I vizi capitali hanno accompagnato da sempre l’uomo che ha cercato di spiegarne l’origine dandone diverse interpretazioni. Secondo Aristotele si tratta di “abiti del male”, ossia cattive abitudini che diventano una “seconda natura” dell’uomo e che, come tali bisogna, correggere con l’educazione agli “abiti buoni”. Ma è nel Medioevo che diventano veri e propri peccati in quanto deviazione dal bene e opposizione alla volontà divina. La situazione cambia completamente nell’età dei Lumi, quando sono visti sotto tutt’altra luce, come fondamentali per lo sviluppo dell’industria, del commercio e quindi della società civile, motori dell’economia.
Come al solito non sono mai le virtù, ma sempre i vizi, a dirci chi è di volta in volta l’uomo. Ma oggi cosa sono i vizi capitali? Uno specchio fedele della natura umana e della società moderna? Uno spunto e un invito all’analisi e alla riflessione? Oppure ci invitano a guardarsi dentro per scorgere le proprie ombre ed affrontarle senza timori? Domande intriganti a cui gli incontri misanesi cercheranno di dare una possibile risposta.
Dei cinque incontri, il ciclo è iniziato il 9 luglio con la Lussuria. Ospite il critico letterario Arnaldo Colasanti. Introdotta dalle intense parole di Platone: L’Amore è un demone possente che sta tra i mortali e gli immortali, la lussuria è l’estasi del desiderio, di cui è espressione. E’ fortemente incentivata dalle disinibizioni sessuali quali segno imprescindibile del nostro tempo. Ma il desiderio diviene tale attraverso la fantasia, che, oltre ad essere il tratto tipico dell’uomo, è anche il potenziale sovversivo di ogni ordine. Il 12 luglio è stata la volto di Ira e Accidia in un dialogo tra il filosofo Remo Bodei e lo psicologo Sergio Benvenuto. L’ira, che dell’attuale Occidente è un segno distintivo, è quel sentimento mentale ed emotivo di conflitto con il mondo esterno o con se stessi che controlliamo poco e maneggiamo peggio, perché in preda all’ira non siamo più padroni delle nostre azioni. Ma oggi l’ira non emerge solo a livello privato, complice la crisi economica-politica rischia di emergere anche a livello collettivo. L’accidia, come diceva Paul Valery, è la noia di vivere, non la noia passeggera, non quella per fatica o la noia di cui si conosce il genere e di cui si sanno i confini, ma quella noia perfetta, quella noia pura, quella noia che non ha altra sostanza che la vita stessa. Quella noia che altro non è che la vita nella sua nudità quando la si contempla chiaramente ed oggettivamente. A ben pensare è la condizione in cui versano molti giovani del nostro tempo, afflitti da monotonia, assenza di interessi, vuoto interiore, le cui energie non impiegate finiscono per essere riversate.
Domani, 16 luglio l’economista Stefano Zamagni e il filosofo Umberto Curi dialogheranno su Avarizia e Invidia. L’Avarizia è forse il più stupido dei vizi capitali perché si associa ad una possibilità, o ad un potere, che di fatto mai si realizzerà. L’avaro accumula il denaro che, in tali dimensioni, gli consentirebbe di acquistare qualunque cosa, ma questo potere non deve mai essere esercitato, perché altrimenti il denaro cessa di essere posseduto e, al pari di questo, anche il potere che ne è connesso. L’avarizia, quindi, come forma della volontà di potenza che pervade l’animo dell’uomo contemporaneo e che, per mantenersi, non deve mai esercitarsi. Questo il lavoro dell’avarizia: proibire la vita, contrarla fino a renderla definitivamente non vissuta. L’Invidia è, secondo Spinoza, quella disposizione che induce l’uomo a godere del male altrui e a rattristarsi, al contrario, dell’altrui bene. Alla luce di una rilettura contemporanea essa coincide con quel sentimento che l’uomo prova nel momento in cui non sopporta il proprio limite naturale, in una società che decide del valore degli individui secondo criteri univoci, primo fra tutti il successo.
Il 19 luglio ad intrattenere il pubblico sarà il semiologo Paolo Fabbri e l’esperto di comunicazione del gusto Gianfranco Marrone dialogheranno su Superbia e Gola. Per Tommaso d’Aquino la Superbia è quel sentimento che vede l’individuo pronto a mostrarsi, perché innamorato della propria eccellenza, e da cui deriva la forte presunzione di superare gli altri. Al pari dell’invidia, anche la superbia è relazionale, nel senso che non riguarda l’individuo intriso nella sua solitudine, bensì il suo essere relazionale, che ha bisogno degli altri affinché possa esprimere nei loro confronti la propria superiorità. Il giusto orgoglio è un atto di stima verso se stessi. Chi lo possiede non è presuntuoso ma rifiuta di mettersi al seguito dei piccoli uomini. Ma quando l’orgoglio travalica fino ad elevarsi sopra se stesso si trasforma in vanità, boria, superbia. La nostra è una cultura in cui prevale la superbia e scarseggia l’orgoglio, in cui c’è poca dignità e molta apparenza, dove per apparire si è disposti perfino a svendersi e a servire. La Gola è una sorta di richiamo alla nostra animalità, il retaggio della nostra antica condizione. E siccome il cibo è la prima condizione d’esistenza, spetta al cibo e alla gola mettere in scena un tema che non è alimentare ma radicalmente esistenziale, perché va alla radice dell’accettazione o del rifiuto della propria esistenza. Pensiamo alle innumerevoli problematiche alimentari che regnano nell’esistenza contemporanea, in una società che attribuisce un’importanza decisiva all’estetica con cui ognuno si presenta al mondo esterno. La Gola, quindi, come uno dei vizi (forse il maggiore) che rinvigorisce grazie alle peculiarità del post-moderno, assumendo connotati nuovi e spesso difficilmente comprensibili che portano ad una inevitabile modificazione delle emozioni e in certi casi persino ad una loro riduzione. Pensiamo, per esempio, alla gioia più elementare, quella intorno alla tavola che, dalla notte dei tempi, è il luogo eminente dove gli uomini hanno stretto amicizia e creato società.
Chiude la rassegna, il 20 luglio l’attrice e poetessa Mariangela Gualtieri con un recital dal titolo: “Vizi e virtù della mia gente”. Dice Mariangela: “Sono stata folgorata da una poesia in cui il poeta indiano Tagore parla della sua gente: un popolo allora poverissimo e molto pio. Ho subito pensato: E’ la mia gente. Qual è la mia gente? E mi sono guardata intorno. La gente di noi vivi ora in questo paese, comprende una congerie umana a volte raccapricciante, a volte amabile, più spesso detestabile. Per la prima volta l’ho voluta guardare senza giudizio, lucidamente ma amorevolmente, quando è grande e quando è piccola. Dunque reciterà versi inediti dedicati alla mia gente e il Sermone ai cuccioli della mia specie, lasciando alla fine uno spazio per le richieste del pubblico”. Tutti gli incontri si terranno presso il giardino della Biblioteca comunale, con inizio alle 21,30. info: 0541/618484
© RIPRODUZIONE RISERVATA