Tratto da lavoce.info
DI PAOLO RIZZO
La metà delle risorse mondiali di litio si trova in un’area dell’altopiano andino tra Argentina, Bolivia e Cile. Ma i tre paesi producono solo un terzo dell’offerta. A ostacolare lo sviluppo dell’industria sono norme, tecnologie e problemi macroeconomici.
Un metallo per la transizione energetica
La metà delle risorse mondiali del litio si trova in un triangolo, un’area nell’altopiano andino che si estende tra Argentina, Bolivia e Cile. Eppure, complessivamente i tre paesi producono solo un terzo dell’offerta mondiale del metallo. Sulla differenza tra quantità di risorse e loro commercializzazione incidono problemi tecnologici, normativi e macroeconomici.
Il litio è un metallo chiave per la produzione di batterie elettriche e per la transizione energetica. La batteria di un cellulare contiene fino a 2 grammi di litio. Quella di un’auto elettrica ne contiene in media 8 chili, anche se la quantità varia a seconda della grandezza del veicolo. Non sorprende quindi che la domanda di litio si sia triplicata tra il 2015 e il 2021 e potrebbe quadruplicarsi da qui al 2030. Oggi, non esiste un mercato unico e un prezzo mondiale del litio. Nel mercato cinese, il prezzo attuale del metallo (circa 50 mila dollari per tonnellata), nonostante la recente caduta, è il triplo di quello medio del periodo 2013-2020.
Il servizio geologico degli Stati Uniti distingue tra risorse e riserve di litio.
Le risorse di litio sono depositi stimati. Secondo questa classificazione, la Bolivia è il paese con più risorse al mondo. Il triangolo del litio, composto da Argentina, Cile e Bolivia, contiene la metà delle risorse di tutto il mondo.
Le riserve di litio sono giacimenti scoperti, recuperabili e commerciabili. Secondo questa classificazione, Cile e Australia sono i paesi che possiedono le maggiori riserve.
Chi ha i giacimenti e chi lo produce
Nel 2022 la quasi totalità della produzione del litio si concentrava in quattro paesi: Australia (47 per cento), Cile (30 per cento), Cina (15 per cento) e Argentina (5 per cento). La produzione mondiale è triplicata negli ultimi cinque anni grazie alla crescita australiana, mentre i paesi del triangolo del litio arrancano per problemi tecnologici, normativi e macroeconomici.
In Australia il litio si ottiene dalle rocce attraverso la tradizionale attività mineraria. In Sudamerica il metallo si trova immerso in laghi salati sotterranei in prossimità delle saline andine. Per estrarlo è necessario pompare in superficie l’acqua del lago, riempire grandi vasche all’aria aperta e attendere un anno e mezzo affinché l’acqua evapori. Rispetto all’Australia, l’estrazione in Sudamerica è più costosa e richiede più tempo.
La Bolivia, pur essendo il paese con le maggiori risorse di litio del mondo, non ha riserve. Innanzitutto perché, a differenza di Argentina e Cile, lì il litio si presenta con un’alta concentrazione di magnesio e non si può utilizzare la stessa tecnologia di estrazione degli altri paesi. La Paz ha poi dichiarato il litio “riserva nazionale” e nessuna società privata può estrarlo. L’unico modo per avviare la produzione è siglare un accordo di collaborazione con la società statale YLB (Yacimientos de Litio Bolivianos). Finora la Bolivia non ha avviato la produzione su scala industriale.
Le differenze normative e macroeconomiche giocano un ruolo decisivo nella produzione argentina e cilena. Grazie anche alla sua tradizione mineraria, il Cile è attualmente il secondo produttore mondiale di litio e produce sei volte più rispetto all’Argentina. Secondo JP Morgan, tuttavia, la produzione argentina potrebbe superare quella cilena entro il 2027 perché l’Argentina ha un quadro normativo che genera migliori condizioni per gli investitori.
Buenos Aires considera infatti il litio come una risorsa concedibile a privati e delega alle province la decisione su come sfruttare e sviluppare la sua estrazione. Inoltre, gli investimenti minerari godono di una invariabilità fiscale per un periodo di trent’anni dalla data di presentazione dello studio di fattibilità. Al contrario, il Cile ha dichiarato il litio “risorsa strategica nazionale” negli anni Settanta, quando era considerato un metallo di interesse per l’industria nucleare e, da allora, la legislazione non è cambiata. Il metallo può essere estratto direttamente solo dallo stato o da imprese private sotto un contratto di concessione amministrativa. Dopo la riforma fiscale del 2016, la legislazione cilena non prevede più il regime di invariabilità fiscale per gli investimenti minerari.
Quanto ai diritti di estrazione, le province argentine non possono addebitare alle imprese una royalty superiore al 3 per cento. Il Cile segue invece un regime fiscale scaglionato, progressivo e marginale (dal 6,8 al 40 per cento), a seconda della fascia di prezzo del litio.
Un altro ostacolo alla produzione di litio in Sudamerica è l’incertezza macroeconomica. In Cile le proteste di piazza del 2019 e i lavori dell’assemblea costituente per una nuova Costituzione (poi rifiutata in un referendum) hanno eroso la fiducia degli investitori. Mentre a scoraggiare gli investimenti in Argentina sono le restrizioni cambiarie e la cronica instabilità economica del paese.
Eppure, nonostante le difficoltà, il litio è una grande opportunità e i tre paesi sognano di formare una Opec del litio per riuscire a fissare il prezzo internazionale. A far parte del cartello potrebbe entrare anche il Messico, che ha da poco nazionalizzato il litio presente nel suo territorio. Si tratta però di una quantità minima, solo il 2 per cento delle riserve mondiali, che si trova principalmente nelle rocce. Le differenze nella produzione, sia in termini di tecnologia richiesta che di quantità, rendono difficile l’effettiva costituzione di un cartello, tanto più che Messico e Bolivia non producono ancora in forma industriale. Per i tre paesi del triangolo del litio sarebbe dunque meglio fare sistema, uniformando le leggi e gli incentivi per gli investimenti. Ne trarrebbero giovamento le loro finanze, la produzione globale e la transizione energetica.
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