di MORENA FABBRI
Cuoio, pelli, spago, pece, fibbie, borchie. E passione. Tanta passione. E’ l’atelier Vivarelli del bolognese Giuliano, e Raffaella Bianchi, trentina. La bottega si trova in via Bellini, sul canale di Riccione, lato Alba. Come tutti i laboratori che si convengono è aperto al pubblico mentre si fanno le cose. L’attività di Giuliano Vivarelli nasce negli anni Settanta, nelle zone dell’Appennino bolognese. Dopo vari spostamenti, dall’entroterra arriva sull riviera romagnola. Negli anni Novanta conosce Raffaella a Bologna (studia filosofia), che stava ultimando gli studi. Decidono di mettersi in attività insieme.
“Quando ho conosciuto Giuliano mi sono subito appassionata a questo mestiere artigianale”, racconta Raffaella. Dal 2005 sono in pianta stabile a Riccione. In un periodo in cui le difficoltà economiche del Paese sono evidenti, si fa forse più affidamento sulle piccole imprese, specialmente nel mondo dell’artigianato, con la speranza che possano essere da traino per creare delle prospettive incoraggianti. Oggi antichi mestieri che nel corso del tempo si erano accantonati, stanno tornando, soprattutto in questi tempi di disoccupazione. Occorre reinventarsi e differenziarsi, e gli artigiani, abili nella creazione di prodotti unici e particolari, in questo riescono benissimo.
Raffaella spiega: “Noi siamo una piccola realtà; produciamo varie cose, borse, cinture, borselli, cartelle, portafogli. Che vendiamo direttamente. Facciamo anche riparazioni. C’è sempre l’esigenza di ricucire una borsa, o riparare una scarpa. Inoltre, questa è una zona molto vivace e creativa, quindi capitano richieste che vanno dall’applicazione di pelli sulle magliette ai porta-menu in cuoio, alle borchie sulle scarpe. Siamo duttili; quindi rispetto a strutture più grandi risentiamo meno della crisi”. Giuliano e Raffaella di divertono ad ironizzare sul fatto che in “crisi” loro ci sono sempre stati e quindi oggi non ne risentono. “Non abbiamo mai avuto idee di grandezza – raccontano. Anzi, abbiamo sempre creduto nella realtà della bottega che si può facilmente controllare e gestire, ecco perché non risentiamo della crisi”. “Noi produciamo – specifica Raffaella – anche pochi pezzi; soprattutto, il nostro laboratorio funge da negozio dove i clienti si fermano e comprano ciò che a loro piace”.
L’artigianato, come lo intende Giuliano, va svolto nel segno della libertà: “Esistono anche botteghe con dieci o venti persone, ma fare l’artigiano significa svolgere un mestiere che ti rende autonomo e indipendente; in cui sei tu che amministri sia te stesso che il negozio. Anche una volta c’era l’artigiano, ma dagli anni Settanta ad oggi questa figura ha assunto una valenza più indipendente”. Raffaella intende l’autonomia che questo lavoro porta con sé non solo a livello economico: “Questo mestiere dà piena libertà di scelta su quello che decidi di produrre un determinato giorno, ma è tutto in divenire. Perché poi potrebbe entrare un cliente che fa una richiesta o compra qualcosa. Ecco che a fine giornata hai da una parte la realizzazione di un prodotto da mettere in vetrina e dall’altra hai messo i soldi nel cassetto con le vendite. È questo che dà un senso di indipendenza e anche di tranquillità”. La bellezza di questo lavoro è anche il rapporto diretto che si viene a creare con i clienti, l’aspetto umano. “Noi – continua Raffaella – abbiamo anche lavorato praticando solo all’interno del laboratorio e vendendo all’ingrosso, ma è diverso quello che ti trasmette il contatto con gli amanti del pezzo unico. È’ più stimolante e ci scambiamo curiosità, storie. Anche storie di vita vissuta. Anche questo a fine giornata nutre”.
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