SPIEGA L’ESPERTO: rubrica a cura di Daniela Sammarini
A Rimini c’è un ponte che ha sfidato il tempo, le guerre e persino il Diavolo, è il ponte di Tiberio che attraversa il fiume Marecchia e collega il centro storico con il Borgo di San Giuliano.
La sua costruzione iniziò nel 14 d.C. sotto Augusto e finì nel 21 d.C. sotto l’imperatore Tiberio. Costruito in pietra d’Istria era il punto di partenza di due vie consolari: la via Emilia che arrivava a Piacenza, la via Popilia-Annia che arrivava ad Aquileia. Oltre a migliorare le comunicazioni era una soluzione per promuovere l’economia, rafforzare il controllo imperiale e, non meno importante, simboleggiare il potere dell’imperatore.
Facendo una ricerca è emerso che la costruzione non fu una passeggiata.
Il fiume Marecchia, largo e profondo, rappresentava una barriera naturale significativa. La progettazione di un ponte che potesse resistere alle piene del fiume e alle forze di erosione era una delle sfide principali. I Romani avevano esperienza nella costruzione di ponti e viadotti, ma la difficoltà era garantire una struttura stabile, specialmente considerando che la corrente del fiume poteva essere forte durante le stagioni delle piogge.
Ma non tutti i misteri del Ponte di Tiberio si possono spiegare con l’ingegneria. Secondo la leggenda la buona riuscita della costruzione del ponte di Tiberio è frutto di un patto con il Diavolo, come si dice in dialetto romagnolo “Pont de ’e Dievul”.
Questo racconto è frutto della fantasia e come tante altre storie popolari si propone di dare una spiegazione per celebrare un’opera così grandiosa da sembrare sovrumana.
Si narra che per sette anni ingegneri e architetti portarono avanti con impegno la costruzione, ma ogni volta che ne finivano un pezzo, il giorno dopo cadeva.
L’imperatore Tiberio voleva a tutti i costi un’opera che Roma potesse ricordare, non riuscirci sarebbe stato un disonore perché visto come segno di debolezza del suo Impero.
Nonostante avesse incaricato i migliori ingegneri e invocato l’aiuto degli Dei, i risultati non arrivavano, così preso dalla follia si rivolse al Diavolo.
Il Diavolo accettò l’invito dettando una condizione.
“In una notte ti costruisco un ponte indistruttibile che nemmeno il tempo potrà scalfire, in cambio voglio l’anima della prima creatura che lo attraverserà.”
L’imperatore, preso solo dal vedere l’opera compiuta, accettò il patto.
Al mattino, il ponte era completato: cinque archi di pietra d’Istria che brillavano al sole, indistruttibili e maestosi.
Il diavolo, gonfio di orgoglio, tornò per riscuotere il suo premio.
Al momento dell’inaugurazione, quando il corteo era pronto per la parata, l’Imperatore da una parte, si sentiva fiero del risultato raggiunto e dall’altra, era invaso da un forte senso di angoscia per il peso che avrebbe lasciato alla città.
Mentre concentrato rifletteva su come rispettare il patto con il Diavolo e allo stesso tempo risparmiare l’anima di uno dei suoi uomini, venne distratto da un simpatico cane randagio che scodinzolando annusava ovunque, affamato e curioso.
Tiberio pensò tra sé “Un anima libera!“ e qui ci fu un lampo di genio.
Si alzò in piedi e ordinò alle guardie di prendere dal banchetto del cibo e di gettarlo oltre il ponte. Il cane attento alla scena non perse l’occasione di seguire quel buon ben di Dio, ignaro di tutto, fu il primo ad attraversare il ponte.
Il Diavolo, che sull’altra sponda attendeva sì un’anima, ma umana, si sentì tradito e pieno di collera decise di vendicarsi all’istante, distruggendo il Ponte di Tiberio.
Calciò più volte la pietra, ma essa non si scalfì, lui stesso l’aveva resa indistruttibile!
Il Diavolo, umiliato, sparì in un turbinio di fumo e fulmini, giurando di non fare più accordi con Rimini.
A testimonianza di questo episodio rimangono alcune impronte caprine impresse sulle grosse pietre al lato del ponte che guarda la città.
Da allora, il Ponte di Tiberio resiste a tutto: il tempo, le guerre… e i turisti che si siedono sui parapetti per una foto.
I segni sul ponte: leggenda o realtà?
Se la leggenda racconta che quei segni furono lasciati dalla furia infernale, gli studiosi ci offrono una spiegazione più razionale: si tratta dei fori usati per le carrucole e le impalcature durante la costruzione. Era una tecnica comune tra i romani, che dimostra la loro straordinaria abilità ingegneristica.
Un cane felice e un ponte eterno
Il cane a pancia piena, si vuole che continuò a scodinzolare libero e felice adottato dalla città, ignaro di aver salvato Rimini e sbeffeggiato il diavolo.
Il Ponte di Tiberio, eterno e maestoso, ci ricorda, tra mito e realtà, che con un po’ di astuzia e ingegno si possono trovare soluzioni tanto semplici quanto disarmanti.