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Home Economia

Fotovoltaico e terreni agricoli: gli interessi in campo

Redazione di Redazione
26 Aprile 2023
in Economia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Tratto da lavoce.info

DI MASSIMO GRECO, in servizio presso la Soprintendenza ai Beni Culturali di Enna

L’esigenza di accelerare la diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili può scontrarsi con la tutela di paesaggio e terreni agricoli. Ma a chi spetta la decisione? Le dichiarazioni del governatore della Sicilia ripropongono l’interrogativo.

Botta e risposta tra governatore e ministro

Nei giorni scorsi il governatore della Regione Sicilia, Renato Schifani, ha affermato: “Ho deciso a breve di sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico. Dobbiamo valutare l’utile d’impresa con l’utile sociale e col danno ambientale”. Ha poi aggiunto che “I nostri terreni agricoli vengono devastati dai pannelli e quindi noi paghiamo un prezzo ma questo tipo di attività non dà lavoro perché l’impianto una volta collocato viene gestito telematicamente. E l’energia va allo stato”.

Il blocco che potrebbe riguardare oltre 600 impianti fotovoltaici e agrivoltaici (pari a 36,05 GW) provocherebbe un rallentamento degli obiettivi europei che prevedono 70 GW di nuovi impianti al 2030. A stretto giro di posta è arrivata la risposta del ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso a tenore del quale “A Schifani dico che i pannelli solari sono una grande scommessa per la Sicilia. Stiamo realizzando il più grande stabilimento di pannelli solari d’Europa realizzato da una grande azienda come Enel”.

Se questo è il dialogo tra due autorevoli esponenti appartenenti alla medesima maggioranza politica, è utile sapere fino a che punto il governatore di una regione a statuto speciale come la Sicilia può limitare lo sviluppo di energie rinnovabili nel territorio di sua competenza.

La normativa europea

Il regolamento (Ue) 2022/2577 del Consiglio del 22/12/2022, che istituisce il quadro per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili, stabilisce che la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete, la rete stessa, gli impianti di stoccaggio sono considerati d’interesse pubblico prevalente e d’interesse per la sanità e la sicurezza pubblica nella ponderazione degli interessi giuridici nei singoli casi. E afferma, tra i considerando, che l’energia solare è una fonte rinnovabile determinante per porre fine alla dipendenza dell’Unione dai combustibili fossili russi e perseguire, nel contempo, la transizione verso un’economia climaticamente neutrale.

La normativa statale

In coerenza con le indicazioni del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e tenendo conto dell’evoluzione e dell’aggiornamento dei consumi statisticamente rilevanti, l’Italia intende conseguire un obiettivo minimo del 30 per cento come quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo (articolo 3 Dlgs n. 199/2021). Con uno o più decreti del ministro della Transizione ecologica di concerto con il ministro della Cultura e il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del Dlgs n. 281/1997, sono stabiliti principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle “aree idonee e non idonee” all’installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal Pniec per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili. In attuazione di tale disciplina, le Linee guida, approvate con Dm 10 settembre 2010, ai sensi dell’art. 12, c. 10, del Dlgs n. 387 del 2003, da leggersi oggi alla luce dell’art. 20 del Dlgs n. 199/2021 così come per ultimo modificato dall’art. 6 del Dl n. 50/2022, stabiliscono che le regioni e le province autonome possono procedere alla indicazione di “aree e siti non idonei” all’installazione di specifiche tipologie di impianti.

Leggi anche: Povertà e decreto flussi: le due facce del governo Meloni
I comuni

I comuni in generale, e anche quelli delle regioni a statuto speciale, non possono precludere l’installazione di impianti fotovoltaici in verde agricolo in ragione della mera destinazione del sito e non possono farlo, comunque, avvalendosi dell’ordinaria potestà regolamentare locale. I comuni possono infatti adottare regolamenti soltanto nelle materie di propria competenza (art. 117 Cost. e art. 7 Dlgs n. 267/2000); il relativo potere è attribuito alle regioni che lo esercitano mediante appositi atti di pianificazione i quali, in tale ambito, scontano però specifici limiti stabiliti dalle citate Linee guida statali. I comuni sono quindi del tutto estranei all’attività di pianificazione sia sulla base delle Linee guida, sia sulla base del sopravvenuto Dlgs n. 199/2021.

Le regioni a statuto speciale

La competenza primaria in materia di tutela del paesaggio attribuita a una regione a statuto speciale o a una provincia autonoma, da un lato, rende inapplicabili le Linee guida nella loro interezza, ma dall’altro lato non esonera le medesime autonomie dall’osservanza delle disposizioni a carattere generale contenute sempre nelle Linee guida (Corte cost. n. 224 del 2012, cit., e n. 168 del 2010). Nella generale utilizzabilità di tutti i terreni per il loro insediamento, il principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia da fonte rinnovabile può trovare eccezione per esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell’assetto urbanistico del territorio (Corte cost., n. 13 del 2014 e n. 224 del 2012), ma la compresenza dei diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti ha, come luogo elettivo di composizione, il procedimento amministrativo richiesto dalle Linee guida. Invero, è nella sede pianificatoria che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse degli operatori economici, sia ancora con ulteriori interessi di cui sono titolari i singoli cittadini e le comunità di riferimento. Le “aree non idonee” individuate confluiscono, pertanto, nell’atto di pianificazione con cui le regioni e le province autonome conciliano le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili, tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dalla pianificazione paesaggistica e del necessario rispetto della quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing).

Leggi anche: L’insostenibile inutilità dell’essere bicamerali
Dal quadro normativo, dunque, si ricava che se l’atto di pianificazione della regione, nell’individuare le “aree non idonee”, non può comportare un divieto assoluto, bensì può essere utile a segnalare una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni in sede di autorizzazione, a maggior ragione il divieto è precluso quando, come per la Regione Sicilia, l’atto non risulta ancora adottato. L’impossibilità di valorizzare tutti gli interessi pubblici implicati finirebbe per violare il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (Corte cost., sentenza n. 286 del 2019).

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