di Giorgio Girelli *
Posso ben comprendere che qualche Amica colga ogni occasione per rimarcare dignità e ruolo delle donne nella società. Sarei il primo a sostenere che, nonostante gli indubbi progressi raggiunti (per la legge i coniugi sono ora alla pari, è stato soppresso il divieto per le donne di accedere alla carriera diplomatica e militare, o di iscriversi al Rotary, e così via) resta ancora molto da fare perchè di fatto i ruoli in famiglia non sono eguali, nel lavoro o nella società in genere persistono incrostazioni discriminanti dure a morire. Attenzione però a non “strafare”: si ottiene l’effetto contrario. Per cui appare singolare che in un comunicato stampa del Comune di Pesaro il rappresentante locale del Governo sia appellato “La Prefetta”. Ricordo che alla inaugurazione di un anno accademico del Conservatorio statale Rossini il sindaco Ricci fu ripreso con una certa fermezza dal ministro dell’Università Valeria Fedeli per essere stata da lui salutata appunto “ministro” anzichè “Ministra” come lei desiderava. E grazie alla “battaglia” di “Valeria” oggi l’appellativo “ministra” è in buona parte accolto o tollerato. Ma non dovunque: al Ministero Università, ad esempio, è di rigore chiamare la titolare del dicastero senatrice Bernini “ministro”.
Diversa è la situazione per il Prefetto perché: a) non risulta che alcuna…”prefetta” abbia ingaggiato battaglie per essere così chiamata; b) gli atti di nomina del ministero dell’interno fanno sempre riferimento al “prefetto”, sia esso uomo o donna; c) gli atti della prefettura di Pesaro e Urbino recano sempre la dizione “prefetto”; d) non sappiamo se l’attuale Capo dell’Ufficio territoriale del governo (prefettura) sia stato interpellato sul gradimento di un appellativo che lo riguarda.
E’ pur vero che c’è chi, come la linguista Alma Sabatini, presidente del Movimento di liberazione della donna, nel suo ”Il sessismo nella lingua italiana”, consiglia non solo prefetta ma questrice o questora. Neologismi? De gustibus… E quando ci troviamo dinanzi ad atleta, archiatra, astronauta, geometra, ciclista, pilota, archivista, tennista, artista, musicista, ecc.. ecc.. che facciamo, volgiamo la desinenza in “o” se la figura riguarda un maschio?
Non va però trascurato che per le cariche istituzionali ed anche per le professioni in generale si ricorre al neutro che ha valenza ambigenere qualunque sia la desinenza: presidente, cantante, preside, capo dipartimento, giornalista (ma non mancano eccezioni: infermiera, professoressa, ecc..). Per cui in verità è l’articolo che per lo più identifica il genere: un atleta, una atleta; il pediatra la pediatra. Il presidente Napolitano in un incontro pubblico riprese, palesemente infastidito, l’onorevole Boldrini perchè si astenesse dallo “storpiare l’italiano” chiamando la donna primo cittadino “sindaca”. La lingua evolve ed i cambiamenti si sovrappongono. Incidono le trasformazioni sociali avvenute nei recenti decenni e il nuovo ruolo della donna nella società contemporanea. Basta verificare l’altalenante indirizzo della stessa Accademia della Crusca negli ultimi trent’anni. Ma per il “prefetto” non sono alle viste per ora mutazioni, anche alla luce degli intendimenti delle “interessate”. Meglio dunque impegnarsi su altri, più concreti fronti per la sacrosanta parità di genere.
*Coordinatore Centro Studi sociali “A. De Gasperi”