DI ALESSIA AMIGHINI, professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell’ISP
Sono dazi compensativi quelli imposti dall’Unione europea ai veicoli elettrici prodotti in Cina. Ma la speranza che Pechino possa diventare un partner commerciale stabile e affidabile è un’illusione che mette a rischio la sicurezza industriale dell’Europa.
Idee diverse nell’Unione
Dopo la visita del presidente cinese Xi Jinping a Parigi lo scorso maggio, le relazioni economiche tra l’Unione europea e la Cina sono visibilmente e rapidamente peggiorate. Ma se le preoccupazioni espresse durante l’incontro dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per il modello economico cinese sono state generiche, il 12 giugno la Commissione europea ha dato un seguito molto concreto, introducendo dazi sulle importazioni europee di veicoli elettrici prodotti in Cina. Finora la risposta di Pechino è stata più retorica che reale, fatta eccezione per l’avvio (il 17 giugno) di un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale dall’Ue.
La decisione della Commissione europea di introdurre dazi compensativi sui veicoli elettrici prodotti in Cina ha acceso un vivace dibattito nei paesi membri, all’interno dei quali posizioni allineate alla tradizionale incondizionata apertura europea alle importazioni da tutti i paesi terzi convivono, da sempre, con posizioni favorevoli invece a un atteggiamento più cauto riguardo la forte concorrenza di prezzo delle merci cinesi.
I dazi di giugno sono una delle misure temporanee previste dall’Organizzazione mondiale del commercio, presso la quale l’Ue ha chiesto l’apertura di un’indagine anti-sussidi sui veicoli elettrici di produzione cinese e seguono i dazi, molto più elevati, introdotti dagli Stati Uniti (100 per cento) prima e dalla Turchia poi (40 per cento. L’Ue li potrà imporre in misura compresa tra il 17 per cento e il 38 per cento in base all’atteggiamento più o meno cooperativo della Repubblica popolare nello svolgimento dell’indagine che dovrà accertare se la produzione cinese di veicoli elettrici benefici di sussidi alle imprese in misura troppo generosa per poter entrare liberamente sul mercato europeo.
Dopo decenni di tentativi falliti, l’Ue ha abbandonato l’illusione di garantire la tanto agognata “reciprocità” (level playing field), spostando l’attenzione dal perseguimento del libero accesso al mercato cinese per le aziende europee, alla protezione del mercato europeo dalla potente politica industriale cinese, che porta a distorsioni dei prezzi e a un eccesso di capacità produttiva.
Nel settore dei veicoli elettrici, per esempio, secondo i dati della China Automobile Association, tra gennaio e maggio del 2024 la produzione e le vendite sono aumentate rispettivamente del 30,7 per cento (per un totale di 3,926 milioni di veicoli prodotti) e 32,5 per cento (pari a 3,895 milioni di veicoli venduti), con una quota di mercato che si avvicina al 34 per cento. Ciò a fronte di generosi sussidi che l’indagine dell’Omc dovrebbe ora cercare di accertare, sebbene sia illusorio immaginare di giungere a una vera e propria valutazione di tutti gli interventi pubblici volti ad aumentare la produzione cinese e ad aiutare i produttori a offrire prezzi molto competitivi sui mercati esteri. Oggi le importazioni europee dalla Cina sono state in gran parte costituite da auto Tesla, Dacia e Bmw (secondo i dati di Transport & Environment), ma si prevede che i marchi cinesi potrebbero raggiungere l’11 per cento del mercato europeo dei veicoli elettrici già nel 2024 e il 20 per cento nel 2027.
Il settore auto, ma non solo
Quello dei veicoli elettrici è solo uno dei settori in cui l’Ue votata all’illusione del libero mercato cede alla Cina non solo quote di mercato, ma il futuro della sicurezza industriale europea. Le importazioni europee dalla Cina sono salite alle stelle sin dall’inizio della pandemia Covid-19 nel 2020 (allora soprattutto per l’aumento del fabbisogno di dispositivi di protezione individuale) e oggi interessano tutte le tecnologie verdi per la transizione ecologica del continente, compresi pannelli solari, veicoli elettrici, batterie per veicoli elettrici e turbine eoliche: sono tutti settori per lungo tempo dominati dalle aziende europee. In questi settori la produzione industriale cinese è cresciuta molto più velocemente dei consumi e le esportazioni sono aumentate molto più rapidamente rispetto al 2023, cosicché l’Ue registra oggi un grande deficit commerciale bilaterale con Pechino. Dal 2017 la Cina è cresciuta circa del 40 per cento e le importazioni dall’Europa sono diminuite del 30 per cento, dal momento che il paese si è progressivamente distaccato dalle catene del valore in cui l’Europa forniva input, per effetto della decisione politica di sostenere il lato dell’offerta (attraverso generosi sussidi alle imprese) più che il lato della domanda.
In un simile contesto, continuare a sperare che la Cina possa diventare un partner commerciale stabile e affidabile per l’Europa sembra incomprensibile. Infatti, è vero che l’Europa è un mercato molto più importante per la Cina di quanto la Cina non lo sia per l’Europa (il che fa sperare che Pechino abbia interesse a mantenere buone relazioni economiche), ma alcuni comparti dell’industria europea (soprattutto del settore automobilistico) dipendono fortemente da forniture provenienti dalla Cina (e ciò dà a Pechino una leva importante sull’Europa).
Relazioni con Pechino da ripensare
Ciò spiega perché la reazione dei paesi membri dell’Ue alla decisione della Commissione non sia stata così compatta come si sperava. La Germania e la Svezia, dove il settore auto ha un peso enorme, hanno espresso preoccupazione per la misura e la possibile futura ritorsione della Cina potrebbe influenzare la posizione di altri stati membri. L’Ue finora ha utilizzato diversi strumenti difensivi, come l’anti-sovvenzioni estere, gli appalti internazionali e altri tipi di legislazione a livello europeo su una serie di importazioni cinesi, come pannelli solari, turbine eoliche, i legacy chip e altro ancora. Il caso contro i veicoli elettrici prodotti in Cina è importante, poiché in Europa ci sono circa 15 milioni di posti di lavoro legati a questo settore, ma probabilmente ne seguiranno altri.
Tra la Cina e l’Europa è in corso una sfida economica e commerciale, lontana dalla corsa per l’egemonia tecnologica e diplomatica che caratterizza le relazioni tra Pechino e Washington. Tuttavia, se l’idea che gli aspetti politici potessero essere separati dalle questioni economiche ha prevalso in Europa sino a oggi, al contrario di quanto sempre avvenuto in Cina, ora è tempo di ripensare il futuro delle relazioni economiche e commerciali con Pechino. Innanzitutto, perseguire il principio della concorrenza e del libero mercato con un attore come la Cina è pura illusione: né l’una né l’altro sono criteri rilevanti e ragionevoli in un paese che indirizza sistematicamente e sussidia generosamente la produzione in determinati settori, e persegue sempre di più la sostituzione delle importazioni. L’Europa – a differenza degli Stati Uniti – finora ha sempre fatto ricorso a strumenti ammessi dall’Omc per perseguire relazioni commerciali con la Cina nell’ambito della non discriminazione. Anche i dazi introdotti temporaneamente sui veicoli elettrici sono misure compensative, non protezionistiche. Sarà l’Omc a decidere in merito. Quello che l’Europa deve decidere per sé è se voglia cedere la sua sicurezza industriale in nome di un principio che oggi è l’unica a far rispettare alle proprie imprese.
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