di PATRIZIA MASCARUCCI
Il 2013 è l’anno del 90° anniversario della nascita di Nino Pedretti, il grande poeta santarcangiolese autore di poesie e monologhi in vernacolo ed in italiano. Le celebrazioni per la ricorrenza sono iniziate già dal 29 novembre 2012 a Santarcangelo, presso il Teatro Supercinema con la presentazione del volume “Grammatiche. Monologhi e racconti inediti”, edito da Raffaelli Editore, Rimini, 2012. La serata, presentata da Giaele Pedretti, Tiziana Mattioli ed Elena Nicolini con letture di Silvio Castiglioni, è stata l’epilogo della ricerca condotta dalla cattolichina Elena Nicolini per la redazione della sua tesi sul poeta santarcangiolese, che le ha fruttato una laurea summa com laude in Lettere moderne: durante i suoi studi Elena ha rinvenuto ben ventisette tra monologhi e racconti inediti conservati nell’archivio donato dalla moglie del poeta, Lina Conti, alla Biblioteca Comunale ‘A. Baldini’ di Santarcangelo, che sono confluiti nella pubblicazione di Grammatiche.
Sotto l’attenta supervisione di Tiziana Mattioli, docente di Letteratura italiana presso l’Università degli studi di Urbino Carlo Bo, curatrice del volume, e grazie alla generosa integrazione di notizie riferite dalla sorella del poeta, Giaele Pedretti, questi preziosi testi integrano le precedenti pubblicazioni dei monologhi e racconti di Nino Pedretti, aumentandone lo spessore letterario. Nella postfazione del volume Tiziana Mattioli scrive che il titolo del libro, Grammatiche, era stato scelto da Pedretti in una lettera datata 7 dicembre 1980 indirizzata al dott. Violo, redattore della Rizzoli, al quale già nel 1978 proponeva la pubblicazione dei monologhi che avrebbe dovuto presentare in un programma radiofonico per la RAI.
La Mattioli si interroga «del cosa si debba intendere, per Grammatiche, in una galleria così affollata di personaggi un po’ isterici e un po’ irreali, sempre dolorosi e smarriti e come sopraffatti e crocifissi da una quotidianità feroce e divorante. Eroi al negativo, al grado zero. Superstiti, alla deriva del tempo. […] potrebbero valere come ‘grammatiche dell’essere’: il linguaggio che ciascuno porta sul proprio corpo, nel proprio tempo, nella propria vita. […] Forse potrebbero anche essere ‘grammatiche generative’, retaggi ancestrali di lingue remote, soggiacenti. […] O potrebbero ancora dirsi ‘grammatiche dell’arte’, di quel fatto fondamentale che è la scrittura, per Pedretti: una sorta di sospensione del tempo e della vita […]».
Nei ventisette inediti ritroviamo un Pedretti osservatore dell’uomo del borgo che si dibatte nelle fatiche dei mestieri e nella vita quotidiana; ritroviamo il poeta con le sue disanime, le sue disillusioni, il suo coraggioso essere uomo con le sue contraddizioni, la sua malinconia, la sua ironia a volte amara, più frequentemente divertita, mai priva dell’amore per la sua gente. Tra gli inediti si dipanano – tra gli altri – il portinaio, la puttana, il parente, la suora, il ragioniere: ventisette personaggi che, per la prima volta nel panorama della grande produzione dialettale nazionale, parlando in italiano escono dal borgo come dal paese e si affacciano sul mondo. L’umanità descritta non è più esclusiva delle contrade santarcangiolesi, ora è anche quella delle solitudini più universali che si dibattono nelle inospitali metropoli, come la Milano in cui possiamo immaginarci che si svolga il monologo del portinaio.
I ventisette personaggi diventano paradigmi universali di un’umanità tradita, corrosa dalle menzogne della modernità che tuttavia rimangono abbracciati tenacemente ed orgogliosamente alla loro dignità: gli svantaggi, le esperienze negative di vita diventano la ragione stessa dell’essere giunti sin lì senza aver rinunciato alla poesia, avendo continuato a cercare e a godere di quella possibile felicità che risiede nelle piccole gioie che il giorno ci può portare, cose come il sole, e’ sòul/ […] che adès/ a me gód pianin/ cumè che l’avnéss a mènch/ cumè una ròba ch’la s pérd/ ènca a tnélla dacòunt. (il sole/ […] che ora/ me lo godo adagio/ come una cosa che venga a mancare/ come una cosa che si perde/ anche a volerla conservare), scriveva Pedretti nel 1977 nella poesia Diferenza (Differenza).
Anche se l’uomo resta con la propria croce a dibattersi nella ricerca del senso del sacro, del mistero della ragione della vita, nell’incomunicabilità, per Pedretti è attraverso il mal di vivere, il disincanto, che la salvezza rimane saldamente nelle possibilità dell’uomo, dove anche l’ultimo può camminare a testa alta, nella sua capacità di riconoscersi degno di esistere così com’è, di accettarsi con i propri limiti. La felicità possibile risiede nel lasciare che la vita scorra godendo di quelle semplici uniche gioie che possono renderci felici anche solo per «Stasera con questo rumore dolce del mare e sotto il braccione di Giorgio che per delicatezza si sforza di essere leggero sopra le mie spalle», dice la puttana.
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