di Arianna Lanci, Lipu Rimini
Rimini. Consumo di suolo in Italia, Rimini la provincia emiliano-romagnola con la percentuale più alta.
Il rapporto Ispra sul consumo di suolo in Italia ha riconosciuto in Rimini la provincia emiliano-romagnola con la percentuale più alta: un dato oggettivo che giunge a pochi giorni dai risultati dell’ultimo report di Legambiente dal titolo “Ecosistema urbano”, secondo il quale invece Rimini è tra le prime dieci città più “green” d’Italia. Alla luce di queste due notizie risulta necessaria una riflessione su quanto ambigua e pericolosa possa diventare la nostra modalità di rispondere alla crisi ecologica e al cambiamento climatico. L’ambiguità è lampante, i due risultati a tal punto discrepanti ne sono il manifesto più evidente, ma il dato su cui è bene non lasciarsi distrarre è il pericolo, un pericolo che ha a che fare con il filo sottile della nostra relazione con la natura. Un filo che rischia di farsi sempre più debole fino a ed essere tranciato, con la stessa rapidità con cui il rombo di una motosega riesce ad abbattere un grande albero che ha impiegato decenni o anche più di un secolo per farsi centro propulsore di servizi ecosistemici dal valore inestimabile.
E il riferimento agli alberi in questo contesto non è casuale, ma essenziale, perché nel consumo di suolo si rivela essenzialmente un rapporto violento e insensato con la terra, con la vita vegetale. Consumare suolo significa concretamente procedere all’abbattimento di alberi e alla cementificazione di aree verdi, significa portare il pericolo di quel filo spezzato direttamente nelle nostre vite e in quelle di coloro che verranno dopo di noi, aumentando i rischi legati al dissesto idrogeologico, al riscaldamento climatico e alla perdita di biodiversità. Il fatto che la stessa città che risulta tra le prime dieci green d’Italia possa contemporaneamente avere il triste primato per consumo di suolo dovrebbe essere un campanello d’allarme, uno stimolo a concentrarsi sulla relazione che come comunità umana siamo ancora in grado di costruire con la vita della natura. Perché ci sia ascolto, laddove subentra distruzione.
Non solo, la notizia dei risulti del report di Ispra arriva proprio negli stessi giorni in cui sono iniziate le potature: guardateli gli alberi, sembra sia in corso una vera e propria guerra contro di loro.
Capita di vedere ovunque platani capitozzati, magnolie ridotte a pali e chiome che fino al giorno prima erano folte di vita farsi gracili e inermi scheletri. Laddove c’era un habitat e un riparo per uccelli e tanti altri piccoli animali, laddove c’era il respiro, restano soltanto nude sagome, violentate a colpi di ignoranza e tracotanza tipicamente umane. È il grande tema politico dei diritti delle piante: in quanto esseri viventi non dovrebbero essere concepite come semplici oggetti di proprietà.
Ma questi sembrano ancora temi da alieni, temi da gente che vive sulle nuvole.
O forse sulle nuvole ci vive chi continua a concepire progetti edilizi laddove restano aree verdi, condomini al posto di villette immerse nella vegetazione e grandi mercati ittici nell’epoca di una crisi irreversibile della pesca e alla luce di tutti i danni che la pesca causa all’ecosistema marino? Per concludere, il risultato del Report Ispra è un dato oggettivo, un dato dal quale la politica, se è buona politica, non può e non deve prescindere. Ed è in virtù di questo dato, oltre che del Nuovo Piano del Verde e del nuovo Pug in via di definizione, che la nostra Amministrazione dovrebbe toglierci dal pericolo di una città sempre più cementificata, rimettendo in discussione i tanti progetti in cantiere che andrebbero a confermare e non a riparare i risultati del report Ispra, un triste primato che deve darci lo slancio per cambiare strada.










