Tratto da lavoce.info
DI DARIO IMMORDINO, dottore di ricerca in diritto comunitario e interno all’Università di Palermo
Un pesante fardello di oneri e adempimenti burocratici obbliga i cittadini e le imprese a sostenere ingenti costi per gestire i rapporti con la Pa, stimati fino a 150 miliardi. Tutto ciò ha effetti negativi sul sistema produttivo e sul welfare.
Il costo della burocrazia
I costi della burocrazia sono da tempo ritenuti i principali responsabili della difficoltà nel fare impresa in Italia. La globalizzazione e la crescente complessità dei fenomeni economici, la moltiplicazione dei livelli decisionali e di spesa hanno determinato un’incontrollata espansione della regolazione pubblica, e secondo l’antropologo David Graeber, mai come in questo periodo storico il genere umano ha passato tanto tempo a occuparsi di “scartoffie d’ufficio” e di complicazioni burocratiche.
In realtà, il problema non è la regolamentazione in sé, per quanto complessa, ma la sua applicazione discrezionale e inefficiente: Da diversi anni, infatti, il Rapporto Doing business della Banca mondiale segnala che l’efficienza burocratica costituisce uno dei principali fattori di competitività dei sistemi produttivi nazionali e locali, addirittura più rilevante dei livelli di tassazione e di altri fattori di natura finanziaria, e individua corruzione e mala-burocrazia come principali fattori degli effetti negativi sul sistema produttivo e di welfare.
La relazione del presidente del Tar Lazio all’apertura dell’anno giudiziario certifica che nel 2022 sono stati depositati 16.850 ricorsi contro ministeri e pubbliche amministrazioni. Quasi cinquemila sono stati presentati per ottenere una risposta dalla pubblica amministrazione a una istanza o l’attuazione di sentenze che riconoscono ai cittadini il diritto ad autorizzazioni, concessioni, provvedimenti favorevoli, prestazioni, servizi, finanziamenti. Ciò significa che troppo spesso i cittadini sono costretti ad agire in giudizio contro le amministrazioni pubbliche per ottenere ciò che spetta loro. E talvolta non basta vincere in giudizio, poiché per arrivare all’esecuzione delle sentenze favorevoli bisogna attivare un altro contenzioso.
Nel complesso, il pesante fardello di oneri e adempimenti e la vasta gamma di patologie amministrative obbliga cittadini e imprese a sostenere ingentissimi costi per gestire i rapporti con la Pa e comporta una serie di conseguenze negative: lunghe e complesse procedure per l’avvio di attività imprenditoriali, debiti non pagati nei confronti delle imprese, sprechi di risorse che depotenziano gli investimenti pubblici e disincentivano quelli dei privati, rilevanti perdite di gettito tributario, deficit di competitività del sistema paese, lievitazione del costo di servizi e infrastrutture pubbliche.
Il costo della mala-burocrazia è molto difficile da quantificare, anche perché l’analisi degli effetti delle regole pubbliche e la misurazione degli oneri sopportati da cittadini e imprese nel rapporto con la pubblica amministrazione non sono mai entrate pienamente a regime, benché imposte dalla legge da oltre dieci anni.
Secondo una recente stima dell’Istituto Ambrosetti il costo annuo dell’attività burocratica a carico delle imprese ammonta a 57,2 miliardi, pari allo stipendio annuale medio di quasi 2 milioni di lavoratori e al 3,3 per cento del Pil. Si tratta di “oneri di transazione”, che comprendono costi organizzativi e di consulenza e assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, spese procedurali, oneri per il contenzioso e così via.
L’Ufficio studi della Cgia ha recentemente quantificato in 14,5 miliardi il costo annuo della burocrazia locale (251 euro pro capite, 334 per le amministrazioni comunali fino a 5 mila abitanti), mentre un report di PwC Italia certifica che per l’apertura di una nuova attività in Italia si spendono fino a 20mila euro fra tasse, costi per i consulenti e oneri procedurali, e che un’azienda può impiegare fino a 312 ore all’anno per compilare documenti e completare pratiche amministrative. Nel Mezzogiorno gli adempimenti possono impegnare fino a 1.200 ore.
Le varie patologie dell’attività di programmazione e gestione finanziaria e contabile determinano, inoltre, consistenti ritardi nei pagamenti della Pa, che sottraggono ai creditori (soprattutto piccole e medie imprese) circa 55,6 miliardi di euro.
Nel complesso queste patologie costerebbero al sistema produttivo e alla finanza pubblica nazionale circa 150 miliardi.
L’inefficienza burocratica
A queste cifre bisognerebbe aggiungere il danno emergente e il lucro cessante derivanti dall’inefficienza burocratica, ossia le ingentissime risorse disponibili che non vengono spese e vengono quindi sottratte all’economia e alla società, e quelle che non vengono investite per timore delle lungaggini burocratiche e della moltiplicazione di oneri.
I dati dell’Agenzia della coesione territoriale certificano, infatti, che non si riesce a trasformare in infrastrutture e pagamenti alle imprese circa 200 miliardi già stanziati nei bilanci pubblici, a cui potrebbero aggiungersi investimenti molto consistenti, atteso che il settore infrastrutturale italiano è considerato un mercato chiave per i principali investitori istituzionali globali.
La quantificazione del costo dell’inefficienza burocratica a carico di cittadini e imprese deve, altresì, comprendere il conto della corruzione, stimato da una recente ricerca dell’Istituto Rand in circa 237 miliardi. Non si tratta, evidentemente, di un importo quantificato sulla base di parametri oggettivi e verificabili attraverso calcoli precisi e affidabili, ma della monetarizzazione di fattori eterogenei e di incerta consistenza, quali la perdita di gettito tributario, il deficit di competitività, la lievitazione del costo di servizi e infrastrutture pubbliche, gli oneri di transazione per cittadini e imprese.
Basti considerare che, secondo le recentissime stime dell’Istituto Ambrosetti, allineando i livelli di efficienza della burocrazia italiana a quelli di paesi come Francia, Spagna, Germania, Regno Unito si conseguirebbero notevoli incrementi di Pil, pari a circa 146 miliardi (9,1 per cento), al netto di qualsiasi erogazione di risorse pubbliche.
Le norme nazionali e regionali adottate negli ultimi anni hanno imposto cambiamenti: elevati standard di qualità dei servizi e delle prestazioni pubbliche, la riforma del sistema di governo locale e dell’organizzazione burocratica regionale al fine di eliminare sovrapposizioni e conflitti di competenze che rallentano l’azione amministrativa e inquinano le responsabilità, la semplificazione dell’attività amministrativa e delle procedure di appalto, la riforma delle regole contabili che paralizzano o rallentano la spesa pubblica.
A diversi anni dall’adozione delle misure, però, le regole sulla semplificazione e sull’efficienza sono rimaste sulla carta, a causa dell’incapacità di verificarne l’effettiva applicazione e attuazione cosicché le patologie che zavorrano il sistema economico sociale si sono cronicizzate e, in certi ambiti, addirittura aggravate.
Ciò dimostra che l’efficienza non si può imporre per legge, ma richiede attente e costanti attività di monitoraggio e controllo e la capacità di rilevare e sanzionare l’inefficienza. Il nodo cruciale consiste nella capacità di calibrare l’attribuzione degli incarichi e il trattamento economico dei dipendenti pubblici in relazione a parametri concreti: rispetto dei termini procedimentali e delle disposizioni di semplificazione, condotta in conferenza di servizi, contenzioso provocato e relativi esiti, tempi di pagamento dei debiti verso le imprese.
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