Rimini. Renato Mancini insieme a Walter Ghelfi e Rino Molari, è uno dei tre riminesi Martiri di Fossoli.
“Il Comune di Verona, Aned e Fondazione Fossoli con la posa della pietra d’inciampo il 3 febbraio
celebrano Renato Mancini, in un momento significativo non solo per onorare la memoria ma anche
per rendere visibile un pezzetto di storia che spesso resta troppo silenzioso. Originario di
Saludecio, residente a Verona, 30 anni, coniugato con una figlia, Renato Mancini insieme a Walter
Ghelfi e Rino Molari, è uno dei tre riminesi Martiri di Fossoli, che trovarono la morte nell’orribile
massacro nazifascista di 67 vittime al Poligono di Cibeno del 7 luglio 1944.
La celebrazione ci presenta una testimonianza importante di memoria storica, legata a una figura
eroica come quella di Renato Mancini, autentico Patriota.
(…) All’alba del 12 luglio 1944 un gruppo di prigionieri politici e combattenti della Resistenza furono
prelevati dal vicino campo di Fossoli e portati al poligono di tiro di Cibeno. Dopo la lettura di una
scarna sentenza di condanna a morte, essi furono fucilati e ammucchiati in una fossa scavata
poche ore prima da ebrei detenuti anch’essi a Fossoli. Così sessantasette uomini (dovevano essere
settanta, ma tre riuscirono a sfuggire al massacro), di età compresa tra 16 e 64 anni e provenienti
da diverse regioni italiane, caddero sotto i colpi dei fucili. A nulla servì un tentativo di aiuto del
vescovo di Carpi, monsignor Vigilio Federico Dalla Zuanna, che accorse al poligono appena saputo
della condanna. I motivi della strage non sono mai stati del tutto chiariti. Alcune fonti parlano di
una rappresaglia per l’uccisione di sette militari tedeschi avvenuta a Genova il 25 giugno 1944.
Altre fonti riferiscono che i sessantasette martiri furono uccisi perché scelti dai nazifascisti tra i
migliori uomini della Resistenza del Nord Italia. Dopo la fine della guerra, il 17 e il 18 maggio 1945,
i morti di Cibeno furono esumati dalle fosse e riconosciuti con molte difficoltà. I funerali solenni
furono celebrati il 24 maggio 1945 in Duomo a Milano dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. (…)
La storia di Renato Mancini è davvero straordinaria e ci offre un esempio di grande coraggio e
determinazione, non solo durante la sua partecipazione alla campagna di Russia, ma anche nella
sua lotta per la libertà e la giustizia: volontario nell’esercito italiano in cavalleria nel terzo gruppo
carri leggeri San Giorgio quando l’Italia entra in guerra, il suo reparto appartiene della Divisione
Celere 1941, una formazione inquadrata nel corpo di spedizione italiano in Russia.
Dopo la ritirata, al rientro in Italia, prese contatto con la Resistenza tramite la Brigata “Verona”
dando vita insieme ad altri militari fra i quali il tenente bresciano Aldo Gamba ed l’amico e collega
Armando di Pietro ad un gruppo che, in collaborazione con i servizi inglesi, compiva azioni per
contrastare l’occupazione nazista. Catturato a Verona da elementi della Questura di Milano, fu
recluso a S. Vittore, poi a Fossoli.
L’ambientazione della sua esperienza, nelle condizioni estremamente dure della guerra e con il
gelo insopportabile, rende ancora più impressionante il suo impegno. La Resistenza, di cui è stato
parte, è una testimonianza del sacrificio che tantissimi uomini e donne hanno fatto per difendere i
valori di libertà e umanità, nonostante le difficoltà di un contesto bellico e la brutalità delle
situazioni.
Quella parte della sua vita, dove combatte in condizioni estreme durante la Seconda Guerra
Mondiale e condivide esperienze con i suoi compagni d’armi, ha contribuito a formare la sua
coscienza e la sua determinazione.
La sua tragica fine, insieme agli altri compagni di lotta, ci ricorda quanto sia importante non
dimenticare chi ha lottato per la nostra libertà.
Il fatto che la sua memoria venga celebrata attraverso eventi come questo, e che la comunità di
Verona gli renda omaggio con una cerimonia, mostra quanto sia fondamentale ricordare con gesti
simbolici potentissimi, i quali invitano a riflettere ogni giorno su ciò che è giusto e su cosa
dobbiamo fare per proteggere la democrazia e la dignità umana.
Renato Mancini, come molti altri partigiani, ha dato la sua vita per la libertà durante la Seconda
Guerra Mondiale, sacrificando tutto per l’ideale della giustizia. La sua storia è un monito e un
esempio per le generazioni future: un uomo che, come molti altri, è stato imprigionato per il suo
impegno e la sua lotta, e che oggi viene ricordato e reso visibile attraverso la pietra d’inciampo.
Le pietre d’inciampo non sono solo dei decori, ma un invito a fermarsi, a pensare e a ricordare”.
Il comitato ANPI provinciale Rimini