brillanti della classe raccolse le sue cose e piangendo si recò a casa
confidando di trovare la madre che lo avrebbe consolato e magari offerto una
spiegazione. Trovò invece la madre, Nella Castiglione, anch’ella piangente poichè
verduraio, macellaio e negozio alimentari si erano rifiutati di vendere i loro prodotti
perché i Fiano, ebrei, “dovevano andarsene”. Più tardi giunse il padre, Olderigo,
molto sofferente anch’egli perché cacciato dal lavoro. Conseguenze delle leggi
razziali del 1938. Suscita sgomento immaginare quale trauma può avere subito, oltre
ai genitori, soprattutto un ragazzo dinanzi a tanta mortificante umiliazione. E quale
incommensurabile sdegno prorompe dal comportamento della docente che non
poteva evitare la applicazione delle leggi razziali, ma era in sua facoltà non infangare
la sua professione infierendo sul giovane con modalità inutilmente malvagie.
Agghiacciante. Nedo poi nel febbraio del 1944, a diciott’anni, venne arrestato
appunto perché ebreo ed avviato, nel maggio successivo, con tutti gli altri dodici
familiari – sopravviverà lui solo – ad
Auschwitz
. Dove non ebbero inizio gli orrori, ma
la loro continuazione.
Basta pensare al viaggio per il campo di sterminio. Nedo e tutti i
suoi familiari insieme a tanti altri ebrei (56 in tutto, sempre in piedi) vennero caricati
su un vagone usato per il trasporto di bestiame. Ai due lati della “carrozza” le “SS”
avevano collocato due bacinelle: una per le evacuazioni liquide, l’altra per le solide,
peraltro neppure vuote. Come si ridusse il pavimento coperto di liquame in sette
giorno di viaggio è orribilmente immaginabile. Al punto che i bimbi di pochi mesi tra
stenti e mancanza di latte morivano e le mamme erano costrette a mantenerli in
braccio perchè il pavimento era, diciamo così, impraticabile. Giunti a destinazione gli
uomini vennero separati dalle donne. Nelle sue conversazioni con gli studenti Nedo
Fiano racconta che la madre urlò:” Nedo, Nedo, abbracciami. Non ci vedremo mai
più”. Ed infatti la signora Nella fu subito avviata al “crematorio 2”. Uno dei cinque in
funzione. Qui l’ ”operazione“ avveniva in tre fasi. In un primo ambiente aveva luogo
la spoliazione. Tutti denudati. Nel passaggio ad un secondo ambiente dove era attesa
la doccia, come annunciato, aveva luogo invece la gassificazione. Ai morti, se donne,
venivano tagliati i capelli. Poi c’erano gli addetti alla estrazione di denti d’oro. Infine
un terzo gruppo procedeva ad ispezioni anali e vaginali per verificare se fosse stato
occultato qualcosa. Indi si passava alla cremazione nei forni. La “resa” doveva essere di circa 13.000 vittime al giorno. Le ceneri venivano raccolte ed utilizzate come
concime agricolo. Gran parte di tutto ciò Enzo Fiano, figlio di Nedo, lo racconta alla
presentazione del suo libro “Charleston”, storia di una grande famiglia travolta
dalla shoah, alla libreria Spaziosette di Roma, uno dei tanti incontri già promossi in
varie città d’Italia.
Nato a Firenze Enzo Fiano è cresciuto a Milano. Trasferitosi
per qualche tempo in Israele, si è laureato in lettere classiche a
Gerusalemme. E’ poi rientrato a Milano dove si è dedicato prima ai libri poi
alla musica, lavorando come dirigente e consulente per importanti case
discografiche. Ora è presidente del Conservatorio di Pavia.
Ma perché
“Charleston”? Perché
su una spiaggia della Versilia, al ritmo sincopato di un
charleston, una bambina, quasi una ragazza, ”inizia a muovere i suoi primi
timidi passi di danza: un’immagine di giovinezza liliale, ricolma di speranza”.
È appunto qui che comincia il racconto di Enzo Fiano. L’alba raggiante del
secolo, i primi anni prosperosi e felici cui però si contrappongono le
successive due guerre mondiali con le loro ferocie, con tante persone
“aggredite nella loro dignità” come ricorda il padre Nedo a proposito delle
persecuzioni nazi-fasciste. Non una cronologia o solo una macabra
descrizione dell’accaduto ma un fraseggio originale dove “Charleston”
coglie l’invito di questo ballo, in un continuo inseguirsi di ricordi, che hanno
lasciato nelle persone cha hanno vissuto le durezze della storia “un segno
tragicamente indelebile”. Afferma Enzo Fiano: «La vita, la mia almeno,
sembrerebbe essere un insieme di variazioni, da inseguire, da smascherare,
confuse in un cespuglio intrigante pieno di nodi nascosti, in una trama che a
volte non so più districare, di suggestive apparenze di memorie». Un
particolare esercizio della memoria che è non solo un modo diverso di
riavvicinarsi al passato – commenta il preambolo del volume – ma forse
l’unico per gettare uno sguardo sul futuro. Ed al futuro ha prestato grande
attenzione Nedo Fiano quando, prima di abbandonarci due anni fa, nel corso
dei numerosi incontri avuti con gli studenti sollecitava a riflettere su “quello
che avverrà”. Nel senso che non bisogna essere distratti, ma “essere
preparati, vigili, altrimenti il futuro diventa un’altra trappola”. Con possibili,
rinnovate indicibili sofferenze e tenendo conto che la stessa “preparazione”
pur accortamente praticata, ed è già tanto, non è tutto perché “il dolore non
si conosce se non si prova”, conclude Enzo Fiano.