Tratto da lavoce.info
DI FAUSTO CAPELLI
Un gruppo di venti comuni italiani sperimenta da tempo un modello di gestione dei servizi sulle spiagge marittime e lacustri. Potrebbe essere generalizzato su tutto il territorio nazionale, senza la necessità di indire gare per le relative concessioni.
Una proposta che nasce da una sperimentazione
Sull’attuazione della “direttiva Bolkestein” (n. 2006/123), che regola il mercato europeo dei servizi, l’Italia è in grave ritardo. Lo è in particolare su quello delle concessioni balneari, paralizzata dal veto posto dalla categoria degli attuali titolari delle concessioni per lo sfruttamento economico dei litorali.
La proposta di soluzione del problema illustrata in questo articolo si ispira a un’esperienza che già da tempo ha successo nel nostro paese nel gestire i problemi connessi alle concessioni balneari in modo ragionevole e democratico, a vantaggio dell’ambiente e delle collettività interessate.
Da alcuni anni una ventina di comuni italiani hanno costituito, nelle aree da essi amministrate, una società consortile senza scopo di lucro che, partecipando a una procedura di evidenza pubblica, ottiene la concessione balneare per gran parte del litorale di competenza della singola amministrazione municipale. Questi comuni hanno creato tra loro un’associazione che argutamente hanno chiamato “G20 spiagge”.
Vediamo, per esempio, quel che ha fatto il comune di Caorle: con circa 11 mila abitanti, è una nota cittadina di villeggiatura bagnata dal mare Adriatico. Invece di applicare le norme attualmente vigenti in materia di concessioni balneari, l’amministrazione ha adottato la soluzione “G20 spiagge”: senza ripartire il litorale in diversi lotti, ciascuno destinato a essere dato in concessione a un’impresa interessata, il comune ha promosso la costituzione di una società consortile, senza scopo di lucro, alla quale partecipano centinaia di operatori locali che direttamente o indirettamente hanno interesse allo sviluppo dell’area dal punto di vista turistico e da quello economico. Tra i soci, pertanto, figurano i ristoratori, gli albergatori, i commercianti, i professionisti e tutti i piccoli e medi imprenditori dell’area interessata, esercenti attività artigianali o commerciali, che beneficiano dei vantaggi prodotti dallo sviluppo dell’economia alimentata dal turismo. C’è ampio spazio anche per gli attuali gestori dei servizi balneari, oggi titolari di concessioni individuali, domani fornitori degli stessi servizi nel nuovo contesto caratterizzato dalla società consortile titolare di un’unica concessione.
La differenza appare evidente. Nel caso del singolo soggetto titolare della concessione balneare individuale, che versa il canone al demanio secondo la dimensione e le caratteristiche dell’area concessa, tutto il reddito ricavato dall’attività svolta, dedotte le imposte, è interamente riservato al concessionario. Dove invece si adotta il modello “G20”, la società consortile, senza scopo di lucro, versa essa stessa il canone al demanio e paga l’imposta sul reddito prodotto con l’attività svolta.
Conciliare il pluralismo delle imprese con l’unitarietà della gestione
I soci della società, in quanto esponenti della collettività locale e soggetti attivi nel contesto economico dell’area di riferimento interessati al buon andamento della società consortile, vengono singolarmente assoggettati alle imposte per l’attività svolta come fornitori di servizi o noleggiatori di attrezzature per la balneazione, ristoratori, albergatori, esercenti dei negozi, artigiani, o altro, verso i turisti che soggiornano nell’area considerata, alimentando tutte le attività economiche.
L’intera collettività dell’area considerata è interessata a rendere conveniente e gradevole la permanenza dei turisti facendo funzionare al meglio i servizi privati, tutelando l’ambiente e i beni culturali, creando anche sinergie per migliorare le prestazioni delle amministrazioni e dei servizi pubblici, investendo nei beni comuni a vantaggio di tutti.
Inoltre, data la conformazione delle zone costiere italiane adibite a spiagge, che sono tra loro collegate quasi senza soluzione di continuità, è forse possibile immaginare anche un collegamento tra le diverse società consortili: potrebbero, cioè, stipulare accordi tra loro e con le pubbliche amministrazioni competenti per territorio, allo scopo di organizzare congiuntamente la difesa dell’ambiente e degli arenili nelle aree interessate, per esempio contro l’erosione delle spiagge e contro altre calamità (pensiamo agli interventi oggi necessari per eliminare il granchio blu).
A ben vedere, queste società consortili potrebbero costituire la realizzazione concreta delle associazioni previste dall’ultimo comma dell’art. 118 della nostra Costituzione secondo cui: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Inoltre, potrebbero essere sviluppate sinergie con le banche legate alla comunità locale, che sarebbero in grado di sostenere e di assistere i comuni nelle operazioni di utilizzo dei fondi Pnrr da destinare alla tutela dell’ambiente e alla salvaguardia delle zone costiere minacciate dal degrado.
La soluzione che prevede l’intervento delle società consortili potrebbe veramente recare significativi vantaggi alle aree costiere, alle collettività delle aree interessate e all’intero sistema economico del nostro paese.
Perché è una soluzione compatibile con il diritto europeo
La conformità della soluzione rispetto alla normativa comunitaria è confermata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di pubbliche concessioni. Poiché le spiagge, in base all’art. 822 del codice civile, appartengono allo stato e fanno parte del demanio pubblico, lo stato può decidere di darle in concessione oppure di lasciarle libere. Può anche decidere di metterle a disposizione di società consortili che operano senza scopo di lucro e intendono destinare i profitti al miglioramento dell’ambiente e delle altre attrezzature ricettive nell’interesse dell’intera collettività.
In questa ipotesi, non verrebbe in ogni caso violata la direttiva Bolkestein (ammessa e non concessa la sua applicabilità), che presuppone l’organizzazione di una gara per consentire al vincitore di realizzare profitti: con la soluzione descritta, i profitti sono invece esclusi dalla forma stessa della società consortile senza scopo di lucro, che li destina a favore della collettività. È una conseguenza giustificata anche dal fatto che le spiagge, il sole, il mare e l’intero contesto ambientale appartengono alla collettività.
Ovviamente, qualora le proposte descritte dovessero essere inquadrate in una legge che riconosca una preferenza a questa soluzione, si potranno pur sempre prevedere specifiche eccezioni a favore di scelte alternative per una parte delle aree di competenza di ogni singolo comune nonché per i motivi che il legislatore riterrà necessario od opportuno stabilire nel rispetto di un adeguato regime di concorrenza.
Certo, la soluzione implica che lo stato non si lasci espropriare della propria potestà regolatoria sull’uso dei beni demaniali da parte di chi finora ha beneficiato della sua inerzia nella gestione di questi beni.
Ma questo è tutto un altro discorso.
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