di Tommaso Giagnolini
Capitolo 2
Nella notte della vigilia di Natale dopo un bel mese di pausa, dopo aver saputo della chiusura da parte del proprietario della sua bottega, Pino decide di candidarsi come nuovo sindaco di Paola.
Martedì 24 dicembre 1918
Durante tutto questo tempo, Pino si era riposato sulla sua vecchia, ma ancora comoda poltrona, che apparteneva all’amato bisnonno; come raccontava la bisnonna l’aveva comprata con i soldi ricavati dalla vendita di una vecchia giacca rossa, che leggenda vuole appartenesse a Garibaldi in persona. Utilizzata durante la spedizione dei Mille, che aveva perso durante la battaglia di Calatafimi e l’aveva trovata un ricco usuraio ebreo, che stanziandosi a Paola per commercio, fu comprata dal suo sconosciuto trisnonno, che come lui veniva chiamato Volpi.
Passò un mese intero tra divertimento e riposo e arrivò la notte della vigilia di Natale, che ogni anno come tradizione, le vie principali tra cui quella di Pino, c’era la cena dove tutti i cittadini portavano cibi e pietanze che a causa della posizione della citta erano pesce e qualche ortaggio venuti dagli orti privati dei cittadini. Le luci elettriche dal 1800, come le stelle della notte, illuminavano il banchetto che era una lunga tavolata con una grande tovaglia biancolatte con decorazioni, ma non era lunga abbastanza per coprire tutti i tavoli di legno, così i cittadini dovettero portare dalle loro case delle tovaglie rustiche. Sopra la tavola vi erano piatti di tutti i colori, per la maggior parte erano di colore bianco con decorazioni floreali, o scene di vita quotidiana; e per abbellire la tavola vi erano ghirlande verdi fatte di ramoscelli di Olivo, Mirto e altri fiori invernali che davano quel tocco in più alla tavola.
Quella sera, erano tutti felici e allegri; i forni di tutte le casette erano accesi per preparare la cena. Quando furono le 9 e mezza erano già tutti arrivati alla tavola con i loro piatti fra le mani, come triglie arrosto, baccalà fritto in olio, frittelle di cavolfiore, spaghetti con ragù di anatra e come portata principale: un grosso pollo arrosto portato dall’allevatore de Piero, che lo aveva fatto ingrassare per l’occasione e lo aveva riempito di verdure tritate. Era orami tutto pronto, quando arrivò Pino e la sua famiglia tutti vestiti alla moda; il vecchio artigiano e l’occhialuto Teseo si alzarono e urlarono
“Date il benvenuto al nostro veterano Pino!”.
Tutti i presenti applaudirono.
“Invece, come va la mia carissima prudenzii?” che in calabrese vuol dire prudenza; ed era il suo soprannome come Volpi per suo marito. Poi vedendo che i posti mancavano, si sedettero verso la parte sinistra della tavolata di fianco a un persona un po’ strana, il vecchio pazzo della cittadina, ovvero Taddeo, detto “Sano”. Anche se era il pazzo per tutti, “Sano” era sempre nella vecchia taverna a bere e se gli rispondevi in modo strano, lui andava subito a segnalarti dai carabinieri, creando anche falsità, come minacce e risse che esistevano solo nella sua fantasia, ma la cosa che si odiava più di lui, erano i discorsi inutili e senza senso. “Pino da quanto tempo che non ci vediamo!”, disse Sano e lui per rispondergli disse un leggero: “Va tutto bene amico”, sapendo che se non gli avesse risposto, si sarebbe infuriato e lo avrebbe denunciato per qualche sua scemenza, ma anche i carabinieri lo avevano capito e quando lo vedevano, gli ridevano, sapendo che non dovevano prenderlo sul serio. Ma di fianco a loro c’era anche il saggio e anziano Pinuccio, detto “l’imperaturi”. Quando vide Pino e la sua famiglia gli diede la mano e disse: “Buon Natale, carissimo fratello Pino. Sono felice che il nostro re Gesù Cristo ti abbia salvato dai crimini dei Savoia”. “Grazie, mio caro fratello”, disse per non offenderlo, perché lui divenne ateo nel periodo della guerra.
Il vecchio “Imperaturi” era molto saggio, se avevi una domanda in testa dovevi andare da lui per la giusta risposta, questa sua saggezza era nata grazie alla sua famiglia che proveniva da un ceppo della nobiltà Borbonica e per questo era uno dei cittadini più ricchi di Paola, se non si considerava il proprietario terriero Gallucci, considerato come un “Mazzarò di Verga”.
Prima che iniziassero a mangiare quelle buonissime pietanze, il primo cittadino e capo del quartiere Teseo, si alzò con il bicchiere e disse con un tono felice e leggero: “Vicini e amici miei, sono contento che siate venuti tutti e trentaquattro e mi congratulo di più con il signor Francesco, che ci ha portato un nuovo cittadino”. Infatti, sua moglie aveva partorito una piccola femminuccia, chiamandola Battistina, come una città della regione e per questo tutti applaudirono per la felicità. “Ma prima di cenare per nostro signore San Francesco da Paola, preghiamo”, iniziarono a pregare in latino. Anche Pino si alzò e quando tutti finirono, Teseo urlò: “Buona cena e buon Natale a tutti”. Con calma iniziarono a prendere il cibo con forchette e cucchiai e iniziarono a mangiare. Pino prese un po’ di buonissimo polpettone portato da Pinuccio se lo divorò in un secondo.
“Va chiù lentu, sacciuca a vita è corta, ma si mangi accussì veloci ti strozzari!”, disse adagio Pinuccio, che stava mangiando come un vero nobile un filetto di manzo, poi il pazzo Taddeo gli chiese urlando: “Hai pensato al tuo lavoro durante la guerra?”.
“Durante la guerra ho avuto altro da pensare”, gli venne in mente. “Che fine ha fatto il mio posto di lavoro?”, domandò.
“Lo sai che il vecchio Errigo durante la guerra, a causa delle sanzioni, ha perso così tanto che si è suicidato?”, rispose Pinuccio.
Si fece il segno della croce per lo sfortunato. “E l’officina?”, chiese Pino.
“L’hanno ereditata i suoi figli, ma subito dopo venduta e con i soldi ricavati sono andati a vivere a Milano e ora l’officina è chiusa”.
A quella risposta Pino rimase immobile come una statua e fece cadere anche la forchetta sul piatto, facendo saltare un po’ di sugo sulla giacca elegante un po’ stretta comprata prima della guerra.
“Allora sono disoccupato?”, disse sconcertato Pino.
Perché quel lavoro gli piaceva tanto ed era anche felice di svegliarsi alla mattina.
“Credo di sì amico mio”, disse Pinuccio.
Guardandosi alle spalle vide arrivare un tipo alto e biondo con occhi azzurri stranamente calmo in mezze maniche. Si mise a sedere di fronte a Pinuccio e disse con tono maleducato: “Maledetto sindaco socialista! Pensa solo ai lavoratori e al suo tornaconto”.
“Non essere cosi arrabbiato mio caro Pierluigi”, disse Pinuccio.
Pierluigi Saba era un giovane di 24 anni figlio del vecchio Balogi Saba, dottore di Paola. Una volta operò Pino a un braccio dopo essere caduto con la bici; il suo carattere era ribelle e forte. Lui portava odio verso i socialisti chiamandoli “anti patrioti”. Infatti era un fervente patriota , voleva fondare una sezione dell Ani ( Associazione nazionalista italiana) con l’approvazione dello stesso Enrico Corradini, capo del partito interventista a favore della annessione dell’Istria e Trieste al regno di Italia.
“Ma state tranquilli che un giorno ci sarà un uomo che avrà le palle quadrate per fare diventare ‘sta città una vera e propria super potenza regionale”, disse sputando per terra, dandogli il soprannome “spitacchiu”.
“Quando ci saranno le elezioni?”, domandò Pinuccio.
“Credo il prossimo anno, se tutto andrà bene”, rispose Pierluigi.
Poi guardandolo meglio gli domando: “Potresti fare il sindaco! Pensa sei un veterano ed ardito. Ottimo come sindaco della nostra città!”, disse ancora sputando per terra.
“Vero tu sei una persona d’onore”, disse anche Pinuccio, guardandolo meglio.
“Ci pensero”, disse schietto Pino.
Così continuarono a mangiare e alla fine quando finirono, tornarono al caldo delle loro case, aspettando Gesù bambino. Pino pensò ancora alla proposta prima di andare a dormire.
(continua)














