Il 2013 è l’anno della TARES, il nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, istituito con l’art. 14 del D.L. n. 201/2011 (c.d. decreto “Salva Italia”, convertito nella L. n. 214/2011), che manda in soffitta tutti i “vecchi” prelievi, solo formalmente abrogati, ma ancora applicati a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Il quadro normativo in cui si inserisce la nuova entrata comunale è a dir poco complesso, essendo venuti a coesistere, sino a tutto il 2012, ben tre differenti regimi:
- Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani (TARSU), introdotta dagli artt. da 58 a 80 del D. Lgs. 507/1993, poi (solo formalmente) soppressa dall’art. 49, comma 1, del L. Lgs. n. 22/1997 “a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5, entro i quali i comuni devono provvedere alla integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa di cui al comma 2”;
- Tariffa di Igiene Ambientale (TIA 1), introdotta e regolamentata dal citato art. 49 ed applicata con il regolamento (c.d. “Metodo normalizzato”), approvato con DPR n. 158/1999 che, all’art. 11, dettava anche i termini (reiteratamente prorogati) per la soppressione della TARSU ed il passaggio definitivo a TIA 1, con finestre differenziate in considerazione del numero degli abitanti e del grado di copertura del costo del servizio;
- Tariffa Ambientale Integrata (TIA 2), inserita nel Testo Unico in materia di Ambiente (D. Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006) che, all’art. 238, comma 1, prevede appunto l’introduzione di una tariffa che “costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”; lo stesso comma ha disposto la contemporanea soppressione della TIA 1, salvo quanto previsto dal comma 11, in forza del quale “sino all’emanazione del regolamento di cui al comma 6 (….) continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”.
Nelle more dell’emanazione dei decreti attuativi del D. Lgs. 152/2006 (a tutt’oggi mai emanati, con ciò impedendo – nei fatti – la concreta applicazione della TIA 2), diverse disposizioni di legge hanno congelato il regime di prelievo adottato dai comuni nell’anno 2006 fino a tutto il 2010, costringendo gli enti locali ad una condizione di scomodo immobilismo. A completare questo quadro decisamente sconfortante, non va dimenticata la lunga querelle sulla natura tributaria o meno della TIA 1, finalmente conclusa con l’intervento del giudice delle leggi (Corte Costituzionale, sentenza n. 238 del 2009) con il quale la Consulta ha definitivamente sancito la natura tributaria dell’entrata comunale e, dunque, la sua estraneità all’applicazione dell’IVA, aprendo così la strada ad un ulteriore massiccio contenzioso, volto ad ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente corrisposta .
La scelta del legislatore di (re)intervenire sulla confusa legislazione dettata in tema di rifiuti, cancellando tutto il “vecchio” e introducendo – a far data dal 1° gennaio 2013 – un nuovo tributo (ed il termine viene qui utilizzato in senso proprio), è sicuramente apprezzabile, anche se il testo di legge – che, in effetti, sembra avere attinto a piene mani dalle preesistenti normative – contiene alcune criticità di cui si avrà modo di parlare e che dovranno essere rimosse, per rendere meno problematica l’applicazione della nuova entrata comunale. Va innanzitutto detto che la TARES ha natura tributaria: sembra proprio che il legislatore abbia fatto tesoro degli insegnamenti impartiti dalla Corte Costituzionale nella esemplare sentenza n. 238/2009. Insieme alla natura tributaria, con la TARES il comune si riappropria della titolarità della tassa e ritorna il “dominus” del prelievo finanche nella gestione dello stesso, anche se il comma 29 lascia aperta la possibilità di introdurre, con regolamento approvato ai sensi dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, un sistema “ a corrispettivo”, utilizzabile dai comuni “che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico”.
Scorrendo il testo di legge (un unico articolo, suddiviso in ben 47 commi), appare subito evidente nella TARES una natura dicotomica, convivendo al suo interno due componenti (comma 1): 1) il primo, con tipica natura di tassa, destinato al finanziamento dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati (commi 9 e 11); 2) il secondo, tipico dell’imposta, esplicitamente rivolto a finanziare i “servizi indivisibili” dei comuni (comma 13). Analoga dualità è presente nella struttura del tributo (comma 11) , articolato – come la TIA 1 – in una quota fissa, destinata a coprire i componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti (costi amministrativi, costi generali di gestione, costi d’uso del capitale ed altri costi direttamente ed indirettamente connessi) ed in una quota variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito ed all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, anche tenendo conto delle spese di conferimento in discarica (art. 15, D. Lgs. n. 36/2003). D’altro canto, è lo stesso legislatore (comma 12) a chiarire che, in via transitoria e fino a che non sarà emanato apposito regolamento ex art. 17 L. n. 400/1988, si applicheranno (come già per la TIA 1) le disposizioni di cui al D.P.R. n. 158/1999 che determinano i criteri per l’individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa di riferimento.
Il presupposto del tributo ed il soggetto passivo sono mutuati dalla TARSU e dalla TIA 1, considerato che il comma 3 prevede che “il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti”. Ai precedenti soggetti passivi di riferimento (occupanti o detentori) si aggiunge ora il “possessore”, ulteriormente ampliando la casistica dei destinatari dell’obbligazione tributaria. Così affermato il presupposto, ne discende la naturale esclusione in termini di negazione dello stesso e ciò investe le superfici non suscettibili di produrre rifiuti, già molto ben delineate, nella TARSU, dall’art. 62, 2° comma, del D. Lgs. n. 507/1993 .
La determinazione della tariffa (comma 9) riprende sia la TARSU (“la tariffa è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia di attività svolte, sulla base dei criteri determinati con specifico regolamento”) che la TIA 1, richiamando la scomposizione in due quote della tariffa. Il successivo comma 13 dispone, inoltre, che a tale tariffa si applica “una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione fino a 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell’immobile e della zona ove è ubicato”.
Di conseguenza viene ad assumere parti vicolare importanza la nozione di superficie imponibile che la TARES mutua dall’art. 1, comma 340, della L. n. 311/2004, ora definitivamente inserito nel testo normativo, senza la limitazione applicativa alle sole unità immobiliari di proprietà privata. A tal proposito, non è fuor di luogo rammentare che entrambe le normative preesistenti (D.Lgs. n. 507/1993 e art. 49 del D. Lgs. n. 22/1997) nulla avevano previsto riguardo alla nozione di superficie imponibile che, in considerazione della particolare natura del tributo/prelievo, veniva naturalmente riferita alla superficie calpestabile; con la TARES, invece, la superficie imponibile “è pari all’80% della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della repubblica 23 marzo 1998, n. 138 ”. In concreto, tuttavia, appare improbabile che i comuni possano verificare e rettificare/accertare tutti gli immobili già denunciati e, comunque, la richiesta della misura della superficie continua ad essere presente nella dichiarazione di inizio utenza, quale dichiarazione di parte. In effetti, attesa la natura della TARES (tassa sul servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti) ed il suo presupposto impositivo (utilizzo di superfici produttive di rifiuti), sarebbe auspicabile una modifica del comma 9, che riporti la nozione di superficie imponibile a quella calpestabile (e, quindi, effettivamente produttiva di rifiuti), relegando l’utilizzo del dato catastale (più consono ad imposte patrimoniali come l’IMU che a tasse dovute a fronte di un servizio reso) a presunzione semplice, da impiegare nelle attività di accertamento, qualora non sia possibile la misurazione diretta dei locali o delle aree imponibili .
Il sistema delle agevolazioni nella TARES ricalca la normativa preesistente e conferma la potestà regolamentare generale attribuita ai comuni dall’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, nell’ambito della quale gli enti locali potranno determinare riduzioni tariffarie sino al 30% per le fattispecie previste dal comma 15 (abitazioni con unico occupante, abitazioni a disposizione per uso stagionale, locali diversi dalle abitazioni ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale, abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora per più di sei mesi l’anno all’estero, fabbricati rurali ad uso abitativo), ovvero deliberare altre forme di riduzione o totale esenzione (comma 18), con la precisazione che tali agevolazioni “sono iscritte in bilancio come autorizzazioni di spesa e la relativa copertura è assicurata da risorse diverse dai proventi del tributo di competenza dell’esercizio al quale si riferisce l’iscrizione stessa”. Come già per la TIA 1, i commi 17 e 18 assicurano riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche ed un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.
Analogamente a quanto previsto in materia di TARSU (artt. 58 e 59 del D. Lgs. n. 507/1993), le scelte di politica fiscale in materia di TARES trovano la loro naturale collocazione nel regolamento sul servizio che il Consiglio comunale dovrà adottare obbligatoriamente a norma del comma 22: in tale sede, infatti, l’ente locale potrà stabilire maggiorazioni o riduzioni delle tariffe ordinarie, nonché disporre agevolazioni o esenzioni a favore di determinate categorie di contribuenti, con adeguata motivazione. Il regolamento della TARES avrà contenuto obbligatorio con riguardo: a) alla classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione dei rifiuti; b) alla disciplina delle riduzioni tariffarie; c) alla disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni; d) all’individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta; e) ai termini di presentazione della dichiarazione e di versamento del tributo. Il comma 23 attribuisce la competenza per l’approvazione delle tariffe al Consiglio comunale “entro il termine fissato da norme statali per l’approvazione del bilancio di previsione, in conformità del piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso ed approvato dall’autorità competente”.
Il nuovo testo di legge non dimentica: le istituzioni scolastiche statali. Con una sistematicità sicuramente apprezzabile, il comma 14 conferma il criterio forfetario di cui all’art. 33 bis del D.L. n. 248/2007, che sposta la soggettività passiva in capo al Ministero della Pubblica Istruzione, tenuto a corrispondere direttamente ai comuni la somma concordata in occasione della Conferenza Stato-città del 2001 ; la tariffa giornaliera per la gestione dei rifiuti assimilati (commi da 24 a 27), applicabile ai soggetti che detengono temporaneamente locali o aree pubbliche. Analogamente a quanto previsto dalla TARSU e dalla TIA 1, la misura della temporaneità viene stabilita in un periodo inferiore a 183 giorni, ma la tariffa di riferimento (tariffa annuale rapportata a giorno) può essere aumentata sino al 100%, in luogo del preesistente 50%; il tributo provinciale. Come già per la TIA 1 (art. 49, co. 17, del D. Lgs. n. 22/1997), il comma 28 fa salva l’applicazione del tributo provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente di cui all’art. 19 del D. Lgs. n. 504/1992. La misura del tributo è commisurata alla superficie dei locali imponibili, in base all’aliquota deliberata dalla provincia, esclusa la maggiorazione di cui al comma 13 .
La concreta gestione del tributo viene indicata, come per l’IMU, con rinvio alle disposizioni generali in materia di fiscalità locale, contenute nella legge finanziaria per il 2007 (art. 1, commi da 161 a 170 della L. n. 296/2006), ove non diversamente disposto dall’art. 14 ovvero dal regolamento comunale. Così come già previsto per la TARSU, anche per la TARES il comune dovrà designare il funzionario responsabile del tributo (commi 36 e 37), con funzioni organizzative e gestionali, compresa la firma degli atti, la delega per la rappresentanza in giudizio, l’invio di questionari agli enti e ai contribuenti e per disporre l’accesso ai locali ed aree assoggettabili al tributo. Gli obblighi dichiarativi saranno assolti – con modalità una tantum a condizioni invariate, com’è d’uso nella fiscalità locale – su modulistica predisposta dal comune e nei termini stabiliti dal regolamento comunale. Sparisce, dunque, il termine fisso del 20 gennaio dell’anno successivo all’occupazione/detenzione, ma confidiamo in una certa uniformità nel territorio nazionale, in modo da evitare disagi ai contribuenti che posseggono immobili in comuni diversi.
In deroga alle disposizioni dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, il tributo è versato esclusivamente al comune, con pagamento “mediante bollettino di conto corrente postale ovvero modello di pagamento unificato”, diluito in quattro rate trimestrali, ove non diversamente disposto dal regolamento comunale. Il legislatore sembrerebbe avere escluso la possibilità di affidare la riscossione del tributo al soggetto gestore del servizio di igiene urbana, come per la TIA 1: ciò significa che l’ente locale, nel caso avesse adottato la TIA 1, dovrà riprendere in mano la conduzione del nuovo tributo ovvero esternalizzarlo, nel rispetto delle prescrizioni del più volte citato art. 52. L’attività di accertamento si svolgerà secondo le regole ordinarie, atteso il preciso richiamo alle disposizioni comuni in tema di fiscalità locale di cui alla legge n. 296/2006 e l’aspetto sanzionatorio, indicato nei commi da 38 a 42, potrà essere ridotto ad un terzo se “entro il termine per la proposizione del ricorso interviene acquiescenza del contribuente, con pagamento del tributo, se dovuto, della sanzione e degli interessi” (comma 43). Nel caso di applicazione della tariffa corrispettiva di cui ai commi da 29 a 33, che – a differenza della TARES – ha esplicita natura patrimoniale, viene meno l’attività di accertamento tributario e si ricorrerà agli strumenti civilistici , anche tenuto conto del fatto che tale tariffa sarà applicata e riscossa dal soggetto gestore come la TIA 1.
Fin qui le linee guida per delineare i caratteri essenziali della nuova entrata comunale, destinata a coprire i costi per lo smaltimento dei rifiuti ed i “servizi indivisibili” degli enti locali. Ma è inutile illudersi: il nuovo balzello forse porterà un po’ di chiarezza nel complesso panorama della normativa sui rifiuti e forse genererà meno contenzioso dei precedenti sistemi, ma certamente ritoccherà verso l’alto (e non di poco) gli importi del prelievo, specialmente negli enti (e sono oltre l’80%) che ancora erano in regime di TARSU. La batosta arriverà da diversi fronti: innanzitutto gli enti locali saranno costretti a ritoccare verso l’alto le tariffe per coprire il 100 % del costo del servizio, come impone il comma 11, senza possibilità di deroghe. Un ulteriore aumento deriverà dalla nozione di superficie imponibile non più calpestabile, ma catastale, indipendentemente dalle attività di accertamento che il comune intenderà (o sarà in grado di) svolgere. Non va trascurato, infine, l’incremento tariffario necessario a coprire i costi dei servizi indivisibili (da 0,30% a 0,40% per metro quadrato), componente del tutto assente nelle preesistenti normative. In questo quadro sicuramente sconfortante sia per le famiglie che per le attività commerciali, già penalizzate da troppi anni di crisi in cui anche i rifiuti si sono contratti, l’unica “parola di pace” è in grado di dirla la raccolta differenziata, che potrebbe veramente fare la differenza (mi scuso per l’involontario gioco di parole) sia in termini di ecologia e rispetto per l’ambiente che con riguardo agli incentivi previsti dalla normativa a carico degli enti e dei privati. La parola d’ordine, quindi, deve essere “differenziare”, anche se la quota stabilita dall’Europa (65%) appare veramente come un miraggio.
* Autore di Commercialista Telematico, quotidiano di approfondimenti e novità fiscali con sede a Rimini
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