di Tommaso Giagnolini
Capitolo 3
Pino dopo aver scelto di diventare sindaco deve scegliere a che partito unirsi e così per candidarsi, ma una strana figura lo convince a una scelta inevitabile.
Lunedi 6 gennaio 1919
Era passato Natale con il suo calore e i grandi regali che Pino aveva fatto ai figlioli e alla sua Micia, ovvero per i due mascalzoni, cioccolata originale del Madagascar comprata a Milano quando passava con altri soldati con il treno per tornare a casa.
Alla sua amata e calda Cosima aveva regalato degli orecchini di madreperla comprati anch’essi a Milano da una oreficeria molto famosa, e a quella vista Cosima fu molto felice e contenta e passarono il Natale in pace e in allegria.
A Capodanno tutti i cittadini di Paola furono invitati a festeggiare la fine di quel sanguinoso conflitto per l’italia, ma pieno di speranze; nel grande santuario di san Francesco da Paola dal parroco, Michele Colistro, una persona socievole e che amava tanto questo tipo di feste, e per questo prima fece l’ultima messa dell’anno cui Pino non partecipò per andare al baretto con degli amici artigiani, e intanto che la sua famiglia faceva l’omelia, Pino beveva ettolitri di vino rosso, che la tradizione diceva che rinforzava il sangue, ma non troppo per sembrare ubriaco per il cenone, e quando la messa finì andò subito dalla sua famiglia. Dopo aver mangiato e festeggiato l’inizio del 1919, tornarono tutti stanchi e felici a casa verso le 3 di notte, ma in tutto questo Pino aveva ancora l’idea di diventare sindaco, o un consigliere del comune di Paola.
Il 5 gennaio, fece uno strano sogno, ovvero che tutti i suoi amici e vicini vestiti da gentiluomini gridavano dalla gioia e applaudivano a Pino che era su un bianco destriero, bianco come i principi delle fiabe; poi Pieruccio urlò: “Viva il nuovo re di Paola!”. Tutti ripeterono, alzando il pugno e lo accompagnarono verso un trono d’oro rivestito di pietre preziose e lo fecero scendere dal cavallo e si sedette su quel trono e Pinuccio disse con un tono da suddito: “Mio re: qual è il tuo primo decreto?!”. Poi Pino si alzò, ma prima per dire la sua il sogno finì ed egli si svegliò tutto arrossato e sudato al canto del gallo. “Miciu finalmente sei sveglio!” disse Cosima. Ma guardandolo meglio disse in dialetto: “Mio Dio, micio, pari ca hai vistu u diavolu ‘n faccia!”.
Pino sia alzò e si diresse ancora in pigiama a vedere i manifesti elettorali che vi erano vicino a casa e le strappò dal muro e li portò a casa ben tre: uno del Partito popolare, il Partito socialista e il Partito repubblicano e iniziò a leggere le loro proposte.
“Papu, chi è tuttu stu baccanu?” disse grattandosi gli occhi Spartin, che in verità si chiamava Egeo, ma lo chiamavano (anche sua madre) Spartin, anche se era un ragazzo calmo e gentile e tanto intelligente che tutta la sua classe lo invidiava e gli chiedevano sempre il suo aiuto in compiti e verifiche difficili, e lui come suo padre, aiutava sempre: “Tranquillo, marmocchio mio, che ora tuo padre entra in politica!”.
Rispose felicemente Pino e iniziò a consultare il loro programma, ma alla fine gli piacevano tutti, ma non riusciva a scegliere.
“Dannazione è così difficile scegliere una causa?”. “Miciu, fermati, a pulitica distrugge puru i cristiani cchiù boni comu a tia. Poi stare zitta!”. Disse con un tono arrabbiato Pino: “Non vogghiu sti toni da barbaru ‘nda sta casa!”; poi Pino si alzò arrabbiato e usci di casa per leggere da solo nella locanda i manifesti elettorali.
“Chi cazzarola, pensava ca a guerra u cambiava”, disse Cosima e poi continuò a spazzare la casa.
Pino scendeva le scale e pensava a cosa avrebbe fatto se non avesse trovato nessuno, ma non se ne fregava cosi tanto di questo, anzi, sperava anche se non lo avesse accettato nessuno perché pensando meglio il lavoro del sindaco, era molto difficile e complicato, per un sempliciotto gentile come lui, ma quando scese le scale andando diritto una voce squillante e quasi confidente disse: “Non ti preoccupare amico mio”. Poi avendo paura che si trattasse di qualche mafioso, o di qualche bravo latifondista pronto a ricattarlo o ad ammazzarlo, Pino si girò, ma si meravigliò vedendo un uomo molto elegante.
Sembrava giovane con la faccia molto delicata e con capelli neri sciolti e lunghi, con due grandi e folti baffi e un pizzetto ben piazzato, ma la cosa che meravigliava Pino era il suo vestiario molto per bene e sembrava quasi un nobile di alto borgo. Aveva un cappello a cilindro nero ed era vestito di un frack anch’esso nero con guanti bianchi, con una cravatta rossa e con una spilla a forma di fiore rosa, aveva uno splendido bastone bianco da passeggio, come quelli dell’alta borghesia e pensando fosse un nobile lì di passaggio Pino disse con un tono gentile: “Signore nobile, cosa ti porta qui a Paola?”. Si inchinò e disse: “Non mi serve che tu mi faccia pure l’inchino signor Pino”. Disse con un tono serio: “Come conosci il mio nome?”.
“Sai questa città è piccola e tutti conoscono tutti”. Poi lo guardò dall’alto al basso e disse: “Sembri un combattente dalla tua apparenza”. Disse il nobile: “Sì! Facevo parte degli arditi durante la grande guerra”. Rispose Pino: “Pensa te… Invece io facevo il bersagliere sulle linee del Piave”.
“Anche io ho combattuto sul Piave e sul grappa”, disse orgogliosamente Pino. “Bene! Abbiamo una cosa in comune!”, disse il nobile. Poi disse: “Ah vero, mi ero dimenticato, piacere mi chiamo Lucio, ma gli altri nobili mi chiamano stella mattutina”.
“Pino, Pino Perri!”, disse dandoli la mano e lui con un modo molto sciallo gliela diede, poi Lucio disse: “Mi hanno detto degli uccellini che tu vorresti entrare nella vita comunale, è vero?”.
“Certo che è vero, ma non so che partito prendere”. Poi Lucio prese dalla sua tasca destra una banconota da 500 lire, la banconota più costosa di quell’epoca; poi dalla sinistra prese un accendino e dalla tasca prese fuori un sigaro cubano. “N,o non lo fare!” disse Pino preoccupato per la banconota. Ma prima che la prendesse accese il sigaro e bruciò la costosa banconota e iniziò a fumare il sigaro: “Non preoccuparti amico mio che io ne ho a migliaia di quelle banconote”.
Pino pensò ad una cosa e poi con un coraggio da leone disse: “Mi potresti supportare economicamente nella mia campagna elettorale?”. Poi lo guardò e lì sbuffò il fumo del sigaro addosso e disse: “Per me va benissimo”.
A quella frase, a Pino tornarono le speranze. “Ma a un patto” disse Lucio. “E quale?” domandò Pino. “Io vi aiuterò, ma tu devi dare una cosa molto importante”. “Va bene”, disse Pino, dandoli la mano, non pensando neanche a che cosa si trattasse. “Il patto è stipulato, ora siamo soci”. Ma da dietro un muro arrivò un senzatetto con una lunga barba bianca che guardando male Lucio, disse: “Pino non lo dovevi fare, adesso sarai maledetto!”. “Vattene via, sporco figlio di puttana!”, disse Lucio dandogli con il bastone, poi. “Mio Dio, poverino come puoi fare una cosa…”, disse girato Pino, ma quando si voltò di Lucio non vi era traccia, come fosse scomparso nel nulla.
All’inizio fu stranito, ma poi capii che gli aristocratici erano molto allenati e forse poteva essere andato via e cosi Pino, andò alla locanda a leggere i manifesti dimenticandosi di Lucio, ma non del loro strano patto e che lo avesse mantenuto.











