PRENDIAMOCI CURA DELLA CULTURA…anche quella alternativa!
di Valentina Zamagna
Per quanto possa autoimpormi di mantenermi in equilibrio sui binari della così detta “normalità” ( o presunta tale ) sociale, non ci riesco. Ritengo non abbia proprio senso esprimere un’opinione autentica che non presenti un velo di spregiudicatezza sfrontata. Non nuoce alla salute di nessuno provare a farsi portavoce, a volte, di idee che corrano sul filo della provocazione. Oggi vorrei toccare una dimensione trasversale, una realtà parallela alla nostra quotidianità indaffarata, un non-luogo giocoso,non esente -ahimè- da preconcetti affrettati e da banali luoghi comuni. Mi sto riferendo all’ammaliante utopia creativa del…BURLESQUE!
Anche il Burlesque è una forma d’espressione degna di nota. E va difesa da falsi e bigotti moralismi. Nina Lux è riuscita a centrare l’obiettivo, facendo breccia nei cuori di chi, sabato 2 giugno, ha partecipato con entusiasmo al saggio-spettacolo delle allieve della sua Scuola presso la Sala Cesare dell’Hotel Palace di San Marino. Ironia, gusto del gioco, incanto, freschezza, vitalità…sono questi i veri ingredienti di un’ Arte effervescente e frizzante, che va ripulita da pregiudizi frettolosi e superficiali. Il prima possibile!
Come sottolinea Alessandra Borella, “il Burlesque ha una storia di tutto rispetto. L’origine etimologica del termine risale alla parola spagnola “burla”, che significa appunto “scherzo”, e in origine designava un componimento comico di intenti satirici (in prosa o versi) di epoca rinascimentale. A metà del 1800 il Burlesque diventò nell’Inghilterra vittoriana uno spettacolo che si prendeva gioco delle abitudini e dei vizi dell’aristocrazia. Vere e proprie parodie di opere e commedie del tempo, in una sorta di tradizione carnevalesca sui generis delle dionisiache greche e dei saturnali romani. In un’epoca in cui le donne per bene nascondevano le forme in busti, corsetti e balze, l’idea di giovani donne sul palco solo con i collant rappresentò una vera sfida e questo genere di performance fu considerato culturalmente significativo nell’attirare l’attenzione sul ruolo della donna nella società del tempo.”
Questa provocante evasione creativa non ha niente a che vedere con certi festini, di berlusconiana (e non solo) memoria. Padroneggiare il proprio corpo con allegria, eleganza, di fronte ad un pubblico curioso e vivace, non significa fare mercimonio della propria fisicità. Esibire, con sorriso luminoso, una sensualità raffinata può diventare un’ occasione preziosa per prendere consapevolezza delle proprie imperfezioni. E dei propri punti di forza. Perchè salire su un palco richiede coraggio, elasticità, energia positiva, apertura mentale, incapacità di pregiudizio…caratteristiche che, purtroppo, non tutti possiedono.
E facciamocela, una vera cultura, prima di puntare il dito contro chi ha capito che, per essere felice, è bene spartire con gli altri una ritrovata armonia psicosomatica!
Valentina Zamagna