Tratto da lavoce.info
DI RONY HAMAUI, professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente di Intesa Sanpaolo ForValue
È Kant, insieme alla moderna scienza politica, a farci capire perché nel mondo ci sono tante guerre. O perché nel Medio Oriente non basta una soluzione a due stati. Tuttavia, finito il conflitto in Ucraina, la Russia potrebbe diventare meno autoritaria.
La teoria della pace democratica
Nel 1795, il filosofo tedesco Immanuel Kant, scrisse una piccola monografia dal titolo “Per la pace perpetua”. In un periodo particolarmente turbolento della storia europea, il libro, a forma di trattato di pace, conobbe subito un grande successo ed ebbe dodici ristampe.
Si tratta di un testo utopico, in cui si disegnano le condizioni per ottenere la pace perpetua. La principale è che “la civile costituzione di ogni stato debba essere repubblicana”, ovvero democratica, giacché deve garantire, il principio di libertà e di uguaglianza degli uomini, di dipendenza da un’unica legge oltre alla separazione dei poteri. Solo in questo contesto, infatti, i cittadini saranno molto riluttanti a imbattersi in una guerra di cui dovranno sopportare tutte le sventure: “combattere di persona, sborsare le spese di guerra, riparare le devastazioni (…)”. “In una costituzione, invece, in cui il suddito non è cittadino è la cosa più facile al mondo fare la guerra, giacché il capo non è parte dello stato, ma proprietario e nulla perde dei suoi banchetti, cacce villeggiatura e feste di corte ecc., ma sembra anzi una partita di piacere e può, così, dichiararla per futili motivi.”
La teoria della “pace democratica” è stata tema di infinite discussioni teoriche e verifiche empiriche. In estrema sintesi, si può dire che in generale gli stati democratici molto raramente tendono a farsi guerra fra di loro, anche se non sono meno proni a combattere con gli stati autoritari. Al contrario, molti studi hanno rilevato come il coinvolgimento nei conflitti non differisce sostanzialmente tra paesi democratici e non democratici.
Alla luce di queste considerazioni, possiamo capire perché l’arretramento del processo di democratizzazione osservato a livello mondiale negli ultimi due decenni sia stato accompagnato da un aumento delle guerre, che hanno sempre coinvolto almeno uno stato autoritario. Le speranze di avere un mondo più democratico e pacifico nate dopo la caduta del muro di Berlino si sono così via via affievolite. La ripetuta ascesa di regimi populisti nei paesi occidentali, la fine delle speranze di vedere evolvere in senso democratico paesi come la Russia e la Cina, ma anche la Turchia, l’India e il Pakistan, così come la rapida involuzione delle primavere arabe sono tutte componenti che concorrono a disegnare lo scenario geopolitico attuale, ma anche a spiegare le crescenti tensioni internazionali e le guerre in corso.
La soluzione al conflitto in Palestina (come anche in Ucraina) non può fermarsi alla dichiarazione di una tregua (seppure importante) o alla creazione di due stati, giacché questi devono essere “due stati democratici”. Altrimenti, presto o tardi, la violenza rimarrà il modo per risolvere le divergenze, come avviene nei paesi autoritari.
Cosa accadrà alla fine dei conflitti in corso
Quali sono tuttavia le possibilità che il futuro stato palestinese o quello russo evolvano in maniera democratica? Anche in questo caso la storia ci può essere di conforto. Spesso le guerre – o meglio i dopoguerra – sono accompagnate da un periodo di democratizzazione delle istituzioni, dato dalla necessità di giustificare lo sforzo bellico chiesto alla popolazione. “L’origine dei processi di democratizzazione è ovunque di carattere puramente militare”, scriveva Max Weber nella sua Storia Economica.
Ad esempio, il suffragio universale, cioè la concessione del diritto di voto senza alcuna qualifica a tutta la popolazione adulta maschile e femminile, è stata introdotta per la prima volta dopo o durante il primo conflitto mondiale in Danimarca (1915), Norvegia (1915), Svezia (1918), Austria (1918), Germania (1919) Paesi Bassi (1919) Finlandia (1919) e dopo la seconda guerra mondiale in Francia (1946), Italia (1946) e Belgio (1948). Persino nel Regno Unito, dove gran parte della popolazione maschile adulta aveva ottenuto il diritto di voto alla fine del XIX secolo, numerose restrizioni furono rimosse solo nel 1918.
Se la Russia pagherà un prezzo sufficientemente alto per la sua avventura in Ucraina, è possibile che le oligarchie del paese siano costrette a cedere una parte del potere per mantenere il consenso sociale. In quanto ai palestinesi, forse a questo punto vorranno liberarsi dal giogo di Hamas ed esigere un paese retto da istituzioni più democratiche, dove i governanti dovranno essere più responsabili delle loro azioni. Sarà tanto più vero se gli aiuti internazionali alla ricostruzione, pure indispensabili, non saranno a pioggia e per un tempo infinito.
Un ultimo aspetto dell’analisi di Kant merita di essere riconsiderato con attenzione. La sua concezione dell’uomo era simile a quella di Thomas Hobbes (homo homini lupus), e a livello nazionale lo stato aveva il compito di frenare gli istinti all’egoismo e alla sopraffazione. Lo stesso vale a livello internazionale. Per frenare le guerre fra gli stati era necessario, secondo il filosofo tedesco, creare un organismo internazionale (“una Federazione di stati”) capace di regolarne i rapporti.
Così la Società delle Nazioni prima e l’Onu poi nascevano con questo obiettivo. Oggi, tuttavia, l’Onu appare screditato, soprattutto in Medio Oriente, e incapace di svolgere un ruolo superpartes. Ecco perché la pace deve essere garantita da un nuovo organismo internazionale credibile e forte. Utopia, forse, ma in fondo “il progresso non è che la progressiva realizzazione delle utopie” (Oscar Wilde).
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