di GIOVANNI CIORIA
Quando scendeva nella provincia di Rimini per comizi, alla fine “brindava” col tè. Forse, in questa tazza sta il senso della vita di Stefano Servadei e di un sobrio modo di impegnarsi in politica: fare il bene pubblico e lottare per la giustizia sociale.
Lo scorso 21 febbraio ha compiuto 90 anni. Ha la squillante voce di un giovinastro e la lucidità dell’adulto. Servadei è stato per 20 anni parlamentare, per due volte sottosegretario (Industria e Commercio estero). Soprattutto, nel cosiddetto secolo breve (espressione dello storico anglo-tedesco Eric Hobsbawm) ha conosciuto gli uomini che hanno fatto la storia d’Italia: Luigi Einaudi (economista e presidente della Repubblica), Amintore Fanfani (economista, esponente di spicco della Dc), Pietro Nenni (carismatico capo del Psi), Sandro Pertini (socialista, presidente della Repubblica), Riccardo Lombardi (grande capo della sinistra socialista), Lelio Basso (altra testa politica raffinata, uno degli estensori dell’articolo 3 della Costituzione), Bettino Craxi (il segretario socialista che nell’83 lo sbianchettò dalle liste parlamentari per essere stato critico col suo modo di interpretare la politica). La politica e la sobrietà. Queste le stelle polari di Stefano Servadei.
Potrebbe raccontare qualcosa della sua famiglia?
“Vengo da una famiglia operaia. Mi dovevo fernare alle scuole elementari, ma il maestro convinse i miei genitori a proseguire. Partecipo alla Resistenza in Romagna e in Lombardia. Pressato da un rastrellamento, trovo rifugio in Svizzera. Vengo internato e passo in tre campi. Sono molto fortunato. Ci sono una ventina di professori universitari. Tra loro Luigi Einaudi, Amintore Fanfani, Lanzillo. Si crea un corso di laurea in Economia e commercio; preside Lanzillo. Io do anche un esame con Einaudi. A fine guerra, quando riprendo l’Università a Bologna, mi abbuonano una decina di esami”.
Com’era Einaudi?
“Era un uomo di una modestia estrema, con comportamenti di grande rispetto nei rapporti con gli altri. Ci diceva che avremmo rimpianto questo periodo di esilio; aveva ragione. Era lì con la moglie ed il figlio Giulio, il fondatore dell’omonima casa editrice. Giulio era l’esatto contrario del babbo”.
Quale ricordo di Fanfani?
“Era attivissimo. Il merito del corso di laurea era in gran parte suo”.
Come nacque il suo rapporto con la politica?
“Durante l’anno svizzero, dal luglio del ’44 al luglio del ’45, mantenni i rapporti con gli anti-fascisti forlivesi. Li ripresi nel dopoguerra col Partito socialista. Diventai subito segretario della federazione di Forlì. Nel 1952, diventai consigliere comunale (ruolo che mantenni per 30 anni). Fui anche consigliere provinciale e vice-presidente della Provincia di Forlì. Nel 1963, venni eletto deputato; scranno che conservai fino al 1983”.
Con chi stava all’interno delle varia anime socialiste?
“Ero un autonomista con Pietro Nenni, il patriarca del partito. Aveva idee social-democratiche simili ai laburisti inglesi o ai socialisti tedeschi. Poi divenni amico di Nenni e della sua famiglia”.
Quale giudizio su Riccardo Lombardi, il capo della sinistra socialista?
“Un intellettuale di valore, con idee valide. Ma in certe cose era fuori dalla realtà. Un uomo astratto che aveva intorno a sé un bel gruppo di giovani. Tra loro anche Fabrizio Cicchitto; che per stare a galla ha abbracciato il berlusconismo”.
E Lelio Basso?
“Era un ‘criminale’ delle idee. Affascinava quando spiegava, ma molto poco pratico. Tuttavia era giusto così; in quel partito socialista c’era di tutto”.
E Antonio De Martino?
“Era un non partito. Aveva un complesso nei confronti del Partito comunista. Era un uomo pacifico che dilagava da tutte le parti”.
Dire Partito socialista, significa dire la nascita del centro-sinistra negli anni Sessanta, come giudica quel patto con la Democrazia cristiana?
“Il centro-sinistra è stato l’esperimento politico e sociale più alto della storia unitaria italiana. Da reggere il confronto con i governi di inizio secolo di Giovanni Giolitti. Fu il periodo delle nazionalizzazioni delle reti. Ci fu un grosso sforzo per dare coesione sociale agli italiani. Un periodo di grinta ed effetti positivi”.
Nel suo partito c’era anche Antonio Giolitti, il nipote di Giovanni, quale ricordo?
“Galantuomo dalla bella mente, tuttavia poco concreto”.
Come vede la politica di oggi?
“Non ci sono più i partiti, con le loro grandi correnti, che erano grandi dibattiti di democrazia. Ognuno è diventato un piccolo centro di potere; ed è difficile trovare una sintesi. Così i conflitti esplodono per il potere. La politica costa; si ruba”.
Corruzione politica lei dice. Perché gli italiani sopportano?
“Anche loro hanno le stesse tendenze nella vita familiare e sociale. Essere così è più facile che essere e fare le battaglie per le proprie idee. Ho conosciuto qualche ministro di oggi; sono dei poveri analfabeti. Questa è la classe dirigente venuta a galla dopo la caduta di Bettino Craxi”.
Che cosa dice di Craxi?
“La sua politica di autonomia socialista era giusta. Il modo di perseguirla era inaccettabile. Lo dicevo anche allora; fu così che Craxi mi cancellò dalle liste elettorali per il Parlamento”.
Chi erano i suoi amici riminesi?
“Ercole Tiboni, che meritava un diverso destino e Liliano Faenza”.
Lei ha conosciuto anche Sandro Pertini, il presidente più amato dagli italiani, quale ricordo?
“Uomo simpaticissismo; dentro il partito era indipendente da tutti, forse non dalla sola moglie. Aveva una sua piccola parrocchia. Positivo perché aveva il coraggio di rompere con tutti, anteponendo ad ogni cosa la coerenza. Era elegantissimo e, permaloso, sulla sua eleganza non accettava neppure le battute, che pur si facevano”.
A suo parere quando è morto il glorioso Partito socialista?
“Con Nenni. Dopo è stato altra cosa. E’ diventato un centro di potere e va bene per un partito, solo che deve tradurre in fatti le speranze. Naturalmente il fatto umano di Craxi mi ha profondamente turbato. Doveva restare in Italia e non scappare. Doveva magari andare in galera e difendersi”.
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Cenni sulla storia del Mar (Movimento per l’Autonomia della Romagna)
Stefano Servadei nel 1990 fonda il Mar. Rispettoso di tutte le ideologie politiche, la funzione è quella di giungere alla creazione della Regione Romagna, mediante consultazione diretta dei cittadini tramite referendum, così come sancito dall’articolo 132 della Costituzione. Dal 14 maggio 2008, il coordinatore del Mar è Samuele Albonetti, succeduto a Paolo Gambi. Presidente dell’associazione è stato confermato l’ex senatore Lorenzo Cappelli. Argomenta Servadei: “La Romagna non è piccola come regione autonoma; sarebbe la quint’ultima in Italia. Le regioni si sono formate sulla base della stessa cultura, delle stesse origini. Tutte cose riconosciute anche da chi è contrario all’autonomia. Dunque, cosa vai a cercare di più. Inoltre, ci conviene anche da un punto di vista economico. Speriamo di farcela per la nostra autonomia”. (g.c.)