di Paolo (Palmiro) Giannini
La prima fatica? PARGHER. L’ZARLADOR, guidava i buoi, nel solco, era ancora buio. Gli animali notturni in cerca di prede iniziavano ritirarsi nei loro rifugi, la rugiada scompariva con il sorgere del sole. Si attendeva il suo calar nelle orizzonti da poter scogliere i finimenti dei buoi, per ricondurli nelle stalle e sedersi avanti al focolaio per la modesta cena. La semina si doveva iniziare, San Domino e San Gallo (PAR SAN GALL U S’S U S NE UN STERU S’INCOI UN CAR) dicevano. Una piccola parte si seminava la vigilia di Natale, giorno ritenuto portatore di magia e benessere.
La mietitura si iniziava la notte di SAN GIOVANNI BATTISTA, era un rito contro il demonio, si legava al polso un gambo e una spiga, falciata con la ZERCIA. Acuti urli dell’ALSEDOR avvisavano il mezzogiorno per il pranzo e scacciare gli spiriti. Portavano i covoni nel aia, in attesa del sole per asciugarsi, batterli per scacciare le bisce e gli spiriti. Alcuni giorni e iniziava alla sgranatura partecipante tutto il villaggio. Proprio tutti. Agorà a cielo aperto, si eseguono autentici seminari empirici della vita: disgrazie, loro momenti di felicità, le nuove nascite e mancati, la prepotenza dei loro padroni. Il grano lo si doveva dividere con frustrazioni con loro. Le loro dure fatiche, non venivano onorate neanche con un sorriso. Bambini, anziani, donne; in alcuni casi presente anche il prete per trasmettergli spiritualità e avvicinamento alla fede. Attendevano il sole da poter iniziare il RITO. Covoni asciugati dal vento e sole, si battevano per far uscire le bisce, poi stendevano con cura e metodo, per essere nuovamente battuti e sgranati con uno speciale bastone o con asini o buoi giovani. Poi separavano i chicchi, paglia, crusca. Terminata la trebbiatura; festa, ma vera festa. RITO più bello e importante dell’anno, con i loro animali all’ombra degli alberi adiacenti venivano foraggiati con la paglia e la spiga danneggiata, festa anche per essi. Tutto il paese partecipante; contadini, donne con ricoperti i capelli da colorati fazzolettoni; da loro stesse ricamati, usati anche per partecipare la domenica alla messa.
Giovani, BURDEL, in cerca di amori; una grande tavola ben imbottita con carta straccia per tovaglia, vino, acqua fresca della fontanella da loro scelta, per la freschezza e sali minerali. Le donne preparavano pranzi con ogni ben di Dio, pasta stirata con E SCIADOR, tagliatelle, cappelletti, lasagne… condite con la carne dei loro animali ruspanti, agnelli, rigagli; il tutto allevato nei minuscoli spazi retro casale. Le verdure crescevano in un angolo vicino al pozzo: cicoria, peperoni, ortica selvatica, solo per citarne alcune delle tante. Poi la consacrazione del rito, vera festa; balli popolari Mazurca, Saltarelli, Tango, Valzer e altri balli popolar, ormai scomparsi. FISARMONICA, ORGANETTO, FISCHIETTO, l’OCARINA OVOIDALE, espandevano la gioia. Questo ultimo millenario citato strumento era adorato. Lo suonavano i BURDEL. Una mia ricerca, mi ha stupito!! Ritrovato originale da un archeologo romano, professor Giovanni Carboni dell’università la SAPIENZA. Strumento, proveniente dalla mitologia greca, associata a Dio Hermes, uno strumento che mobilita sentimenti spirituali e unione tra cielo e terra.
Il professore afferma di essere poi stato nel tempo trasformato, assumendo un nuovo tono popolare, assomigliante al venticello e piacevole fruscio di rivolo, mormorio animale e suoni nostalgici del passato. Il grano e la TRBBIATURA in Romagna un vero RITO popolare, con il pane, tagliatelle, ciambella, pancotto e gli strumenti citati erano veri compagni al RITO della trebbiatura. Inizia il mondo industriale, pur se in fase terminale, la TREBBIATURA ha ancora una importante funzione sociale umanitaria, ma solo per limitato tempo, l’agonia era dietro all’angolo: il RITO continua per alcuni decenni. Semina, mietitura, trebbiatura, AIA, AGORA’ EMPIRICI, PANCOTTO non ci saranno più. Sono giunti a noi mostruosi macchinari, nascondendo la nostra TREBBIA e TREBBIATURA. Immortali scrittori, ne cito alcuni: LA NOBEL GRAZIA DELLEDDA, GIOVANNI VERGA, raccontano in particolare negli scritti CANNE al VENTO, VINTI e VITA DEI CAMPI la bellezza e la durezza del passato. NICOLO’ il GRANDE, in un saggio cita i MALATESTA, mecenati e spietati signori feudali di Rimini, conosciuti nel mondo per la storica vicenda trattati anche da Dante. Paolo e Francesca, giustiziati nel castello di Gradara; signori con castelli e fortezze, padroni nella storia del grano in ROMAGNA. Una piacevole memoria l’hanno lasciata al popolo ROMAGNOLO, proprio nel nostro vicino borgo SAN GIOVANNI in MARIGNANO, definito il GRANAIO dei Malatesta. Divenuto meta di escursionisti, storici del mondo rurale e esperti del mondo del grano. Nella pittura, BRUEGEL il VECCHIO, JEAN FRACOIS MILLET, GIUSEPPE MONTANARI, GUIDO DI CARLO sono alcuni pittori che descrivono i sacrifici, la dura vita, la bellezza del mondo rurale e la celebrazione del RITO TREBBIATURA. Bascula, pula, paglia, forca, BATIDORA, COLTRAR, L’AIA, AGORA’ EMPIRICI, BURDEL, donne con il fazzoletto, SCIADUR, TREBBIA, FISARMONICA, FOCARINO OVOIDALE, compagni sonori non siete più con noi. L’evoluzione industriale, gli abbandoni dei campi, purtroppo hanno soffocato queste bellezze, culture e bellissime storie. Avventiamoci nel conoscere queste narrate opere di scrittori, pittori, musici per far conoscere ai giovani queste meravigliose storie. Auguriamoci che alcune delle simmetriche rosse lucenti TREBBIE rimaste in ricordo, abbandonate avvolte di erbe rampicanti, magari con alcuni nidi di uccelli sulla cosiddetta bocca, dove usciva il grano con profumi di note terrose dolci o di nocciole tostate, dietro qualche casale in rovina, si prolunghi la inevitabile discarica. Concludo con un proverbio dei contadini romagnoli. LE SPIGHE DI GRANO VUOTE STANNO DRITTE, QUELLE PIENE SI PIEGANO…