Giù le mani dalle tartarughe marine! Centri di Recupero e GREENWASHING: una brutta faccenda.
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Apprendiamo dai giornali che una tartaruga marina è stata attualmente trasferita nella struttura dell’Acquario di Cattolica per un progetto di “riabilitazione in un ambiente che le ricordi completamente quello naturale”(cit.). Questa tartaruga, ricoverata da oltre 4 anni in un Centro di Recupero Tartarughe Marine (CRTM) a causa di una ferita da elica al carapace e sottoposta a detta del personale del medesimo a 11 interventi chirurgici, sembrerebbe presentare una paralisi alle pinne posteriori probabilmente causata dalla frattura della colonna vertebrale: l’idea del progetto è che la sua permanenza in una vasca dell’acquario potrebbe darle un qualche giovamento e facilitare un suo rinserimento in natura. Il progetto, che come già viene annunciato durerà un anno, prevede che (ovviamente) la tartaruga sia visibile ai visitatori del parco “sensibilizzandoli sulla conservazione delle specie in pericolo” e al contempo “avvicinerà la tartaruga al suo ambiente naturale”: viene presentato quindi come un progetto win-win, in cui vincono tutti, tartaruga, pubblico, Centro di Recupero, struttura commerciale.
Ma siamo proprio sicuri?
Le tartarughe marine hanno esigenze biologiche molto particolari che non possono essere soddisfatte in un ambiente artificiale. Hanno bisogno di vasti spazi per nuotare, di una dieta specifica e di particolari condizioni di temperatura e salinità dell’acqua: per questo in casi analoghi a questo, dove non si è rivelata sufficiente la fisioterapia e la riabilitazione nella vasca da 10.000 litri presente al nostro CRTM (e obbligatoria da linee guida del Ministero per i centri di terapia e riabilitazione), abbiamo predisposto delle aree recintate in mare dove effettivamente NEL LORO AMBIENTE NATURALE le tartarughe hanno ripreso molto rapidamente funzioni motorie che sembravano compromesse.
Il nostro CRTM, anche quando accoglie il pubblico per le visite guidate, non ospita mai gruppi superiori alle 20 persone, controllate dall’operatore in turno, contro le migliaia di accessi quotidiani dell’acquario. Vivere in un acquario, un ambiente ristretto e circondato da rumori e luci artificiali provoca un forte stress nelle tartarughe marine, che possono manifestare comportamenti anomali, come il nuoto circolare continuo, vanificando qualsiasi percorso riabilitativo. Inoltre ci pare un pericoloso precedente che potrebbe legittimare l’introduzione regolare di questi animali in contesti di cattività.
Tenere una tartaruga marina in cattività (animale protetto dalla convenzione di Washington) trasmette un messaggio sbagliato al pubblico, facendo credere che questi animali siano adatti a vivere in ambienti artificiali, e che anzi sia buono che ci stiano, perché la loro permanenza lì è necessaria per il suo rinserimento in natura. Invece non sono non è NECESSARIO, ma neanche UTILE: si poteva decidere di intraprendere altri percorsi più funzionali e più rapidi, ma non monetizzabili. Sono decine le tartarughe nelle stesse condizioni che sono passate al nostro Centro negli ultimi anni e che nel giro di qualche mese, a volte un paio d’anni sono tornate in mare: Ben, Alessandra, Francesco, Franklin, Matteo, Grace, Eliot, Francesca II, Becky bay, Davide, Free Cleo, Alessandra, Paolo, Furien, Laura, Faustina, Linea Blu, Babi e infine Pangea (recuperata dopo il rilascio da un altro CRTM con una ferita profonda sul carapace e l’immobilità delle pinne posteriori, curata, riabilitata e rilasciata guarita) sono le tartarughe affette da problemi neurologici e paralisi a seguito di traumi che abbiamo rimesso nelle condizioni di tornare a casa negli ultimi 10 anni. Mettiamo a completa disposizione le nostre strutture e le nostre competenze anche immediatamente per un reale percorso riabilitativo di questa tartaruga finalizzato a un suo rapido ritorno alla vita selvatica”.