San Clemente. Tolta la cittadinanza onoraria a Mussolini e data a Matteotti, il discorso del sindaco Mirna Cecchini.
La cittadinanza onoraria in Italia, seppur non prevista come istituto giuridico ufficiale bensì quale riconoscimento onorifico e di merito, viene attribuita, da un Comune, a cittadini italiani e/o stranieri che si sono particolarmente distinti in campo culturale, sportivo, scientifico, economico, sociale ed umanitario. Pertanto non può essere concessa a chi si rende indegno, nelle idee, NELLE AZIONI E NEGLI INTENTI, di tale riconoscimento.
Queste sono le ragioni che ci portano a proporre la revoca della cittadinanza onoraria concessa a Benito Mussolini il 19 maggio 1924.
Un uomo che peraltro, in occasione del discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 3 gennaio 1925 ammise, nei fatti, la responsabilità politica, morale e storica del delitto Matteotti.
Fu sempre lui a far massacrare popoli, a far incarcerare gli avversari politici, a far uccidere chiunque considerasse un nemico. Fu lui a lasciarsi ammaliare dalle Sirene del Nazismo e a voler l’Italia alleata di Adolf Hitler, gettando il Paese nella catastrofe!
Il dramma del fascismo è riassumibile anche in un altro passaggio cruciale, quello del discorso di Mussolini del gennaio 1925, successivo quindi all’assassinio di Matteotti: “Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato”.
Dunque, la condizione politica e sociale nella quale maturò, l’anno prima, cioè il 1924, la decisione di elevare Benito Mussolini a cittadino onorario del nostro Comune si nutriva allora della propaganda, populista ma antiumanitaria, dispensata a piena mani da colui che si era autoproclamato Duce.
Cancellare questa cittadinanza onoraria è una risposta chiara ai “pochi, non pochissimi, troppi – scrive Aldo Cazzullo nel libro Mussolini, il Capobanda – ancora oggi estimatori di Mussolini” e alla “maggioranza degli italiani che crede, o a cui piace credere, a una storia immaginaria, consolatoria, autoassolutoria”.
Cancellare, non per puro spirito di revisionismo, il segno istituzionale di una figura, allora Capo del Governo, insediatasi nel Regno d’Italia facendo ricorso alla violenza, alla sopraffazione, all’eliminazione, all’annientamento, fisico e morale, delle voci avverse al regime, significa voler ridare piena dignità alle innumerevoli vittime civili e militari di quell’epoca nefasta, culminata nel baratro del Secondo Conflitto Mondiale.
“La guerra – scrive ancora Cazzullo – non fu un incidente di percorso o un errore tattico. La guerra era insista nel Fascismo e nella testa di Mussolini fin dal primo giorno. Il fascismo nasce con la guerra e muore (purtroppo non del tutto) con la guerra. L’idea della violenza come levatrice della stoia, della guerra come modo di imporre una nazione su un’altra, accompagna il Fascismo dalla sua nascita alla sua morte (apparente). Il germe del Fascismo è già negli spaventosi massacri della Grande Guerra – ‘trinceratocrazia!’ ringhia il Duce! -, e nei torbidi primi anni del dopoguerra, segnati dagli scioperi rossi e dalla durissima reazione nera. Mussolini prende il potere con la violenza, a prezzo di centinaia di vittime, e lo mantiene con la forza. Commette crimini contro altri popolo: reprime la rivolta in Libia chiudendo donne e bambini nei campi di concentramento (40mila morti); fa sterminare gli etiopi con il gas; fa bombardare paesi e città inermi in in Spagna; poi ordina le sciagurate aggressioni alla Francia, alla Grecia, alla Russia, regolarmente terminate con disastrose sconfitte; non per colpa dei nostri soldati, ma dell’impreparazione, dell’insipienza, della miseria morale del regime che a parole aveva preparato la guerra per vent’anni, e poi aveva mandato centinaia di migliaia di italiani a congelare e a morire senza indumenti adatti, armi, viveri, financo scarpe. Anche questo è STATO UN CRIMINE DEL DUCE. CONTRO IL SUO STESSO POPOLO”.
Molto, per fortuna, è cambiato.
Il pronunciamento a cui è chiamato, ora, questo Consiglio Comunale, eletto democraticamente in quanto figlio delle leggi democratiche del nostro Paese, vede come fondamento la ferma volontà di ribadire e rinnovare il senso di appartenenza, quale più alta forma di rispetto, ai valori che hanno ispirato la nascita e l’affermazione di un’Italia nuova: sana nei principi e nelle istituzioni che ci rappresentano.
Non dobbiamo, infatti, mai venire meno alla preservazione dei diritti della persona, della dignità delle genti il cui sacrificio, anche a prezzo della propria vita, ha permesso a tutti noi di assurgere a difensori e consapevoli divulgatori della nostra Carta Costituzionale, la più bella che sia mai stata scritta.
Anche a chi, pur dimostrando pieno accordo nella scelta di revocare la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, dovesse obbiettare, nel merito, che tale professione unanime fu condivisa in un’epoca non scevra da tormenti, spezzata da un conflitto mondiale appena concluso, rispondo: non basta aver consegnato al passato remoto ciò che è stato per ‘giustificare’ l’assunto di quanti si professarono favorevoli!
Piuttosto dico: San Clemente non ha mai assorbito gli ideali della politica, della violenza, dell’efferatezza e della dispersione armata di ogni e più minima libertà individuale caratterizzanti l’intero e nefasto periodo del regime fascista!
Io voglio, anzi noi vogliamo, stare dalla parte giusta della Storia: San Clemente è sempre stato ed è un Comune ANTIFASCISTA!
Scrive Walter Veltroni, giornalista e intellettuale: “Se sei italiano” e, aggiungo io, se sei italiano di quell’Italia rinata sulle macerie del secondo dopoguerra, “non puoi non essere ANTIFASCISTA!”.
Benito Mussolini non solo azzerò le libertà individuali. Non è stato solo il mandante e l’esecutore materiale di una Guerra, la Seconda Guerra Mondiale, che ha provocato devastazioni, morti, assoggettamento alla Germania nazista. Ha fatto tabula rasa di tutto ciò che noi, senza forse accorgercene a sufficienza, consideriamo espressioni e azioni normai e naturali.
Si è reso artefice di vessazioni, coercizioni, intimidazioni, soppressioni, compresa quella di poter lavorare e vivere al di fuori della sfera del controllo fascista!
Ha firmato e sostenuto leggi razziali ignobili. Ha trascinato l’Italia nella più profonda e cupa disperazione bellica e post-bellica, infliggendo sul corpo già martoriato del Paese altre profonde cicatrici. Derubando le coscienze collettive di ogni speranza e autonomia.
Quel tempo non vogliamo si affacci più!
Lo ripeto: non si tratta di riscrivere la Storia ma di prendere atto della Storia. Con responsabilità e consapevolezza. Prendo quindi altresì atto della cittadinanza onoraria conferita nel 1924 (fatto di cui siamo peraltro venuti da poco tempo a conoscenza) ma chiedo a questo Consiglio comunale di assumersi la responsabilità di revocarla in considerazione dei fatti che oggi abbiamo la fortuna di poter valutare e giudicare con lucidità e libertà. Si tratta di un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico.
Revocare la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico.
È vero: è un gesto simbolico, eppure parallelamente concreto. La nostra comunità non ha mai onorato e mai lo farà, chi ha calpestato donne e uomini togliendo a essi dignità e principi inalienabili. I paradigmi racchiusi nella nostra Carta Costituzionale – simbolo di DEMOCRAZIA, nonché l’ossatura del nostro Stato – nascono dall’ANTIFASCISMO, e questi valori NON SONO NEGOZIABILI!
Siamo a poche ore dalle celebrazioni del 25 aprile, dall’80° Anniversario della Liberazione dell’Italia dal giogo nazi-fascista. Ecco perché revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini proprio in questa giornata va inteso come una partecipazione, sentita e vissuta, da parte del nostro Comune alla ricorrenza del 25 aprile.
Conferimento della cittadinanza onoraria (post mortem) a Giacomo Matteotti
“Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora, a voi preparare il discorso funebre per me”.
È questa la frase che l’onorevole Giacomo Matteotti, deputato del Regno d’Italia per il Partito Socialista Unitario, rivolge ai propri compagni dopo l’accusa a Benito Mussolini di aver truccato le elezioni politiche dell’aprile 1924.
Matteotti denuncia pubblicamente in aula i brogli compiuti dai fascisti e dei quali è a conoscenza grazie alle testimonianze raccolte nei contatti con altri esponenti socialisti.
Il 30 maggio 1924 è per lui l’ultima apparizione ufficiale: di lì a pochi giorni, il 10 giugno, viene rapito e ucciso, come abbiamo visto su ordine di Mussolini,da una banda di criminali fascisti.
“Voi che oggi avete in mano il potere e la forza – dice Giacomo Matteotti alla Camera – voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della nazione”.
“Se la libertà è data – prosegue il deputato socialista – ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.
Con questo intervento Matteotti si espose al rischio di feroci rappresaglie, cosa che per l’appunto effettivamente avvenne.
Fu successivamente a questo suo intervento in Parlamento che Matteotti disse al collega Giovanni Cosattini, seduto accanto a lui, “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
Perché Giacomo Matteotti
Matteotti è stata una delle tante vittime, illustri, del regime: per diretta azione di Benito Mussolini che lo dichiarerà – nel 3 gennaio 1925 – dopo aver tentato, inutilmente per molti mesi, di far tacere le voci che già lo indicavano unico mandante.
Matteotti ha rappresentato per tanti, e ancora adesso il suo insegnamento è parte integrante delle coscienze di tutti noi donne e uomini liberi, una delle figure più evocative del Novecento.
Nato a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, di solida formazione giuridica, più volte deputato ed eletto segretario del PSU nel 1922 – l’anno della marcia fascista su Roma – proprio nei luoghi a lui più familiari si dedicò alla costituzione delle camere del lavoro e delle cooperative, assieme all’incremento dell’attività socialista negli enti locali. Come parlamentare sostenne altresì la riforma agraria. Giornalista di valore e autore di numerosi saggi di storia e politica, Matteotti fu un “combattente intrepido, un osservatore lucido che comprese la natura del fascismo prima e meglio di tutti, l’unico che in Parlamento non smise mai di parlare e che per questo pagò un prezzo crudele”. Un uomo che pur dimostrando un’energia e una volontà incrollabili palesava comunque debolezze e contraddizioni; senza però evitare giudizi taglienti su alcuni compagni di partito e sulla fallimentare politica dei socialisti nel primo dopoguerra.
Eroe, martire, simbolo di coraggio, integrità e fedeltà assoluta ai principi della democrazia e della giustizia: conferirgli la cittadinanza onoraria di San Clemente significa accoglierlo idealmente nella nostra comunità, al pari di ciascuno di noi. Riscoprirlo come punto di riferimento di alta statura morale, un faro accesso nella memoria collettiva.
In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta.
Anche San Clemente ha avuto il proprio, consentitemi l’accostamento, Giacomo Matteotti: si chiamava Andrea Bilancioni, sindaco socialista del nostro Comune dal 1920 al 1923.
A tal proposito, al termine del Consiglio daremo la parola al nostro collaboratore dell’Ufficio Stampa, Marco Valeriani, perché ci presenti i risultati delle ricerche d’archivio – svolte qui, poi a Roma e in altri comuni della provincia – e pubblicate nel volumetto, dello stesso Valeriani, intitolato “Spiati”. Il contenuto del volume trae spunto dalla sua passione professionale e personale nonché dai suoi valori democratici quali ispiratori del desiderio di conoscenza, giustizia e riequilibrio della storia. Il libretto traccia gli avvenimenti che portarono all’uccisione, da parte degli squadristi del regime fascista, del primo sindaco socialista del primo dopoguerra a San Clemente: Andrea Bilancioni. Il testo ripercorre i momenti più significativi della sua elezione alla guida del Comune, della sua “destituzione” quasi forzata e, infine, dell’aggressione fisica costatagli la vita. Un terribile fatto di sangue che in qualche modo ricalca, a distanza di pochi mesi (Bilancioni muore il 5 ottobre 1924) l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti compiuto, non distante dalla Capitale, pochi mesi prima, nella tarda primavera dello stesso anno.
È volontà di questa Amministrazione, nei prossimi mesi, ricordare degnamente il nostro Sindaco Bilancioni dedicandogli l’intitolazione di un’area pubblica che ricordi il suo sacrificio.
Concludo.
Stasera siamo qui ad indicare, noi tutti, rappresentanti delle istituzioni, da che parte della Storia stiamo: da quella della verità, della libertà e della legalità.
Buon 25 aprile a tutti, viva l’Italia democratica, libera e antifascista sempre.