di Gianfranco Vanzini
“Non rubare”. È una frase molto in uso. Ma qualcuno, probabilmente fra i più giovani, neppure sa che corrisponde al settimo Comandamento del Decalogo. Non rubare vuole dire essenzialmente due cose.
In primo luogo, proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni degli altri.
In secondo luogo, definisce la legittimità della proprietà privata dei beni materiali.
Se io non devo e non posso appropriarmi dei beni del mio prossimo, significa che lui ha il diritto di tenerli e di conservarli e io devo rispettare questo suo diritto. Allo stesso modo, se il bene è mio, gli altri devono rispettare questo mio diritto.
Il problema si pone, quando andiamo a vedere a che titolo io possiedo il bene. Se me lo sono guadagnato con il mio lavoro o se mi è stato legittimamente donato, non ci sono problemi; se invece ho fatto violenza a qualcuno oppure ho leso i diritti del mio prossimo, allora la cosa cambia radicalmente. La proprietà diventa illegittima e siamo davanti ad un furto.
Il concetto di proprietà privata, pur sacrosanto, va tuttavia completato con qualche altra argomentazione. Ecco allora alcuni suggerimenti per usare nel modo giusto i beni terreni.
San Giovanni Paolo II ricorda che: “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra” (Centesimus annus. n.31).
E il Catechismo della Chiesa Cattolica ai punti 2402 e segg. recita: “Dall’inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell’umanità. Affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini perché sia garantita la sicurezza della loro vita (…) la sicurezza delle persone (…) il soddisfacimento dei bisogni fondamentali propri e delle persone di cui si ha responsabilità”.
La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza che glielo ha affidato per farlo fruttare e spartire i frutti anche con gli altri. Da qui derivano i doveri della onestà e della solidarietà.
Il bravo imprenditore non è quello che pensa solo a massimizzare il suo profitto, ma quello che si cura e si preoccupa delle persone che lavorano per lui e con lui, della società civile in cui vive e dell’ambiente che lo circonda.
In ossequio al settimo Comandamento, avrà cura di dare la giusta mercede agli operai, nei modi e nei tempi previsti dalle leggi, di pagare puntualmente i propri fornitori, di onorare i propri debiti e di non frodare alcuno nella sua attività imprenditoriale. Parallelamente, il bravo dipendente è quello che svolge bene il proprio lavoro e tratta i beni che gli sono affidati con onestà e correttezza, una volta si diceva: con la diligenza del buon padre di famiglia, regola che andrebbe rispolverata e usata anche oggi.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al punto 2406 dice: “L’autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune”.
Questo riferimento all’autorità politica mi dà lo spunto per due considerazioni.
La prima riguarda uno slogan abbastanza diffuso in un recente passato da una certa parte politica: “La proprietà privata è un furto”. Abbiamo appena visto che non è assolutamente vero. La proprietà privata, se legittimamente procurata e detenuta, è un diritto sacrosanto e come tale va tutelato e regolamentato.
La seconda considerazione riguarda il dovere per i cittadini di obbedire alle giuste leggi che l’autorità civile emana per soddisfare e organizzare i diritti e i bisogni collettivi.
Lo Stato ha il diritto di imporre le tasse, per procurarsi le risorse necessarie per assolvere i suoi compiti, ma ha poi il dovere di spendere bene le somme ricevute.
Il cittadino ha il dovere di pagare le imposte, ma ha anche il diritto di ricevere servizi adeguati.
Entrambi: Stato e cittadini devono rispettare le leggi e comportarsi in modo onesto e corretto. Per esempio, non è corretto evadere le tasse, ma non è corretto né morale che uno Stato imponga ai suoi cittadini di pagare puntualmente quanto dovuto e poi, lo stesso, non faccia altrettanto quando è debitore verso alcuni suoi cittadini non pagandoli con la stessa puntualità che pretende da loro.
Oggi si parla spesso di anticorruzione, ma non illudiamoci di fare diventare oneste le persone disoneste solo attraverso controlli e leggi punitive.
Occorre ricominciare ad educare le coscienze a scoprire il valore essenziale e primario della giustizia, dell’onestà e della solidarietà e occorrono testimoni che dimostrino ai giovani che vivere correttamente si può e fa stare bene.
Come potremmo vivere meglio e con maggiore serenità se ognuno rispettasse i diritti e le cose degli altri, se le autorità, private e pubbliche, fossero oneste e corrette, se stato e cittadini osservassero le leggi. Sembra il finale di una favola, invece non è altro che il risultato dell’applicazione delle istruzioni che Dio ci ha dato per rendere la vita piena e affascinante qui, oggi.
(Continua)
P.S. Sintesi tratta dal libro: Un Padre buono e premuroso, un Giudice misericordioso (pag. 77) La Piazza Editore – di Gianfranco Vanzini e Simone Lombardi – Cell. 339.3034.210
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