Tratto da lavoce.info
DI ALESSIA AMIGHINI, professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell’ISPI
Sulla democrazia e sull’attività economica di Taiwan pende il nodo dei rapporti con la Cina, a maggior ragione dopo le ultime elezioni generali. Per il momento però non dovrebbero esserci conseguenze di rilievo, almeno per quanto riguarda l’economia.
Taiwan nel contesto geopolitico
Le elezioni generali di sabato 13 gennaio a Taiwan si sono svolte in un momento molto delicato sul fronte sia interno, sia internazionale. Negli ultimi anni, l’isola ha acquisito una rilevanza sempre maggiore a livello globale per una moltitudine di fattori, che vanno dal confronto geopolitico globale tra Cina e Stati Uniti, alla capacità di innovazione delle sue aziende tecnologiche, senza dimenticare la sua esperienza unica nella sfida contro la pandemia Covid-19.
Due sono le ragioni principali per cui Taiwan dovrebbe essere al centro della nostra attenzione se vogliamo comprendere la situazione dell’Asia orientale. La prima riguarda il suo status di faro della democrazia nella regione, rispetto ai regimi autoritari con posizioni sempre più assertive e intransigenti nelle relazioni internazionali; la seconda riguarda la grande centralità dell’economia taiwanese nelle catene di approvvigionamento globali. La democrazia e la vivacità economica sono due dei pilastri fondamentali che definiscono il ruolo di Taiwan sulla scena internazionale.
Sul fronte economico, nonostante nel 2023 la performance del paese sia stata ben al di sotto delle aspettative, con una crescita molto più lenta del previsto (1,2 per cento, rispetto al tasso di crescita medio del 4,2 per cento raggiunto tra il 2020 e il 2022), le prospettive sono ora migliori. La domanda è in aumento sia all’interno, con gli aumenti dei salari pubblici, che contribuiscono alla vivace crescita dei consumi, sia dall’estero, con le esportazioni che dovrebbero aumentare nei prodotti elettronici e nei semiconduttori, i settori chiave dell’economia taiwanese.
Le possibili reazioni dopo le elezioni
Le elezioni del 13 gennaio, per quanto cruciali, nell’immediato non hanno messo a rischio la ripresa. Ciò è dovuto alla centralità dell’elettronica – e ancor più dei semiconduttori – nella produzione globale, dal momento che l’enorme dipendenza commerciale da Taiwan in questo campo non è diventata (ancora?) una fonte di grandi preoccupazioni per l’Occidente. Tuttavia, l’attuale andamento positivo potrebbe non durare nel prossimo futuro: ciò dipenderà in modo determinante dalle conseguenze che l’esito delle votazioni produrrà.
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Le possibili reazioni della Cina al risultato delle elezioni vanno oltre ogni ragionevole capacità di previsione. Sebbene il commercio taiwanese si sia recentemente diversificato dalla Cina, a vantaggio delle esportazioni verso il resto dell’Asia e gli Stati Uniti, Pechino assorbe ancora circa il 35 per cento delle esportazioni di Taiwan. Questo può far pensare che la probabilità di qualche tipo di ritorsione sia alta. Con la vittoria di Lai Ching-te, candidato del Ppt, il partito progressista democratico, e la contestuale sconfitta del Kuomintang filo-cinese, le ambizioni della Repubblica popolare cinese di riuscire a “conquistare” politicamente la Repubblica di Cina, che da sempre considera suo territorio, sono andate deluse, e gli alleati di Taiwan – Stati Uniti in testa – si affrettano a soffiare sul possibile fuoco in arrivo da Pechino.
Tuttavia, è improbabile che per i beni taiwanesi si verifichi un calo significativo della domanda cinese, poiché attualmente non ci sono altri fornitori di semiconduttori di fascia alta, di cui la Cina ha un grande bisogno. Taiwan produce oltre il 60 per cento dei semiconduttori mondiali e la maggior parte di quelli più avanzati. La minaccia di ridurre le importazioni da Taiwan potrebbe non essere così credibile come la Cina vuole far credere al mondo, almeno per il momento. Tuttavia, Pechino ha investito 50 miliardi di dollari nella produzione di chip, sperando di arrivare a soddisfare il 70 per cento della domanda interna entro il 2025. Non è chiaro se riuscirà a ridurre la sua dipendenza dalla produzione taiwanese, ma è chiaro che alla fine raggiungerà i segmenti più avanzati del settore, riducendo così l’importanza strategica di Taiwan nell’elettronica e nella produzione di chip.
Pertanto, il rischio geopolitico complessivo legato alle relazioni commerciali internazionali con Taiwan dipenderà da due fattori. In primo luogo, un ruolo centrale avrà la disponibilità – e la capacità -dell’economia taiwanese di diversificarsi sempre più dai forti legami commerciali e di investimento con la Cina. A sua volta, ciò sarà determinato anche dall’approfondimento delle relazioni commerciali e di investimento con altri importanti partner nel prossimo futuro. Gli sforzi degli Stati Uniti per riportare la produzione di chip in patria potrebbero non essere un’opzione accettabile, se è vero che, come scrive l’Economist, che “il costo della produzione di chip in America sarebbe superiore del 55 per cento”.
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Finché gli investitori stranieri, soprattutto nel settore dell’elettronica, continueranno a credere nella centralità di Taiwan nella catena di fornitura globale di chip e investiranno in nuove capacità produttive sull’isola, rimarranno basse le ripercussioni sull’economia nazionale di un rischio geopolitico sempre più elevato. Il settore dei semiconduttori può benissimo agire come “la migliore merce di scambio di Taiwan contro la Cina”.
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