La mostra al Museo della Città di Rimini (Sala Manica lunga) sino al 1° aprile 2013 e si intitola “Confine marchignolo, gente e luoghi tra Marche e Romagna”. E’ a cura di Marcello Sparaventi, infaticabile esploratore della fotostoria italiana, in collaborazione con Paolo Giommi e Alberto Masini, per Centrale di Fotografia, associazione culturale nata a Fano nel 2009; la grafica e il catalogo sono affidati alla sapiente eleganza di Elisabetta Duchi di Omnia Comunicazione Editore. Una mostra di fotografia frutto del lavoro collettaneo di 67 fotografi non professionisti, senza limiti d’età (dai quindici anni in su), sostenuti da tutor ‘tecnici’ sull’uso dello strumento fotografico, che hanno partecipato nel 2012 al corso intitolato Pesaro-Rimini. Il territorio marchignolo, dedicato alla memoria di Luigi Ghirri e della moglie Paola Borgonzoni. L’intento è stato quello di indagare un territorio di confine per catturarne l’anima e l’identità, la geografia e il paesaggio tra la costa lungo la direttrice adriatica e l‘entroterra. Alla scoperta di idiomi e linguaggi visivi, seppur blindati da comuni e campanili, disseminati in un territorio profondamente contiguo, che tra Metauro e Marecchia si tinge di una stessa matrice culturale e antropologica, come una spezia che tutto amalgama. Un esperanto visivo tra terra e mare, dove i caratteri distintivi affondano in comuni radici, in antichi contrasti, in un mai sopito antagonismo. Di un confine politico e geografico mai precisato sino in fondo.
I testi nel catalogo della mostra, introdotto da Sparaventi e Masini, sono di Massimo Pulini assessore alla cultura del Comune di Rimini e di Massimo Bini, geografo outsider che con una scrittura trascinante e mai sazia ci introduce e accompagna per mano nella lettura del confine marchignolo. Lo fa attraverso l’inedita mediazione dello scomparso scrittore fanese Fabio Tombari e del suo Tutta Frusaglia (1933), alla cui intuizione probabilmente si deve il termine marchignolo, giacché coniò la parola durante il suo buon ritiro agreste a Rio Salso (Tavullia), in una casa colonica “con la zona giorno in Romagna e la camera da letto nelle Marche”. Scrive Bini: “Buffo e cacofonico, plurisillabo e poco aggraziato, unico e atipico -come lo è ogni neologismo che sbatte una nuova bottiglia sulla chiglia della lingua e della letteratura italiana – marchignolo è composto che designa una Terra invisibile agli occhi delle mappe geografiche, ma che è l’essenza intima e segreta di chi nasce e muore ai confini della provincia di Rimini e Pesaro-Urbino”. Il tema della mostra è il Paesaggio come ‘quadro’ della natura in costante mutazione con tutte le storpiature e le alterazioni rispetto ad un originario armonico e remoto, disseminato di Storia e di comunità, paesaggio dove si incrociano elementi antropici e architettonici, che la fotografia rappresenta tra ossimori e contraddizioni.
Le immagini fotografiche sono state tradotte in ‘cartoline’, la cui sintassi e forma peculiari offrono un modo ‘retrò’ di documentazione dei luoghi. Perché la cartolina in tempi di comunicazione digitale ha perso terreno e uso, mentre sappiamo quanto abbia lungamente plasmato l’immaginario dei luoghi, specie turistici. Ma qui le cartoline che sono in mostra e che costituiscono il ‘prodotto finale’ dell’indagine, espressione della ricerca dei corsisti e della loro sensibilità, sono anticonvenzionali e nuovamente funzionali. Da spedire agli amici. La mostra è fruttuosa non solo per gli esiti estetici e di ricerca. Incrociare la composita parola marchignolo ha messo in moto una certa curiosità. E qualche ‘sconfinamento’.
Ho chiesto a Italo Cucci, penna e volto noto del giornalismo sportivo nazionale, notizie sull’origine della parola marchignolo: l’avevo sentita in un’intervista di qualche anno fa, tra le note di campionato, quando precisava le sue origini e così mi ha risposto. “Io me lo sono inventato per me mezzo secolo fa, quando da nativo di Sassocorvaro, provincia di Pesaro, son diventato a cinque anni riminese tenendo soprattutto all’identità montefeltresca. La mia famiglia è originaria di Majolo (padre) e di Molino di Bascio (madre) per questo ho inventato (a modo mio ) una definizione per me, MARCHIGNOLO. Tonino Guerra mi vedeva a Sant’Agata Feltria per la trifola, a Sassocorvaro per il Premio Rotondi, a Bascio Alto per il giardino di Ezra Pound, a Pennabilli a casa sua e sempre mi chiedeva, indispettito, “Csa fet què?”; e io : “Csa fet te?! Me so d’què, te t’si ‘dsantarcanzel…”. (Se scrivo bene, da MARCHIGNOLO…)”.
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