di EVA PANISSA
L’ingrediente segreto della piadina? “Assaporiamo” prima di tutto un pizzico di storia. La “Piadina”, piada, pjida o pièda in dialetto romagnolo… e prima? Prima c’era il greco ‘platys’, il latino ‘plattus’, cioè: piatto. I romantici non ce ne vorranno se siamo arrivati fino allo sbarco di Enea sulle coste italiche. Narra la leggenda che gli esuli, per fame, decisero di mangiare le schiacciate di farina e acqua che normalmente servivano da piatto, dopo aver consumato i poveri frutti selvatici sulle quali erano stati posati; proprio come nella profezia del padre Anchise, che predisse che questo evento avrebbe stabilito il momento e il luogo dove edificare la nuova città.
Le rassegne dedicate alla ‘pièda’ sono ovunque in Romagna. A Bellaria il tributo all’antico pane inizia domani domani venerdì 6 settembre, e fino a domenica 8 settembre, ”La pis un pò m’a tot – La Piadina, anima e tradizione”, l’imperdibile appuntamento enogastronomico, che quest’anno compie dieci anni, dedicato al “pane di Romagna”, la Piadina, in tutti i suoi più gustosi e particolari abbinamenti. L’appuntamento è nel centro di Bellaria, dove accanto alla piadina, la fiera proporrà prodotti enogastronomici di qualità con tutta l’eccellenza delle produzioni locali di vini ed alimenti, che costituiscono il patrimonio culturale della nostra terra. Un fine settimana all’insegna delle antiche tradizioni, della riscoperta dei sapori e della cultura delle civiltà contadina e marinara che hanno dato origine a Bellaria Igea Marina, tradizioni che sono oggi ancora vive nelle nostre case e sulle nostre tavole. Con la collaborazione di: ‘La Strada dei Vini e dei Sapori’ dei Colli di Rimini, ad ogni specialità verrà abbinato un vino ad hoc prodotto nelle nostre colline. Quest’edizione vede la partecipazione di ‘Calici Divini’, che con i loro sommelier sapranno raccontare la degustazione dei vini in ogni caratteristica e segreto. “La pis un pò m’ a tot” è una manifestazione a cura di Associazione Bell’Atavola in collaborazione con Fondazione Verdeblu e Amministrazione Comunale, e rientra nel circuito di Ecofeste dell’Assessorato Ambiente e Riqualificazione Urbana della Regione Emilia Romagna.
Fino all’inizio degli anni 60, prima dell’avvento del turismo di massa, la piada, preparata con acqua, farina (spesso di granoturco), sale e un poco di strutto, era veramente un cibo povero. Non era un sostitutivo del pane, tantomeno uno spuntino, era più un ripiego: preparata in fretta quando il pane scarseggiava e non era tempo di farne di nuovo, aveva il vantaggio di non dover lievitare, nonché poteva essere cotta sull’economico testo e non nel dispendioso forno. Anche l’accompagnamento era misero, erbe selvatiche o verdure, cotte o crude, e, più di rado, formaggio fresco. Alla ricetta base, nel tempo, sono stati aggiunti alcuni ingredienti (variano da luogo a luogo), come bicarbonato, lievito di birra, latte, lardo, miele, per renderla più morbida. Alcuni usano anche il rosso dell’uovo, ma forse vorrebbero tenersi il segreto. Ultima curiosità dalle esperte di mattarello, quando soffia il garbino (libeccio), caldo e umido, meglio non tirare la sfoglia e lasciar perdere la piada! Ed eccoci ad oggi. Ne ha fatta davvero tanta di strada questa protagonista della gastronomia romagnola, e ha fatto fortuna chi è riuscito ad esportarla. Purtroppo, però l’aria che si respira in Romagna, non si può portar via in una boccetta.
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