Questa mattina il presidente della Provincia di Rimini, Stefano Vitali, (foto) è intervenuto sul tema della burocrazia definito, senza mezzi termini, “la macchina del male”. Ovvero “quel diabolico meccanismo italiano – ha precisato Vitali – in cui una molteplicità di soggetti coinvolti attorno ad una proposta di iniziativa privata o pubblica, si mette all’opera e, ognuno facendo scrupolosamente e secondo norma il proprio dovere, producono alla fine un danno per la comunità, anche e soprattutto in una prospettiva futura dove sempre di più la velocità ed efficacia dei processi di controllo e verifica saranno in grado di incidere sulla competitività dei territorie del proprio tessuto produttivo”.
Una posizione molto critica quella che assume Vitali. E che farà discutere. Proprio perchè proveniente dal vertice di un’ente pubblico che (anche) di burocrazia “vive”. Ecco i contenuti emersi nel corso dell’incontro. Esempi – secondo la Provincia – che dimostrerebbero la complessità del sistema.
Quanto è lunga una VIA ? Due esempi: la Via per la SS16 e la Via per un impianto idroelettrico. La Via per la SS16, il nuovo progetto unificato da Bellaria a Misano, viene presentato al Ministero dell’Ambiente il 25 febbraio 2010. Dopo varie sedute la Commissione nominata, chiede modifiche ai progettisti, effettuata la consegna, torna a riunirsi, ma trascorre ancora del tempo e passato un anno decade, senza fornire alcun parere. Nel 2011 viene nominata una nuova Commissione. La Commissione chiede delle integrazioni ed effettua alcuni sopralluoghi. Il 13 luglio 2012 emette parere favorevole con prescrizioni, dopo aver ricevuto la delibera della Regione Emilia Romagna. Il decreto viene controfirmato, nei mesi successivi, dal dirigente incaricato ed è ora alla firma del Ministro. Per l’A14 fu necessario un anno, solo per la firma ministeriale.
La conferenza dei servizi. Per rilasciare una concessione o un’autorizzazione, ai fini di semplificare la procedura, può essere convocata una conferenza dei servizi a cui partecipano tutti gli Enti interessati: Provincia, Comuni, Arpa, Sovraintendenza Belle Arti e Paesaggistica, UMIG, Comandi Militari, Autorità di Bacino, Servizio Tecnico di Bacino, Enel, Anas, Enac, FS, e altri. Ciascun ente si deve esprimere e si possono chiedere integrazioni ai documenti presentati dal proponente. La conferenza deve durare non più di 90 gg. L’ente capofila è tenuto a rispettare tale durata, ma alcuni enti possono non attenersi ai 30 gg. per fornire i propri pareri. Così si crea una contraddizione tra diritti del proponente e doveri dell’ente titolare. Se un parere negativo rilevante arrivasse dopo i 90 gg. si aprirebbero scenari complessi con conseguenze imprevedibili.
Semplificare. Per acquistare un servizio o prodotto standard si deve andare sul Mepa (mercato elettronico pubblica amministrazione). Per ogni acquisto occorre il CIG (codice identificativo di progetto), per pagare un’impresa occorre che ci sia il DURC (documento unico regolarità contabile), ma se si fa una gara occorre il CUP (codice unico procedura). Ciascuna di questi “numeri” ha un proprio sito, ciascuno separato dagli altri. Tutti nati per favorire trasparenza e semplificazione …
Opere urgenti e indifferibili. Due società presentano nel 2005 una domanda per una centrale idroelettrica sul Marecchia, dopo lo screening, la pratica visto che riguarda più comuni e enti che esprimono pareri diversi, passa alla Regione. La Regione attiva la Via, constata la difformità dei pareri dei Comuni e allora affida il Procedimento al Ministero, gerarchicamente superiore, che però lo rinvia alla Regione Emilia Romagna poiché lo trova privo di una valutazione prevalente, una preferenza tra i due progetti. Nel frattempo il cambiamento di alcune norme obbliga a chiedere l’integrazione della domanda, a cui occorre aggiungere anche la parte relativa al rilascio dell’autorizzazione per la parte energetica, la cui competenza è della Provincia. Ma senza la chiusura della Via la Provincia non può procedere. Insomma dopo sei anni la pratica è ancora in corso, la VIA non è conclusa. Se andasse tutto bene ci vorranno ancora uno o due anni. Sei anni per una valutazione di impatto ambientale a cui aggiungere i tempi per l’AU per opere considerate di pubblica utilità, urgenti, e indifferibili, sono forse un po’ troppi. Non in linea con la tanto invocata Europa
Un progetto di innovazione produttiva si scontra con l’Ambiente. Un Comune sul proprio territorio da anni ospita un insediamento produttivo che tratta ghiaia, per farlo si devono sostituire le macchine in uso. Il nuovo macchinario che per le norme esistenti risulta aumentare, almeno potenzialmente, il pericolo di inquinamento. Ciò accade perché nel valutare l’impatto del nuovo macchinario si usa una formula matematica in cui viene preso a riferimento anche il valore economico della nuova macchina. Il progetto di miglioramento del processo produttivo rimane al palo, quindi tutto bene a patto che non si tocchi nulla.
La VAS: come un sistema di analisi preventivo, diventa uno strumento di potere. La Valutazione Ambientale Strategica in Emilia Romagna è applicata sulla base di un legge regionale del 2008 che recepisce un decreto del Governo, in applicazione di una direttiva europea. La Provincia di Rimini, sempre nel 2008 si è attrezzata per rendere operative le norme in questione. Si tratta “di un processo volto ad individuare preventivamente gli impatti significativi ambientali che deriveranno dall’attuazione delle singole scelte di piano/programma e consente, di conseguenza, di selezionare tra le possibili soluzioni alternative, al fine di garantire la coerenza di queste con gli obiettivi di sostenibilità ambientale”.
Ma cos’è oggi la Vas? E’ ridotta alla verifica a posteriori del percorso amministrativo, tant’è che si allega alle delibere delle varianti urbanistiche, dando al massimo, di solito, prescrizioni ambientali. Insomma l’Italia rispetta la norma nella forma, ma l’Europa intendeva proporre una valutazione preventiva, fino a suggerire che a volte è meglio non fare che produrre danni ambientali. Un’indicazione strategica diviene una questione formale, un adempimento legislativo, un ulteriore fascicolo da aggiungere agli atti, con tempi che si aggiungono alle normali istruttorie, costi per la Pubblica Amministrazione, un ufficio da costituire e gestire, un funzionario che potrà esercitare, a sua discrezione, un potere di veto e di modifica degli atti. La Regione dovrebbe o imboccare la strada difficile – ma senza dubbio utile – voluta dalla UE, oppure dare per assolto l’obbligo nel corso della normale istruttoria.
Mettersi a posto con una «leggina» che però nella sostanza lascia le cose immutate, è un espediente che in tempi difficili nessuno si può più permettere.
Il gioco dell’oca della SS16. Nel ’98 l’Anas trova i soldi per appaltare il primo tratto della SS16, c’è un’impresa vincitrice, possono partire i lavori. Ma c’è un ricorso al Tar, per un difetto di procedura. L’Anas ricorre per evitare di disperdere 150 milioni vanificare un lavoro di anni. Ripete la procedura di avviso ai privati coinvolti nell’esproprio, ma sbaglia per la seconda volta. Nuovo ricorso e nuova sconfitta per Anas. E così va anche per la terza iniziativa dell’Anas. L’appalto viene annullato e fino al 2004 di nuova SS16 non si parla più. Di chi la colpa? Dell’Anas? Dei cittadini ostinati? Dei giudici? Non lo sa nessuno, né è possibile stabilirlo. Ma anche in questo caso parliamo di opere pubbliche, di interesse pubblico non realizzate e di cui nessuno, a nessun titolo, è chiamato a rispondere.