di Nicola Battistoni
– Caro Direttore,
questa volta mi son fregato da solo. Devo ammetterlo. Ci eravamo lasciati, un paio di mesi fa, dissertando di musica, Maestri, giovani talenti, ma soprattutto di luoghi in cui tornare a vivere, e non a morire. E l’ho chiusa con del sentimento e, per qualcuno, pure un po’ di poesia.
Ma restano due domande in sospeso e di queste ne ho fatto il titolo del pezzo, che pretende di essere serio e quindi serio sarà. Talmente serio che per dire ciò che sto per dire non ho trovato di meglio che mettere Guccini in sottofondo per trarre ispirazione.
Primo pezzo in scaletta “L’Avvelenata” e tra un po’ “Piccola Città”. I Gucciniani avranno già compreso, per gli altri serve un minimo di pazienza, giusto il tempo di leggere questa mia, personalissima e opinabilissima serie di riflessioni.
Riflessione che arriva, guarda un po’, dopo l’analisi, rigorosa e lucida, di Alessandro Sistri sulla “Geografia dell’Assenza dell’Entroterra”.
Io pensavo di essermela cavata con un “Mondaino non è solo un luogo, è un’idea, una fiamma che continua a bruciare grazie a chi ha deciso di restare e trasformare il proprio talento in una risorsa per la comunità” ma le belle frasi, così come i paradossi, scavano sotto e dopo un po’ ti costringono a tirar fuori tutto. Con la speranza che sia la verità.
Restare o Andare? Due domande, che mi son certamente posto una ventina di anni fa quando, da esuli sfrattati in terra straniera, per quanto sammarinese, ci siamo posti con mia moglie.
Decidemmo, alla fine e come sai, di tornare a Mondaino, a casa nostra, dove eravamo cresciuti c’erano i nostri affetti, i nostri amici e tante cose da fare. E poco importava dover fare chi ottanta (lei) e chi sessanta (io) Km al giorno, con due auto diverse, per andare al lavoro. Della lontananza e della scomodanza, citando l’amico Alessandro, non ce ne siam curati, ma neanche un po’.
E, non dico tutti i giorni, ma una volta ogni tanto, faccio il gioco “datti un motivo per scendere a valle e uno per restare a Mondaino” e vince sempre il motivo per restare dove sono.
Certo, la questione affettiva è indubbia ma lo è certamente anche e soprattutto la qualità di vita che un posto di collina – a venticinque minuti, di auto, dai servizi della vallata e della riviera – è in grado di offrirti a patto che tu abbia una certa autonomia di movimento, economica e la necessaria lucidità mentale. Questo va ammesso, onestamente.
Qualcuno potrebbe dire, provocatoriamente, che l’entroterra sta diventando terra di vecchi, ma non è certamente un territorio PER vecchi. Ma non vorrei divagare troppo.
Ma cosa determina, almeno per me, la qualità della vita?
Il primo di questi elementi lo abbiamo vissuto, tutti, durante il periodo di isolamento legato al COVID -19 quando restare soli in mezzo alla campagna è diventato un lusso e, volendo, pure un privilegio.
E infatti, noi, i privilegiati, in barba a qualsiasi divieto ce ne siamo andati allegramente ad asparagi e a erbe di campagna, perché da noi – se vuoi – il distanziamento sociale lo misuri a ettometri e non in centimetri. E tutti i giorni, non durante le pandemie.
È il valore dell’andar lento (e in questo momento suonano le ultime note de “La Locomotiva”…manco a farlo apposta…) che solo chi nasce in luoghi come Mondaino conosce.
È la bellezza di vivere in dei luoghi veri, contrapposti ai non-luoghi urbani del consumo sfrenato, della concentrazione di persone e negozi dei grandi centri commerciali – ogni riferimento a “Le Befane” non è casuale – e ai ritmi accelerati della città, che poi ti accelerati non sono, se ti sposti in auto e ti ritrovi in coda sulla nazionale…
È il bello di salutare, la mattina quando esci di casa e fai i venticinque metri tra il portone di casa tua e l’auto parcheggiata fuori dalle mura, più persone in un minuto che in un anno a Bologna. Perché è pur vero che in un paesino ci si conosce tutti e può essere fastidioso immaginare il vocìo alle tue spalle, ma meglio così che salutare per sette (diconsi sette) il tuo vicino di casa a Bologna tutte le mattine per le scale e ottenere in risposta, quando andava bene, un mezzo grugnito. Ho vissuto anche questo.
È la soddisfazione, da Mondainese (ma vale anche per altri tanti luoghi e comuni interni), girare l’Italia e il mondo ed essere riconosciuti per il Palio del Daino, il Latinus Ludus, le Fisarmoniche, per le belle e buone cose che riusciamo – chissà per quanto ancora – a fare in troppo pochi, stanchi, ma ancora entusiasti.
È, se vuoi, anche la preoccupazione di scendere a valle con il cielo limpido sopra la testa e, quando lo sguardo si apre verso la Riviera vederla ricoperta di una cappa nera, nelle giornate di alta pressione… “ma tra venti minuti devo respirare quella roba lì?”. Sapendo che la sera tornerai a respirare la tua adorata aria fina.
E quando tuo figlio, quasi maggiorenne, ti dice che vorrebbe restare qui, da un lato ti preoccupi pensando alle poche possibilità di carriera, ma dall’altro sei consapevole che qui – probabilmente – potrebbe, molto semplicemente, vivere e, tornando all’Avvelenata del sopracitato Guccini… “a culo tutto il resto”.
Piccola città, bastardo posto
Appena nato ti compresi o fu il fato che in tre mesi mi spinse via
Piccola città io ti conosco
Nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo che cambia in meglio
Ma sono qui nei pensieri le strade di ieri, e tornano
Visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano
Eccola! Mi appresto alle conclusioni e Guccini infierisce con i primi versi di Piccola Città. Mi tocca concludere, inevitabilmente (?) le mie riflessioni con una puntina di amarezza e sentor di pessimismo. Ma tranquillo Giovanni. Poi mi passa.
Quel che non mi passa e non riesco a ignorare, però è la sensazione, statisticamente supportata, di essere il rappresentante di una specie in via di estinzione.
Perché oramai di Battistoni, Arcangeli, Romani, Serafini, Bertuccioli e via cognomando (e certamente ho fatto torto a qualche famiglia storica e radicatissima sul Colle Natìo) ce ne sono sempre meno.
E sempre meno ce ne saranno perché oramai il mondainese si riproduce raramente, ancora non in cattività come il Panda fortunatamente, e a vedere le elementari in pluriclasse e l’asilo spopolato – noi, che nel 1971 eravamo in 24 e oltre all’asilo comunale avevamo anche le Clarisse che ci badavano… anche prima dei tre anni canonici – ti vien male al cuore.
Il Comune cala nella popolazione, ma non così drammaticamente, ma chi rimpiazza vien da fuori e a volte si integra, ma più spesso no. E quindi è la comunità che si assottiglia, purtroppo.
E non è colpa di nessuno, e se lo è, è colpa di un mercato immobiliare inaccessibile a valle, ma tutto sommato accessibile, nell’interno, per chi può meno e queste sono – prevalentemente – le persone che stanno ripopolando i borghi. Quelli che fanno sparire i cartelli “vendesi” dalle case dei centri storici che riescono a comprarsi con due spicci e a ristrutturare con altri due.
Questa dinamica pone un problema: quello del costo sociale e dei servizi da garantire a tutti e a chi non può. Perché se è vero che i suddetti servizi continuano a mancare a queste latitudini e altitudini, è altrettanto vero e che costano. E incidono in maniera significativa sui bilanci dei Comuni più piccoli.
Perché, vedi, una vita fa, quando da Amministratore, assieme ad altri colleghi ci lamentavamo che ci avrebbero fatto morire di bellezza con gli strumenti di programmazione urbanistica che consentivano di costruire ovunque a valle e da nessuna parte a monte, senza nessun meccanismo perequativo,non ci ha considerato nessuno.
E ancora, quando una quindicina di anni fa, con la speculazione edilizia a valle e il conseguente trasferimento a monte del carico sociale ed assistenziale provammo a segnalare il problema ci diedero, neanche tanto velatamente, dei razzisti.
Ma tant’è. Il discorso inizia a farsi serio e, come sai, a me piace sdrammatizzare sempre e comunque.
E quindi, lo sai cosa ti dico? Chi se ne frega della lontananza, della ritornanza e della resilienza!
Vivo nel posto in cui son nato e cresciuto, son circondato da amici e persone simpatiche, un sabato sì e un sabato no me ne vado dalla coppia di barbieri migliore dell’universo – e son di Saludecio, pensa te… – a fare due chiacchiere come si deve, tra poco più di cinque mesi c’è un altro Palio del Daino da vivere, in campagna è pieno di erbe spontanee e – se continua così – tra un paio di settimane ci sarà il bosco pieno di asparagi.
A te che vivi a valle, per quanto quasi in campagna, sembrerà poco. Beh, non lo è. Ma soprattutto, non ti pare un buon motivo per restare?










